La tv Svizzera e l’Ufficio Sensibilità che la Rai si sogna

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22 Ottobre 2015

Che cos’è servizio pubblico? È una domanda che ci assilla, noi pagatori di canone prossimamente in bolletta (della luce), ormai da moltissimi lustri, ma che ogni volta che si ripresenta magari sotto forma di pacchi pre-serali o di orrende creature che cantano le canzoni da grandi in prima serata, assume inevitabilmente la forma interrogativa del mistero. Già, cosa sarà davvero servizio pubblico? L’occasione per chiarirci le idee è un’intera pagina di Repubblica, in cui Claudio Tito, capo del servizio politico, sale sino al settimo piano di viale Mazzini per intervistare il freschissimo presidente della Rai, Monica Maggioni. Le premesse sono anche divertenti, perché Tito, abituato a tangheri politici di prima e seconda repubblica, non ci mette molto a certificare al presidente la sua sostanziale inutilità, porgendole come seconda questione il seguente concetto: «Però lei perde quasi tutti i poteri». Al che la Maggioni la prende (fintamente) anche abbastanza bene, riconoscendo a Campo Dell’Orto, il nuovo ad, il potere «di far funzionare le cose come accade in tutto il mondo». Sulla coesione tra i due, dirà il tempo. Qui interessa capire se dalle parole di Maggioni emerge chiaro il significato di “servizio pubblico”. E alla domanda se “la Rai va cambiata oppure no?”, eccovi la risposta: «Moltissimo. Dobbiamo liberarla dalla burocrazia. Siamo lenti. E soprattutto bisogna riconquistare la capacità di essere contemporanei. Non è possibile che tra i nostri spettatori siano scomparsi gli under 35. Il servizio pubblico deve rivolgersi anche alle giovani generazioni. Noi, rispetto a loro, parliamo proprio un’altra lingua». Sin qui, come sopra. Il mistero resta. Tanto che Tito si perplime e chiede: «Cosa vuol dire?» La Maggioni illustra come a un convegno: «Negli anni ’50 e ’60, la Rai ha avuto un ruolo primario nell’alfabetizzazione del Paese. Noi dobbiamo farlo nella digitalizzazione. C’è una parte di italiani che non sa neppure cosa siano i social network. Dovremmo spiegarglielo. E c’è un’altra parte, i nativi digitali, cui dobbiamo offrire un prodotto moderno».

(Ps. Qui ci fermeremmo un attimo per una breve sosta-malizia. Nel senso che dopo queste parole, peraltro sagge e dense, ci è venuta voglia di toccare con mano la confidenza di Maggioni con i social. Zero. Nel senso che non compare su Facebook e neppure ve n’è traccia su Twitter e se tutto questo in un mondo meno ipocrita ci sembrerebbe una bellissima «assenza», in questo caso ci appare come un doppio registro un pochino fuori posto)

Non vogliamo tediarvi troppo. Solo mettere in carico a voi lettori l’onerosa risposta al quesito che a un certo punto della conversazione con Repubblica, il presidente Maggioni getta sul tappeto con forza: «Stiamo attenti a mettere in discussione la Rai: se non ci fosse, chi farebbe servizio pubblico? Siamo sicuri che non si abbasserebbe il tasso della nostra democrazia?» Ecco, detto che per Monica Maggioni la Rai è assolutamente e convintamente servizio pubblico, ciò che appare evidente è che neppure il suo rappresentante più autorevole è in grado di spiegarne il perché. Sì certo, possiamo citare Angela (padre), possiamo dire di Report, possiamo annoverare «I dieci comandamenti» tra le migliori trasmissioni italiane (ed europee), ma coglieremmo fior da fiore senza avere restituito il senso alto di una missione culturale. Che acclaratamente non c’è più, inghiottita negli anni dalla distruzione di massa che ne hanno fatto i partiti, veri proprietari dell’azienda. Tutte cose che sapete benissimo voi lettori e su cui è inutile soffermarsi.

Un’idea ce la siamo fatta di che cosa sia veramente servizio pubblico. E lo definiamo con una parola, semplice e diretta: sensibilità. In un mondo che non c’è, abbiamo fantasticato di un «Ufficio sensibilità», di un luogo in cui funzionari alla Camilleri si riuniscono tutti i giorni per valutare le sfumature dell’animo umano e valutarle per quello che sono. Per capirne le pieghe, entrarci alle volte in maniera aggraziata, alle volte, quando serve, con la forza della decisione. Sempre pensando ai lettori della televisione, a ciò che sarebbe meglio per loro, coscienti naturalmente che è possibile sbagliare. Sbagliare scelte, valutazioni, progetti, ma sempre con la stella polare della sensibilità.

Noi in realtà questo “Ufficio sensibilità” lo abbiamo scoperto. Sappiamo intanto dov’è, non in Italia, ma appena un passo più in là, nel Canton Ticino. È la tv della Svizzera Italiana, dove accadono ancora cose che si ascoltano solo nelle favole. Accade per esempio che l’altra sera un calciatore italiano, oggi “opinionista”, commenti le partite della Champions con un tono assolutamente pacato, con cento toni sotto Salvini, ottanta sotto la Meloni e almeno tre sotto Renzi. Insomma, un vero signore dei modi e dei toni. Bene, accade che a questo signore, che di nome fa Stefanio Eranio e che ha giocato nel Genoa e nel Milan, appena finita la trasmissione venga indicata la porta. Via, cacciato senza appello dalla televisione della Svizzera Italiana. Per razzismo. E cosa dice di così sconvolgente Eranio per meritarsi il cartellino rosso? Questo: «Spesso i giocatori, quelli di colore, quando sono sulla linea difensiva, certi errori li fanno perché non sono concentrati. Sono potenti fisicamente, ma quando c’è da pensare spesso e volentieri fanno questi errori».


Alla fine della trasmissione, l’Ufficio sensibilità della televisione della Svizzera Italiana, riunitosi per l’occasione, sancisce che quelle parole sono una inaccettabile forma di discriminazione razziale e chiude di conseguenza il rapporto con il giocatore.

Bene, non è un sogno, è tutto maledettamente vero. Ecco che cos’è il servizio pubblico. È attenzione, è rispetto, è anche prontezza interpretativa, in una concetto: sensibilità. Quelle stesse parole, in qualunque canale Rai, non avrebbero prodotto alcuna reazione, nessun Ufficio sensibilità si sarebbe mai riunito, anzi quelle parole sarebbero state considerate persino poco significative perché espresse in tono cortese e colloquiale, la prima casella della buona educazione. E si sa, da noi in Italia la buona educazione non è contemplata. Perché c’è come l’idea che se una persona dovrà dire una cosa razzista, potrà dirla soltanto ruttando e insultando.

 

TAG: licenziato, stefano eranio, tv svizzera
CAT: Integrazione

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