Taiwan, l’energia verde e la paura della Cina

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24 Novembre 2022


Taiwan è una nazione in bilico. Molto più di quanto lo sia mai stato lo Stato di Israele. Dall’accordo internazionale per la sua indipendenza (1948)[1], l’isola di Formosa ha sempre guardato con paura al di là del canale, temendo il giorno in cui le armate cinesi avrebbero annientato la democrazia taiwanese. La grande pressione militare, commerciale e diplomatica degli Stati Uniti, del Giappone e dell’Unione Europea sono finora riusciti ad evitare che questo giorno arrivasse – ma questa non è una garanzia per il futuro, anche perché le pretese cinesi non sono mai cambiate, ed ultimamente le minacce sono divenute più preoccupanti.

La strategia del governo di Taipei è logica: curare con grande attenzione le proprie alleanze internazionali, ottenere che anche gli altri paesi dell’Indocina considerino l’indipendenza dell’isola di Formosa come un fatto acquisito ed un dato di stabilità dell’intera area geografica, oltre che un importante partner commerciale. In questo senso, il Taiwan è riuscito a rendersi indispensabile, poiché produce la gran parte dei semiconduttori del mondo – dei componenti elettronici fondamentali per lo sviluppo scientifico, industriale e commerciale di tutto ciò che ha che fare con la digitalizzazione. Negli ultimi anni, però, Taipei ha scoperto di aver compiuto il passo più lungo della gamba: i grandi complessi industriali dell’isola hanno bisogno di quantità di elettricità che aumentano a velocità vertiginosa di anno in anno. L’isola non ha significative risorse naturali ed appesantisce la bilancia commerciale con l’estero (diminuendo quindi la propria indipendenza) per acquistare energia. Una situazione intollerabile e pericolosa.

Il nodo energetico

7 agosto 2022: esercitazione di jet cinesi in volo nei cieli di Taiwan[2]

La lotta che Taiwan sta conducendo per sopravvivere può far credere che la più grande minaccia che Taiwan abbia sia la Cina e le sue minacce di invasione: la verità è che per mantenere l’indipendenza economica, industriale e militare, Taiwan ha bisogno di una quantità enorme di elettricità[3]. Questa è una spada di Damocle sulla testa degli abitanti di Formosa, e finché questo problema non sarà risolto, tutto resterà nelle mani degli Stati Uniti e della loro flotta – una difesa che per noi occidentali è necessaria solo fin quando l’isola continuerà ad essere uno dei principali fornitori del nostro mercato dell’elettronica[4]. Taiwan produce circa il 65% dei semiconduttori del mondo e quasi il 90% dei chip più avanzati, fatto questo che rende il mondo dipendente dalle sue forniture per gli iPhone ed i sistemi di difesa avanzati[5].

Le esercitazioni militari di terra ed aria svolte dai Cinesi questa estate[6], che hanno avuto per teatro vaste distese dell’oceano intorno a Taiwan e sono iniziate subito dopo la visita a Taipei della Presidente della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, hanno rappresentato un monito di non poco conto dato a tutto l’Occidente circa il nuovo corso della politica regionale cinese. La maggiore intensità ed ampiezza delle incursioni cinesi ha ampiamente giustificato i crescenti timori che un livello elevato di pressione militare diventi una “nuova normalità”, creando instabilità e minacciando il commercio marittimo ed aereo di Taiwan[7].

Anche se un blocco di Taiwan è considerato improbabile, resta agli atti che l’attraversamento attuato da Pechino della linea mediana che separa l’isola dalla Cina è comunque una modifica dello statu quo nello Stretto di Taiwan[8]. La costante minaccia cinese gioca un ruolo decisivo sullo stato di salute di Taiwan: 22a economia mondiale, nonché 15° esportatore, con un fatturato per il 38% rappresentato dall’esportazione dai semiconduttori – prodotti dal colosso TSMC Taiwan Semiconductor Manufacturing & Co. (che produce il 92% dei chip più avanzati al mondo[9]) e da altre aziende minori (che, per inciso, hanno contributo realizzare una crescita del PIL pari al 3,3% nel 2020 e del 6,5% nel 2021 – nonostante la pandemia), Taiwan è vulnerabile sotto il profilo energetico in quanto totalmente dipendente dagli approvvigionamenti esteri[10].

Nel 2016, la produzione interna di energia copriva solo il 2% del consumo totale di Taiwan. Il 98% dell’energia è importata e proviene soprattutto dai combustibili fossili, con un 48% derivato dal carbone, il 29% dal petrolio e solo il 13% dal gas naturale[11]. In quel momento il governo di Taipei ha iniziato un enorme sforzo per cambiare le cose, ma con un successo limitato: nel 2018 il petrolio straniero ha prodotto il 48,28% dell’energia, seguito dal carbone (29,38%), dal gas naturale (15,18%), dall’energia nucleare (5,38%), dalle biomasse ed i rifiuti (1,13%) e con una quota di energia verde risibile (0,64%)[12].

Nonostante il numero degli abitanti decresca, ed il governo investa denaro per aumentare la quota di energia autoprodotta[13], la domanda industriale e civile di elettricità cresce inesorabilmente[14]. Nel 2020 il consumo totale di elettricità ha raggiunto i 271 miliardi di kWh, con un aumento di 5,5 miliardi di kWh rispetto all’anno precedente[15]: un dato che rende ampiamente conto della gravità del problema[16].

Andamento storico della produzione annuale di energia elettrica a Taiwan[17]

I giacimenti di gas naturale scoperti a Guantian (2004) ed a Gongguan (2012), stimati in un miliardo di metri cubi[18], non bastano[19] e costringono Taiwan ad una pericolosa dipendenza dalle forniture dal Qatar, dall’Australia, dagli Stati Uniti e dalla Russia[20]. Gongguan, fin dall’Ottocento, è l’area che fornisce il petrolio della società petrolifera nazionale CPC[21]. Nel 2012, Taiwan ha prodotto una media di 20’000 barili al giorno ed ha pianificato di esplorare al largo dell’isola di Taiping[22]. Le riserve stoccate nei depositi sono infinitesimali[23] e non basterebbero per sostenere l’approvvigionamento per un anno[24], per cui l’isola è facilmente ricattabile[25]: “Mentre le scorte di petrolio di Taiwan sarebbero sufficienti per 138 giorni, l’isola sarebbe meno resistente per quanto riguarda l’elettricità” in quanto “gli importatori di gas naturale sono attualmente tenuti a detenere una scorta di soli otto giorni di fornitura, il che li rende vulnerabili a qualsiasi potenziale azione cinese”[26].
Tutto ciò nonostante che la CPC abbia intrapreso costosissime attività di valutazione del potenziale estraibile nello Stretto di Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale – due zone contese tra Cina, Vietnam, Malaysia, Brunei, Filippine e Taiwan[27] – e che quindi non sono idonee a risolvere il problema[28]. Secondo un’analisi dei dati del Ministero degli Affari Economici di Taiwan[29], “le scorte superano leggermente i requisiti minimi con 39 giorni di carbone, 146 giorni di petrolio e 11 giorni di gas naturale” – qualora “la Cina dovesse attuare un blocco totale o anche parziale, Taiwan subirebbe gravi danni alla sua economia dopo 11 giorni poiché il gas naturale rappresenta circa il 37% della produzione di elettricità e la produzione alimentata a petrolio è trascurabile”[30].

Gli altri paesi asiatici sanno benissimo tutto ciò. Il 27 ottobre 2022, al meeting dell’ASEAN sulla crisi umanitaria in Myanmar[31] (un regime sanguinario[32] che Pechino usa in chiave anti-indiana, vista la grande crescita industriale ed economica di questo paese[33]), i membri della Lega dei paesi dell’Estremo Oriente hanno espresso la loro enorme preoccupazione per l’atteggiamento della Cina nei confronti di Taiwan in quanto temono che un blocco navale  cancellerebbe totalmente le forniture dei semiconduttori da cui queste economie, in costante crescita, sono totalmente dipendenti[34].

Il ruolo dell’ASEAN

3 agosto 2022: Il primo ministro cambogiano Hun Sen, parlando alla conferenza dell’ASEAN, ammonisce sui gravissimi rischi di un possibile isolamento militare di Taiwan per l’intero Estremo Oriente[35]

La Cambogia ha attualmente la presidenza di turno dell’ASEAN, ed il primo ministro Hun Se ha mostrato un grande coraggio, invitando il presidente ucraino Zelensky ed il presidente americano Joe Biden[36]. Il meeting segue un incontro bilaterale tra ASEAN e Stati Uniti (12-13 maggio 2022) nel quale la Cambogia era riuscita a convincere gli altri Stati membri a condannare decisamente il regime birmano, l’invasione della Russia e la scelta di campo dell’Estremo Oriente a favore degli Stati Uniti e, quindi, contro la Cina: uno sviluppo impensabile fino a solo pochi anni fa[37].

Nel 2016 il neo-eletto (nelle fila del DPP, il Partito Democratico Progressista fortemente indipendentista[38]) presidente Tsai Ing-Wen ha lanciato la New Southbound Policy, avente lo scopo di “riallineare il ruolo di Taiwan nello sviluppo asiatico, cercare nuove direzioni e slancio per la nuova fase di sviluppo economico del paese” grazie alle alleanze in seno all’ASEAN e con India, Australia e Nuova Zelanda – con la speranza di uscire dall’ombra politica, militare e commerciale della Cina[39]. Le ritorsioni cinesi e le contromisure di Taiwan non si sono fatte attendere: il repentino -non casuale- calo degli arrivi di turisti cinesi è stato prontamente contrastato con l’abolizione del visto per i turisti provenienti dai paesi dell’Indocina[40], abolizione che ha fatto registrare un surplus economico turistico pari a 3,45 miliardi di dollari, grazie al quale è stato finanziato un piano di sviluppo infrastrutturale[41].

La moltiplicazione dei progetti lucrativi cinesi in tutto il sud-est asiatico e la dipendenza dell’economia della regione dagli investimenti di Pechino hanno fatto sì che i Paesi dell’ASEAN siano stati a lungo restii a sviluppare relazioni più profonde con Taiwan – buone relazioni poco gradite in Cina, come testimoniato dalle costanti, più o meno velate, “esortazioni” cinesi a rispettare la sua One China Policy[42]. Una strategia che ha permesso di guadagnare tempo, ottenere i finanziamenti cinesi, ma non rompere mai il legame con Taipei[43]. Una scelta quasi obbligata negli anni della presidenza Trump, che ha sempre rifiutato il dialogo con l’Indocina[44].

L’ingresso alla Casa Bianca di Joe Biden è stato il fatto nuovo che, con il colpo di stato in Myanmar, ha mutato le carte in tavola[45]: l’Estremo Oriente rifiuta (giustamente) la forza destabilizzante della NATO che ha portato alla guerra in Vietnam[46], ma è aperto ed interessato ad una collaborazione con l’Occidente di fronte alla comune paura della Cina[47]. Una volta che Biden ha dimostrato il desiderio di Washington di considerare l’Indocina un alleato (anche economico e commerciale) l’ASEAN ha escluso il Myanmar dai propri meetings, ha deciso di applicare le sanzioni contro la Russia e si è schierata apertamente dalla parte di Taiwan[48].

Il progetto energetico

Greater Changhua 1 e 2a sono i primi progetti eolici offshore su larga scala di Taiwan[49]

Se la Cina è la fabbrica più grande del mondo, Taiwan ne è il cuore tecnologico pulsante che produce circa il 65% dei semiconduttori e oltre il 90% dei chip più avanzati, motivo per cui la sola fabbrica taiwanese TSMC consuma oggi il 6% dell’elettricità del paese – una quantità che raddoppierà[50] entro il 2025, quando saranno pronte le nuove fabbriche[51]. ⁠Del gas e del petrolio abbiamo già detto: non bastano. Taiwan non ha fiumi che possano generare energia idroelettrica, la sovrappopolazione non lascia spazio ad impianti di produzione di energia solare, e la popolazione è contraria all’energia nucleare.
Le conseguenze sono serie: negli ultimi anni l’isola ha subito diverse volte un blackout causato dal sovraccarico delle centrali elettriche esistenti[52]: l’aumento dei consumi fa in modo che i blackout divengano sempre più frequenti, ed i vecchi impianti siano sempre più difficili da riparare[53]. Per questo motivo, oggi Taiwan dipende dall’importazione di elettricità straniera – che ha bisogno di cavi adeguati, che non ci sono. Il governo di Taipei ha deciso di puntare sull’energia verde: aumentare l’uso del gas naturale, ridurre l’energia derivata dall’impiego del carbone e porre fine all’uso dell’energia nucleare[54].
Negli ultimi anni, poi, il governo di Taiwan ha fissato obiettivi particolarmente ambiziosi in tema di energie rinnovabili, con particolare attenzione allo sviluppo delle sue capacità nel settore dell’energia eolica offshore, per il quale il governo è pronto ad investire cifre impressionanti, attraendo così i produttori di tutto il mondo – Taipei, infatti, vuole decuplicare la potenza elettrica attualmente disponibile e vuole farlo al più presto possibile[55]. Nel 2021 è stato pubblicato il Jones Day White Paper, che riforma il quadro legislativo: le regole dell’approvvigionamento, il processo di approvazione ambientale, il processo di assegnazione della rete, il regime di approvazione/licenza per gli sviluppatori di impianti eolici offshore (ad esempio, i limiti di proprietà straniera, i controlli sui cambi, ecc.), il tutto con l’intento di fornire agli investitori solide certezze[56].

L’obiettivo iniziale è di crescere di 5,6 GW entro il 2025 grazie ad investimenti per 865,6 miliardi di dollari taiwanesi (circa 28 miliardi di dollari), in grado di favorire la creazione di circa 20’000 nuovi posti di lavoro, la generazione annua di 20 TWh di elettricità ed una contestuale riduzione delle emissioni di CO2 pari a 10,5 milioni di tonnellate all’anno[57]. Il piano è articolato in tre fasi: a) la Demonstration Incentive Program (DIP); b) la Zones of Potential; c) la Zonal Development, ognuna con una allocazione separata di rete. Inizialmente il progetto prevedeva la realizzazione di tre parchi eolici denominati (Formosa 1, Formosa 2 e Formosa 3), cui è stato aggiunto Formosa 4, che dovrebbe entrare in funzione nel 2025 e consiste di un progetto eolico offshore da 4400 MW nel Mar Cinese Meridionale[58]. Il progetto è stato sviluppato da J&V Energy Technology, Swancor Renewable Energy, Tien Li Offshore Wind Technology e Yeong Guan Energy Technology, ed è attualmente di proprietà di Stonepeak Infrastructure Partners[59].

Il primo parco, Taiwan’s 1st Offshore Wind Farm, ha iniziato la sua attività commerciale nell’aprile 2017 al largo della costa della contea di Miaoli, sul versante nord occidentale dell’isola, ed è guidato dai tedeschi di Swancor Renewable (gruppo Synera)[60]. L’impianto iniziale consiste in due turbine eoliche da 4 MW ciascuna, installate nel novembre 2016[61]. La seconda parte è stata messa in rete nel dicembre 2019, e consiste in 20 turbine SWT-6.0-154 di Siemens Gamesa con una capacità totale di 120 MW[62], ed ha prodotto la prima energia elettrica alla fine del 2021[63].

Le tre fasi del progetto OWE (Offshore Wind Energy)[64]

Il Taiwan’s 2nd Offshore Wind Farm (un progetto eolico offshore da 376 MW comprendente 47 turbine Siemens da 8 MW installate in acque profonde fino a 55 metri), al 21 luglio 2022 ha completato l’installazione di dodici turbine ed ha iniziato a fornire energia alla rete nazionale[65]. Il parco eolico, anch’esso allocato al largo della contea di Miaoli, è già pronto per metà, e più di un quarto delle turbine eoliche previste sono state installate[66]“nonostante condizioni meteorologiche avverse”, e “con elevate prestazioni in termini di salute, sicurezza e ambiente ed elevati standard di sostenibilità”[67].
L’installazione delle fondazioni di jacket e dei cavi inter-array sottomarini è iniziata soltanto ad aprile 2022, mentre l’installazione della turbina è iniziata all’inizio di giugno e, nel mese di luglio, Saipem ha completato la fabbricazione di 32 fondazioni per cappotti di turbine eoliche. Il parco è stato sviluppato dagli americani di JERA, dagli australiani di GIG Green Investment Group e dai tedeschi di Swancor Renewable Energy: una volta completato fornirà elettricità rinnovabile per le esigenze di circa 380’000 famiglie[68].

Si tratta di un progetto ciclopico, tuttora in via di completamento[69]: nell’agosto del 2022 è stato installato l’ultimo dei 188 piloni di sostegno, ciascuno lungo 78,9 metri, con un diametro esterno di 2,4 metri e dal peso di 280 tonnellate[70]. L’opera è stata più volte subappaltata, proprio per la sua difficoltà, ed è stata completata dagli italiani di Saipem[71] e della Sembcorp[72] di Singapore[73]. Il 1° settembre sono state installate le 47 fondazioni del rivestimento delle turbine eoliche e i cavi sottomarini[74]. Il 21 settembre gli inglesi di EDS HV[75] si sono aggiudicati un contratto multimilionario per i servizi di supporto alla rete ad alta tensione[76].

Tutto parrebbe procedere a grande velocità, ma l’apparenza spesso inganna. Il 30 settembre, infatti, la multinazionale danese Ørsted[77] ha deciso di ritirare la propria offerta nella prima asta del Round 3 della fase di sviluppo: “In qualità di sviluppatore di impianti eolici offshore più grande e con maggiore esperienza a Taiwan, abbiamo dovuto fare il punto sulle limitazioni imposte dall’attuale normativa, che in combinazione con l’alta inflazione e l’aumento dei tassi di interesse ci ha portato a concludere, dopo aver esaurito tutti gli sforzi, che non possiamo rendere i progetti sostenibili”[78].

Ørsted è il maggiore azionista (35%) del primo progetto eolico offshore su scala commerciale, Formosa 1, e presto entrerà in funzione il suo parco Greater Changhua 1 & 2a da 900 MW; nel frattempo la società sta portando avanti lo sviluppo del suo prossimo parco eolico, sempre a Taiwan, il Greater Changhua 2b & 4 da 920 MW, per il quale si è aggiudicata i diritti di costruzione nella prima asta eolica offshore di Taiwan nel 2018[79]. Il motivo per la rinuncia a Formosa 3 è riassunto nel Global Offshore Wind Report 2022, cui partecipa anche Ørsted: “I governi mondiali devono urgentemente mettere in atto le politiche e i quadri normativi per mantenere le loro promesse”[80], il che vuol dire che le promesse economiche, industriali e legali non vengono mantenute, e che parte del ciclopico progetto taiwanese poggia su piedi d’argilla.

Offshore Windfarm Projects Review in Taiwan Island 2019[81]

Ecco perché: il Ministero dell’Economia di Taiwan ha reso noto il piano per la Fase 3 il 19 agosto 2022 per progetti che dovrebbero entrare in funzione tra il 2026 ed il 2035[82]. Sarebbe già tardi, ma nel documento ufficiale c’è scritto che si rimanda ancora la decisione se i singoli lotti siano da 1 GW o da 1,5 GW: una maggiorazione del 50%[83]. Per le aziende, in queste condizioni, è impossibile programmare le spese e la realizzazione di un impianto[84]. A ciò si aggiungono i problemi legati ai ritardi negli approvvigionamenti imputabili alla pandemia, alla guerra in Ucraina[85], ad alcune crisi nazionali – tutte variabili che possono trasformare un parco eolico nella tomba di un’azienda costruttrice[86].

Per somma coloro che presentano domanda per partecipare alle gare possono essere ammessi all’appalto solo dopo una “valutazione delle capacità di prestazione” e la presentazione di documenti di approvazione del sito (nove lettere di valutazione), l’approvazione preliminare dell’EIA (Environmental Impact Assessment) e della Taipower Grid Feasibility (compatibilità con la rete elettrica Taipower) – una rete vecchia e danneggiata, non idonea a supportare la distribuzione degli incrementi della produzione di elettricità[87]. Il mantenimento di un’alimentazione elettrica stabile è una delle sfide più significative che il Ministero degli Affari Economici e Taipower[88] devono affrontare: le più recenti previsioni parlano di una crescita dei consumi energetici pari al 2,5% l’anno, ossia di qualcosa che supera di ben il 26,4% la precedente stima[89].

Secondo gli operatori, comunque, anche questa nuova stima è ottimistica visto l’aumento del numero dei blackouts[90], per cui il documento del governo che annuncia la possibilità di un nuovo adeguamento della gara d’appalto con l’assegnazione di licenze per la produzione di altri 100MW appare come un qualcosa che, a questo punto, nessun’azienda al mondo sarebbe in grado di realizzare nei tempi e con i costi previsti[91]. Stando così le cose è facile capire perché una grande azienda come la Ørsted si sia tirata indietro e perché altre, che fanno parte del piano già da anni, abbiano posto con il governo la questione di una nuova distribuzione di costi e benefici, in modo da poter ammortizzare le spese di costruzione ed installazione[92].

Il grosso errore commesso da Taipei è stato di aver investito enormi risorse finanziarie nello sviluppo dell’energia eolica offshore senza prima ricostruire la rete elettrica e le centrali di distribuzione e senza preoccuparsi dei possibili aumenti dei costi imputabili alla regolamentazione ondivaga del governo[93]. È mancato ed ancora manca, purtroppo, un quadro giuridico ed amministrativo efficace ed efficiente che sarebbe stato possibile definire solo creando un’agenzia statale centralizzata abilitata a prendere decisioni strategiche e di spesa immediate[94]. Al mancato aggiornamento della rete va aggiunta la mancata presa in considerazione le giuste istanze di chi già lavorava in mare: una grave mancanza visto che l’industria ittica, che da sola contribuisce con il 14% al PIL nazionale, in mancanza di misure specifiche verrà profondamente danneggiata dai parchi eolici offshore[95]. Più in generale, si è ignorata la questione della volontà popolare[96].

La minaccia cinese, l’alleanza con l’Indocina

Jet e navi cinesi intorno a Taiwan. Pechino: “Azione necessaria contro la collusione con gli USA”[97]

Il progetto eolico è una questione di vita o di morte. Il 25 agosto 2022 il “Taipei Times” scrive: “I progetti di parchi eolici stimolano gli investimenti diretti esteri”. Questi hanno contribuito (43% del totale) a triplicare la loro somma in un solo anno (+ 9,69 miliardi di dollari)[98] ma è bastata la visita a Formosa di Nancy Pelosi per scatenare le minacce e le esercitazioni militari di Xi Jinping che, accompagnate alle carenze del progetto eolico taiwanese, hanno fatto immediatamente scendere la cifra di investimenti stranieri di un terzo[99]. Le offerte approvate nei primi 7 mesi del 2022 sono scese del 7,04% rispetto all’anno precedente[100].

La curva è tornata a salire non appena Biden e Xi Jinping, il 14 novembre 2022, si sono stretti la mano[101]. La tregua del contenzioso tra le due superpotenze gravitanti sul Pacifico, Taipei lo sa benissimo, non è un segnale solo positivo[102]. Vuol dire che, in modo più o meno segreto, e con la compiacenza silenziosa di Washington, industrie cinesi stanno rilevando le quote di licenze di costruzione cui hanno rinunciato le aziende occidentali[103]. ⁠Un’intensificazione delle esercitazioni militari cinesi lungo le rotte marittime intorno a Taiwan potrebbe potenzialmente non solo interrompere le esportazioni di Taiwan e ritardare o interrompere le spedizioni in entrata di energia, minerali, prodotti alimentari e altri componenti critici, ma persino compromettere l’integrità ed il successo del progetto eolico taiwanese[104].

La minaccia cinese è responsabile della confusione generata dalla conseguente necessità di una rimodulazione delle regole del Round 3 che prevede una velocizzazione della realizzazione degli impianti previsti ed una maggiorazione delle potenze erogate: una necessità che per aziende come Ørsted è economicamente ed industrialmente inaccettabile[105]. Taiwan è in grande ritardo perché i paesi dell’Indocina (Cambogia, Laos, Myanmar e Vietnam) sono da tempo impegnati in progetti di energia termica e idroelettrica il cui obiettivo è non solo quello di rendere possibile la crescita economica, ma anche di assicurarsi l’indipendenza dalla Cina[106].
Il Vietnam è in vantaggio sui propri vicini: ha un grande operatore finanziario (SAM-Saigon Asset Management) impegnato nella gestione di fondi destinati all’implementazione energetica indocinese[107], e il piano dello Stato (Master Plan 7) è già a buon punto e ha previsto nuovi investimenti per 48,8 miliardi di dollari, che hanno triplicato la capacità elettrica del Paese[108]. Essendo il prezzo stabilito dal governo per l’elettricità troppo basso, dopo il 2020 il piano ha subito un rallentamento, ma la deregulation degli ultimi due anni ha restituito attrattività e slancio alla transizione ecologica vietnamita[109].

La Cambogia è quella che pratica i prezzi più alti, ma lo fa perché produce elettricità quasi esclusivamente con il gasolio, e questo oggigiorno costa cifre folli – motivo per cui il governo ha appena lanciato l’appalto per 15 nuovi progetti di energia rinnovabile[110]. Quanto al Laos, la sua produzione di energia elettrica rappresenta la principale componente del PIL: una pietra miliare della locale politica di sviluppo industriale[111]. Sebbene l’economia del Laos si basi principalmente sull’agricoltura e sull’allevamento, la sua crescita economica è stata tra le più rapide dell’Asia grazie alle esportazioni di risorse naturali, tra cui l’energia idroelettrica, per cui il paese ha guadagnato l’appellativo di “batteria del sud-est asiatico”[112]. Nel 2018, con una capacità installata totale di 519 GW, l’Indocina è la regione del pianeta che ospita un terzo della intera produzione mondiale di energia idroelettrica[113].

La Centrale di Baihetan (Cina): il più grande progetto idroelettrico al mondo, produce 10 miliardi di kwh di elettricità pulita all’anno – una riduzione di 8,38 milioni di tonnellate di anidride carbonica[114]

Fortunatamente, non lontano da Taiwan, ci sono due economie che stanno crescendo a ritmi impressionanti, hanno ottimi rapporti diplomatici e commerciali con Taipei e condividono la paura della Cina: India ed Indonesia. Quest’ultimo paese è il Paese più popoloso e la più grande economia del sud-est asiatico, ed anche se il 98,1% del paese è oggi raggiunto dall’energia elettrica, il bisogno crescente di energia e di componenti elettroniche fa in modo che Taipei sia la grande speranza per il boom economico indonesiano[115].

L’approvvigionamento energetico primario in Indonesia si basa principalmente su combustibili fossili: nel 2015, il 41% del consumo energetico indonesiano era basato sul petrolio, il 24% sul gas naturale e il 29% sul carbone mentre per ciò che riguarda le energie rinnovabili, in particolare l’idroelettrico e il geotermico, queste coprono una quota del 6%, anche se le statistiche non tengono conto dell’uso tradizionale della biomassa, che secondo le stime rappresenta tra il 21% e il 29% della domanda totale di energia[116]. Oggi solo l’8,15% del potenziale idroelettrico dell’Indonesia viene sfruttato, e ciò corrisponde a solo il 7,6% del fabbisogno nazionale[117]. Il governo di Djakarta vuole centrare l’obiettivo di aumentare la quota di mercato delle energie rinnovabili al 23% entro il 2025, e le due strade per evitare di scendere a patti con Pechino sono sfruttare il grande potenziale idroelettrico ed acquistare energia verde da paesi amici – come, appunto, Taiwan[118].

Sia l’Indonesia che gli altri paesi dell’area ASEAN sono fortemente motivati ad aiutare e sostenere l’indipendenza di Taiwan, in modo da garantire il libero commercio dei semiconduttori ed avere un alleato solido ed affidabile a pochi chilometri dalla costa cinese. Passato il tempo in cui l’Estremo Oriente aveva bisogno di Pechino per sostenere la propria crescita, le economie dell’Indocina sono diventate forti ed agguerrite – e sono espressione (tranne il Myanmar) di paesi a guida democratica e religiosamente tolleranti. Fa bene l’Unione Europea ad includere aziende taiwanesi nei propri programmi di sviluppo della robotica, della sicurezza digitale, della sanità, della microelettronica – e, ovviamente, dell’energia rinnovabile[119].
Ed è per questo che il ciclopico, coraggioso, forse disorganizzato sforzo di Taipei di raggiungere in un solo decennio l’indipendenza energetica e il passaggio alle energie rinnovabili, va sostenuto da noi Europei con convinzione e coerenza,  evitando di cadere nell’ennesima trappola geopolitica in agguato che ci farebbe finire ancora una volta schiacciati tra interessi russi, cinesi ed americani. L’Indocina è un’alleata fondamentale e Taiwan è, in tutti i sensi, un’isola di ragionevolezza in un quadrante di militarismo imperialista.

 

 

[1] https://www.taiwan.gov.tw/content_3.php
[2] https://www.thehindu.com/news/international/china-military-begins-fresh-taiwan-drills-showing-new-normal/article65746827.ece
[3] https://thediplomat.com/2022/09/taiwans-greatest-vulnerability-is-its-energy-supply/
[4] https://www.ispionline.it/it/print/pubblicazione/taiwan-sfida-sullo-stretto-36003
[5] https://thediplomat.com/2022/09/taiwans-greatest-vulnerability-is-its-energy-supply/
[6] https://www.scmp.com/news/china/military/article/3188257/mainland-china-declares-military-drills-will-continue-around ; https://asiatimes.com/2022/08/chinas-taiwan-strait-drills-the-new-normal/
[7] https://thediplomat.com/2022/09/taiwans-greatest-vulnerability-is-its-energy-supply/
[8] https://thediplomat.com/2022/09/taiwans-greatest-vulnerability-is-its-energy-supply/
[9] https://www.wsj.com/livecoverage/nancy-pelosi-taiwan-visit-china-us-tensions/card/taiwan-s-energy-supply-is-vulnerable-to-china-retaliation-economist-says-PrV8K5k11XrXuKlkvOXt
[10] https://thediplomat.com/2022/09/taiwans-greatest-vulnerability-is-its-energy-supply/
[11] https://brownpoliticalreview.org/2020/05/taiwan-energy-independence/
[12] Bureau of Energy, Ministry of Economic Affairs. Bureau of Energy, Ministry of Economic Affairs. 2019-08-01 https://www.moeaboe.gov.tw/ECW/english/content/ContentLink.aspx?menu_id=1540
[13] https://e-info.org.tw/node/229789
[14] https://e-info.org.tw/node/229789
[15] https://e-info.org.tw/node/229789
[16] https://e-info.org.tw/node/229789
[17] https://en.m.wikipedia.org/wiki/Energy_in_Taiwan
[18] https://www.worldatlas.com/articles/what-are-the-major-natural-resources-of-taiwan.html
[19] https://www.wsj.com/livecoverage/nancy-pelosi-taiwan-visit-china-us-tensions/card/taiwan-s-energy-supply-is-vulnerable-to-china-retaliation-economist-says-PrV8K5k11XrXuKlkvOXt
[20] https://www.wsj.com/livecoverage/nancy-pelosi-taiwan-visit-china-us-tensions/card/taiwan-s-energy-supply-is-vulnerable-to-china-retaliation-economist-says-PrV8K5k11XrXuKlkvOXt
[21] https://www.taipeitimes.com/News/feat/archives/2021/05/28/2003758176 ; https://www.moc.gov.tw/en/information_247_125403.html
[22] https://www.worldatlas.com/articles/what-are-the-major-natural-resources-of-taiwan.html
[23] https://www.worldometers.info/oil/taiwan-oil/
[24] https://www.worldometers.info/oil/taiwan-oil/
[25] https://thediplomat.com/2022/09/taiwans-greatest-vulnerability-is-its-energy-supply/
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[29] https://thediplomat.com/2022/09/taiwans-greatest-vulnerability-is-its-energy-supply/
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[32] LA STUPIDITÀ E LA FEROCIA AL POTERE: SCENE DA UN MYANMAR NEL CAOS | IBI World Italia ; GLI INTRIGHI FINANZIARI DIETRO IL SANGUINOSO COLPO DI STATO DEL MYANMAR | IBI World Italia
[33] https://www.glistatigenerali.com/asia_geopolitica/la-stupidita-e-la-ferocia-al-potere-scene-da-un-myanmar-nel-caos/
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TAG: #geopolitica, economia, Sud Est asiatico, Taiwan, USA-Cina
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