Libia, approvata la missione navale, ora l’incognita è la Russia

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20 Maggio 2015

La missione navale decisa dall’Europa per le acque mediterranee di fronte alle coste libiche è stata approvata – ma non tecnicamente varata nel suo complesso – dal Consiglio europeo degli Affari Esteri del 18 maggio 2015 e si chiamerà EUNAVFOR MED.

Il documento ufficiale che la regola è stato pubblicato il giorno seguente.

Il punto 1 dell’Articolo 1 ne definisce subito la Missione e recita nella traduzione ufficiale in italiano: «L’Unione conduce un’operazione di gestione militare della crisi che contribuisce a smantellare il modello di business delle reti del traffico e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale (EUNAVFOR MED), realizzata adottando misure sistematiche per individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o dai trafficanti, in conformità del diritto internazionale applicabile, incluse l’UNCLOS [United Nations Convention of the Law of the Sea, Convenzione delle Nazioni Unite della Legge del Mare] e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite».

L’operazione sarà divisa in tre fasi: una prima di «individuazione e monitoraggio», una seconda di «fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti in alto mare» di imbarcazioni sospette e una terza in cui verranno prese «tutte le misure necessarie nei confronti di un’imbarcazione e relativi mezzi, anche mettendoli fuori uso o rendendoli inutilizzabili».

Per quanto riguarda la gerarchia dei vertici dell’operazione, il documento stabilisce che comandante della stessa sia, dal quartier generale di Roma, l’Ammiraglio italiano Enrico Credendino, il quale dovrà periodicamente riferire della propria attività allo European Union Military Committee (Comitato Militare dell’Unione Europea, EUMC) presieduto dal novembre 2012 dal Generale Patrick De Rousiers e composto dai Capi di Stato Maggiore della Difesa dei paesi dell’Unione. A sua volta il Comitato Militare dovrà riferire periodicamente al Political and Security Committee (Comitato Politico e di Sicurezza, PSC) presieduto dal luglio 2013 dal diplomatico belga Walter Stevens. In ultimo il PSC riferirà periodicamente al Consiglio Europeo.

Nessuna periodicità è in verità esplicitamente indicata dal documento, il quale distingue tra «comandante dell’operazione UE» e «comandante della forza UE». Il primo è Credendino, l’altro si può forse individuare in quell’ancora anonimo «altro ufficiale, presumibilmente un altro italiano, a bordo di una delle unità» che, secondo il giornale ufficiale dell’Italia alle Nazioni Unite, guiderà la forza navale e dunque sarà presumibilmente alle dipendenze dello stesso Credendino: entrambi potranno comunque essere chiamati a riferire.

La missione sarà attiva per un anno «dopo aver raggiunto la piena capacità operativa», cioè, verosimilmente, da quando le Nazioni Unite avranno dato l’assenso richiesto ad alcune delle sue fasi, che diversamente non potrebbero essere applicate, e il Consiglio Europeo di fine giugno avrà ratificato il tutto.

 

Ammiraglio Enrico Credendino

Ammiraglio Enrico Credendino, torinese, 52 anni. Con un passato nelle operazioni antipirateria del Corno d’Africa, sarà lui a dirigere l’operazione europea EUNAVFOR MED dal quartier generale di Roma. (Fonte: www.onuitalia.com)

 

Dopo il Consiglio del 18: il ricorso  alle Nazioni Unite.

Varrà forse la pena, fin da ora, fare alcuni nomi: i seguenti.

Ambasciatore italiano al PSC è Alessandro Cortese, ambasciatore britannico Angus Lapsley. Capo di Stato Maggiore della Difesa italiano – e quindi membro del EUMC – è il Generale Claudio Graziano, Capo di Stato Maggiore della Difesa britannico il Generale Nicholas Houghton. Ambasciatore italiano alle Nazioni Unite è Sebastiano Cardi, ambasciatore britannico Matthew Rycroft; infine, ambasciatore russo alle Nazioni Unite è Vitaly Churkin.

Perché sembri necessario specificare questi nomi italiani, britannici e russi è presto detto.

Come ha riferito l’Alta Rappresentante dell’Unione Europea Federica Mogherini alla conferenza stampa del 18 maggio, subito dopo il Consiglio Affari Esteri, ora la questione più importante è l’approvazione della risoluzione delle Nazioni Unite che permetta ad alcune parti della missione di essere operative, visto che diversamente non lo potrebbero in accordo alle leggi internazionali. Nella migliore delle ipotesi, questa decisione dovrebbe precedere, favorevole, il Consiglio europeo di fine giugno.

Come già era stato anticipato da quella stessa stampa britannica e italiana che, basandosi su presunte bozze visionate, aveva fornito una versione della missione diversa da quella divulgata dai vertici ufficiali europei – un ultimo articolo da segnalare, in questo senso, è quello di Marco Zatterin della Stampa del 18 maggio – alcuni aspetti della missione europea avrebbero richiesto l’assenso delle Nazioni Unite e l’appello al Capitolo 7 del loro Statuto che permette l’intervento armato in territori nazionali terzi anche senza l’autorizzazione del governo riconosciuto del paese: nel caso libico, quello di Tobruk.

Anche se non cita mai esplicitamente il Capitolo 7, il documento prodotto il 19 maggio prevede la possibilità di ricorrere alle Nazioni Unite, ma la dà appunto solo per possibile e non per scontata. Al punto 8 dell’introduzione del documento si dice infatti chiaramente che «possono essere adottate misure anche in acque territoriali o interne, nel territorio o nello spazio aereo di uno Stato, nei confronti di imbarcazioni sospettate di coinvolgimento nel traffico o nella tratta di esseri umani, con il consenso di tale Stato o ai sensi di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, o entrambi». La seconda fase del Mandato – articolo 2, quella dei «fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti» – si divide poi in due punti per il resto identici, che recitano: «conformemente alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite applicabili o al consenso dello Stato costiero interessato [si procederà al da farsi] alle condizioni previste da detta risoluzione o da detto consenso».

Se ne intuisce dunque che l’Europa prevede un’alternativa – quella del consenso libico – all’uso del mandato delle Nazioni Unite e forse questo può giovare sia all’Europa che alla Libia: all’Europa perché, nel caso non arrivasse il consenso necessario da New York potrebbe comunque agire cercando l’accordo libico, ma anche perché la Libia capisca che nel caso di un mancato accordo e nel caso di un lascia passare delle Nazioni Unite, l’operazione europea avverrebbe lo stesso indipendentemente dalla sua personale volontà nazionale; alla Libia perché la diplomazia lascerebbe in vita un’alternativa all’uso europeo del Capitolo 7 e quindi, sempre dal punto di vista libico, una porta aperta al mantenimento della sovranità sul territorio.

Non è forse un caso che già il 19 Tobruk, che in passato pare avesse persino minacciato di bombardare qualunque nave entrasse nelle sue acque territoriali e in maggio aveva effettivamente bombardato un mezzo turco con quella stessa accusa, sia passata ora a più miti consigli nominando un inviato speciale in Europa che l’agenzia di stampa Associated Press individua col nome di Nuri Bait Almal.

Come sempre, insomma, una complessa questione di sfumature e prospettive.

 

L’enigma russo.

 

Serghej Lavrov, Ministro degli Esteri russo

Sergej Lavrov, Ministro degli Esteri russo dal 2004. Per Bruxelles il consenso russo all’operazione contro i trafficanti è importante perché alcune parti della missione richiedono, per essere operative, l’avallo delle Nazioni Unite. Nel 2015 Mosca ha stretto legami anche economici con Tobruk. (Fonte: www.reuters.com)

 

C’è da dire che, oltre al canale ufficiale dell’inviato speciale, la Libia può contare nella faccenda su un alleato di non poco conto come la Russia, capace di far naufragare l’iniziativa europea e quindi condizionarne fortemente la missione mediterranea con la sua facoltà di veto. Nei primi mesi del 2015 infatti – come già in febbraio spiegava l’analista Yuri Barmin –  il governo di Tobruk ha rinforzato alcuni legami economici e politici con Mosca che erano rimasti congelati dopo il 2011 e la fine dell’epoca gheddafiana e ora questa alleanza potrebbe rivelarsi utile per il governo riconosciuto: la Russia – ha fatto sapere il Ministro degli Esteri Sergej Viktorovič Lavrov, confermando precedenti indiscrezioni della solita stampa britannica e italiana – intende esaminare «nel modo più preciso possibile tutte le sfumature» di quella bozza che gli è stata consegnata già il 19 maggio e che è stata stesa dal Regno Unito con la collaborazione – riconosciuta anche da Fedrica Mogherini, quindi da Bruxelles – dell’Italia. Pare che la Russia sia particolarmente contraria all’uso dell’aviazione, ma anche le missioni di terra potrebbero non essere molto gradite e infatti sempre Marco Zatterin notava, in un suo articolo ancora del 19 maggio, che il documento risolutivo di EUNAVFOR MED «è però più basso di qualche tono rispetto alle prime bozze» da lui visionate, eliminando, per esempio, ogni riferimento alle azioni di terra.

Il motivo di questi cambiamenti rispetto alle bozze precedenti lo dice la stessa Ministra della Difesa italiana Roberta Pinotti, così citata dallo stesso Zatterin: «Serve per evitare discussioni troppo accese prima della decisione ONU».

Intanto bisogna osservare che su certe cose la stampa britannica e italiana hanno avuto alla fine ragione: la questione del possibile ingresso in acque territoriali libiche, negato al corrispondente del Guardian da Fedrica Mogherini il 13 maggio laddove però adesso il punto 8 della premessa del documento del 19 parla, come possibilità teorica e quindi da non escludersi a priori, di «acque territoriali o interne, nel territorio o nello spazio aereo di uno Stato»; la questione dell’azione militare – anche questa negata da Federica Mogherini il 13 maggio e suggerita piuttosto come operazione di polizia dalla Ministra Pinotti il 15, ma così definita dal documento ufficiale dell’operazione sin dall’intestazione; l’utilizzo dell’espressione «smantellare il modello di business delle reti di traffico» al posto di un più diretto «distruggere i barconi»; l’utilizzo dell’espressione «tutte le misure necessarie»;  la delicata questione russa. Segno che la versione ufficiosa della stampa risulta ampiamente credibile.

Intanto, il 20 maggio, riporta l’ANSA citando non meglio specificate fonti diplomatiche e comunque confermata dal giornale delle Nazioni Unite What’s In Blue, il PSC si è riunito informalmente con i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione della missione, probabilmente anche per sentire le prime reazioni moscovite alla bozza inviata.

 

Conclusioni. Aspettando la Russia, i possibili scenari.

Col suo diritto di veto da membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Russia ha adesso, nella questione specifica, un’ampia possibilità di influenza in area mediterranea. Come spiegava già l’11 maggio Marco Galluzzo del Corriere della Sera: «Per adottare una risoluzione occorre il voto favorevole di 9 membri su 15 e nessun veto da parte dei cinque membri permanenti», ovvero Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina.

Si possono avere, ad opinione di chi scrive, diversi scenari.

Non si trova l’accordo con la Russia e la Russia pone il veto: EUNAVFOR MED rimane come missione, ma per agire in acque o in territorio nazionale dovrà aspettare un accordo tra Bruxelles e Tobruk. Questo è forse lo scenario più favorevole, per certi versi, al proseguo del Dialogo Nazionale tra Tripoli e Tobruk, che è al momento in fase di stallo e che è mediato dalle stesse Nazioni Unite per riportare la pace tra i due maggiori protagonisti della guerra civile in corso nel paese, formare un governo di unità nazionale e affrontare la questione delle milizie terroriste presenti sul territorio. Se infatti le Nazioni Unite bocciano la risoluzione proposta dal Regno Unito col supporto italiano, Tobruk non avrà motivi per mettere in dubbio il Dialogo e vedrà rinforzata la propria vicinanza a Mosca. Da indagare però il proseguo dei rapporti tra Tobruk e un partner importante come l’Unione Europea, priva ora della legittimazione di New York.

Si trova l’accordo con la Russia – e con gli altri paesi con diritto di veto – e la risoluzione passa. Tobruk, ma anche Tripoli, accettano necessariamente l’intervento europeo in territorio nazionale e collaborano con Bruxelles così come esplicitamente auspicato da Federica Mogherini in conferenza stampa: d’altronde in questo caso l’operazione europea avrà già soddisfatto i parametri russi e quindi non dovrebbe prevedere né l’uso dell’aviazione né le operazioni di terra, o quantomeno una delle due opzioni. Nonostante la collaborazione libica, in particolare di Tobruk, sia di fatto obbligatoria, il Dialogo Nazionale potrebbe andare avanti lo stesso perché Tobruk non avrebbe troppo da rivendicare.

Si trova l’accordo con la Russia – e con gli altri paesi con diritto di veto – e la risoluzione passa. Tobruk non gradisce nemmeno la missione già passata al vaglio di Mosca e non trova un accordo con Bruxelles. È la peggiore – e forse anche meno verosimile – delle ipotesi, perché potrebbe avere influenze molto negative sia nel rapporto con le Nazioni Unite che in quello con Mosca e, ovviamente, con l’Europa. Bruxelles sarebbe costretta a ricorrere al Capitolo 7 ed entrare di forza in territorio o acque libiche; il Dialogo potrebbe essere messo in serissimo dubbio e cadrebbe l’unico, reale piano internazionale di pacificare una parte consistente degli attori della guerra civile libica, di creare un governo unitario e di far fronte ai gruppi terroristici locali. Più in generale, il forte clima di instabilità metterebbe ancora più in discussione gli interessi dei paesi europei – Italia in prima fila – in Libia. Da verificare poi il ruolo che assumerebbe il governo non riconosciuto di Tripoli, ostile a Tobruk e bisognoso, dal suo punto di vista, di legittimità.

 

Nella foto di copertina, barche da pesca su una spiaggia (Fonte: www.clapway.com)

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CAT: Geopolitica, Nordafrica

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