UE
Viktor Orbán, quello della pena di morte da ripristinare
Ci sono casi in cui la notizia della smentita fa più audience della notizia originaria.
E’ successo in questi giorni. Genericamente potrebbe essere accolta come una buona cosa. Non sono così certo che sia così, almeno questa volta.
Viktor Orbán, primo ministro di Ungheria (Magyarország), alcuni giorni fa ha dichiarato che sarebbe opportuno ripristinare la pena di morte nel suo paese. Notizia che non ha avuto grandi echi nel’opinione pubblica. Poi, però, ha detto che ci ripensava e questa seconda notizia ha avuto più risonanza. Non è consolante. Ma non è l’unico aspetto su cui vale la pena riflettere.
Questa marcia indietro è conseguente ad alcune reazioni di esponenti della UE. Infatti, dato che la negazione della pena di morte è uno dei principi fondamentali su cui si basa la costruzione europea il presidente della Commissione Jean – Claude Juncker ha detto che non se ne parla e che, se l’Ungheria avesse imboccato quella strada, l’Europa avrebbe reagito con forza.
Poi Viktor Orbán ha dichiarato che ci ripensava. Sembra di capire dunque che in questa circostanza la logica della ragione abbia avuto la meglio.
Così pensano molti commentatori. Qualcuno ha persino sostenuto che così si dimostra che l’Europa esiste. E poi ha aggiunto: in questa circostanza l’Europa ha anche dimostrato che ha un peso e che, se s’impegna, c’è anche il caso che ce la faccia.
Credo che il significato che questa frase ha agli occhi dell’opinione pubblica ungherese sia esattamente opposto a quello che abbiamo noi. Almeno tre buone ragioni
La prima. Non è vero che l’Europa abbia protestato in maniera significativa. Vale per tutti la dichiarazione del Presidente del Partito popolare europeo (lo stesso gruppo a cui appartengono Angela Merkel, Silvio Berlusconi,.. ), il francese Joseph Daul, ha detto che parlerà con Orbán. Chissà che cosa gli dirà e quando glielo dirà. Chissà forse coglierà l’occasione dell’incontro per regalargli un’edizione in una lingua a lui comprensibile Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, tanto per non fare un regalo sorprendente (che potrebbe persino apparire un gesto spavaldo e fuori dal protocollo).
La seconda. La dichiarazione di revoca non è un pentimento, è una concessione. E’ un modo cioè di relazionarsi con l’Europa che prende atto dei rapporti di forza. Soprattutto non è conseguente a una condizione di protesta interna che non c’è.
La terza. Il fatto stesso della revoca su pressioni (timide) peraltro esterne ha tutta l’aria di dire ai propri: non possiamo fare come vogliamo. Quei signori di Bruxelles non vogliono che noi ci difendiamo. Con l’effetto che ciò che aumenterà sarà il consenso antieuropeista in conformità a una visione vittimistica di sé: il miglior carburante per aumentare il tasso d’intolleranza e di xenofobia nell’opinione pubblica.
Siamo proprio sicuri che Viktor Orbán sia uscito perdente da questo confronto? E davvero la smentita annulla la prima dichiarazione?
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