Con queste parole Nigel Farage ha annunciato nella mattinata del 4 luglio la sua decisione di lasciare la guida del suo partito, che ha guidato vittoriosamente la campagna del Leave:
“I have decided to stand aside as Leader of Ukip. The victory for the ‘Leave’ side in the referendum means that my political ambition has been achieved. I came into this struggle from business because I wanted us to be a self-governing nation, not to become a career politician.
Ukip is in a good position and will continue, with my full support to attract a significant vote. Whilst we will now leave the European Union the terms of our withdrawal are unclear. If there is too much backsliding by the government and with the Labour party detached from many of its voters then Ukip’s best days may be yet to come”.
Dunque, dopo il rifiuto di Boris Johnson di guidare il governo a seguito delle dimissioni di David Cameron, il fronte del Leave perde per strada un altro leader. Che spiega che continuerà a sostenere lo Ukip, per il quale preconizza un grande successo – “i giorni migliori potrebbe essere davanti” -, ma che premette che “rivuole indietro la sua vita” e che “non aveva mai voluto diventare un politico di professione”. L’obiettivo politico della sua scelta temporanea di fare politica, dunque, è raggiunto, e lui può tornare a fare business.
Sarà naturalmente interessante seguire le mosse di business di Farage, capire come saprà capitalizzare l’incerto cammino del Regno Unito in acque sconosciute. E cercare di capire, dopo, quali sono le ragioni vere dell’addio di Farage, se sono diverse da quelle – personali e deboli – che lo stesso ex leader ha addotto.
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