La più grande intervista fatta a Bukowski

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14 Marzo 2015

Il 9 marzo 1994 moriva, a San Pedro, Henry Charles Bukowski Jr., detto Hank. Da Il sole bacia i belli (Feltrinelli) un cut up di risposte di Bukowski per spremerne l’intervista definitiva. Illustrazione di Tafarno.

Henry Charles Bukowski jr, romanziere, scrittore di racconti megalomani, lussurioso, donnaiolo, leggenda vivente, amante della musica classica, padre amorevole, catorcio umano, giocatore di cavalli emarginato, rissoso ed ex impiegato statale, è seduto nel salottino di un bungalow di tre stanze da 105 dollari al mese con tappeti consunti, mobili scassati, tendine sbrindellate, in una zona di Hollywood dove pullulano centri massaggi, cinema porno e droga. Le uniche cose degne di nota in questo posto sono due quadri appesi al muro proprio di Bukowski, e non sono niente male. Sta tracannando una lattina di birra da mezzo litro, parte di due confezioni da sei che ho portato per aiutare a rendere scorrevole l’intervista. Non si prende neanche la briga di mettere le confezioni in frigorifero, evidentemente immagina che berremo tutto prima che la serata si concluda. È scalzo, in jeans e camicia gialla a maniche corte senza bottone all’altezza dell’ombelico. Sembra a suo agio e rilassato (1). I lineamenti regolari piuttosto piacevoli della faccia sono celati da un polpettoso bucherellato ricettacolo di karma negativo, autocommiserazione e vendetta coronato dal naso più a patata mai visto (2). Bukowski è nato ad Andernach, in Germania, il 16 agosto 1920. Il suo aspetto è solido e cattivo. I suoi occhi verdi ti freddano anche quando è gentile.

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Mamma tedesca e padre soldato americano alleato, ha visto l’America per la prima volta quando aveva due anni. Henry Charles Bukowski senior ha fatto il lattaio a Los Angeles, poi il custode di un museo: «Il mio vecchio era un bastardo insensibile, eravamo agli antipodi, raramente sapeva o gli interessava se ci fossi o meno» (3). Quando aveva 16 anni tornò a casa ubriaco e vomitò sul tappeto del salotto. Suo padre lo prese per il collo e cominciò a spingergli il naso verso il basso come si fa con i cani. Lui esplose e con un cazzotto beccò il padre che crollò a terra. Dopo quella volta non ha mai più provato a toccare il figlio (4). «La mia vita non è stata granché bella» racconta. «Gli ospedali, il carcere, i lavori, il bere, i dopo sbronza, i liquori pessimi, le donne brutte, le piccole stanze. E poi l’essere accoltellato, accoltellato ripetutamente senza cadere mai a terra e cercare ancora di pensare, di sentire, di ricomporre i pezzi della farfalla. Cristo santo, quando mi guardo nello specchio del supermercato e vedo i miei occhietti come piccoli insetti perfidi, la faccia storta, piena di cicatrici e il vomito rovesciato al posto della pelle, penso che comunque sono felice di non essere quegli uomini belli che vedo in giro» (5).
Perché?
«Fingono di avere anima, di essere alla moda, ballo, stivali, barba, berretto, qualsiasi cosa, capelli lunghi, gonne corte, sandali, qualsiasi cosa, feste psichedeliche, quadri, musica, pompelmo psichedelico, fronti di guerriglia psichedelica, cicchetti, alcolici, occhiali, motociclette, yoga, luci sonore psichedeliche, discoteche, le ragazze si chiamano Richard, qualsiasi cosa, qualsiasi fottutissima cosa che possa fornire loro un’identità che dia loro la parvenza di esistere per coprire l’orrendo vuoto. Bob Dylan è la loro anima: “Sta succedendo qualcosa e non sai cosa sia, vero mister Jones?”. Mamma mia, vedo uomini assassinati intorno a me ogni giorno, attraverso stanze piene di morti, strade di morti, città di morti, uomini senza occhi, uomini senza voce, uomini con sentimenti preconfezionati e reazioni standardizzate, uomini con cervelli di giornale, anime di televisione e ideali liceali. L’essere umano può essere davvero stupido soprattutto se visto nella penombra di quasi 2000 anni di cultura semi cristiana dove ideali emozionalmente barbari sono mischiati a sistemi educativi basati su forze nazionali regionali economiche e di status. A volte ho la sensazione che la bomba atomica sia stata l’invenzione più grande dell’uomo» (6).
E tu come credi di salvarti?
«Sono troppo un tipo solitario, troppo burbero, troppo contrario alla folla, troppo vecchio, troppo fuori tempo, troppo astuto, troppo scaltro per venire risucchiato e coinvolto (7). Mi sembra di essere l’ultimo esemplare dei solitari» (8).
Come ti presenteresti? 

«Sarei gentile, direi: “Ecco un vecchio che non sputerà mai il rospo”».
Non, chessò, uno scrittore?

«Scrivere per me è come cagare, lavarmi. Sono qui solo per scrivere la pagina successiva (9). Nella maggior parte dei casi devo dire che gli scrittori non sono brave persone, preferisco parlare con un meccanico di un’autofficina che sta mangiando un panino al salame per pranzo. Gli scrittori sono una brutta razza: o diventano politici o si convincono che devono diventare delle specie di profeti e di solito sono profeti del cazzo. Piuttosto portatemi un bambino di tre anni e allora sì che posso avere una conversazione interessante. Ma non più grande perché poi li mandi a scuola e diventano tutti uguali» (10).

Faulkner ha detto che i suoi libri sono i suoi figli. I tuoi libri sono i tuoi figli?
«Mi dispiace che Faulkner abbia detto una cosa simile. Sento dagli altri scrittori quanto sia duro scrivere e se per me fosse così maledettamente dura proverei a fare qualcos’altro» (11).
Qual è il tuo pensiero sulla letteratura?
«La letteratura è stata un grande imbroglio, un gioco scialbo, stupido, pretenzioso che mancava di umanesimo. Ci sono delle eccezioni… Ma sentivo che comunque era un imbroglio perpetuato nei secoli. Aprivo un libro e mi addormentavo: pura noia studiata a tavolino. Così ho pensato: ripuliamo il verso e stendiamolo come fosse una corda di bucato, senza ingombri, il verso semplice, fluente e al tempo stesso sfruttare questo verso semplice per appenderci tutte queste cose, le risate, le tragedie, il bus che passa con il rosso. Tutto» (12).
Cosa leggi?
«Per me è diventato molto duro leggere. Leggo le prime righe, arrivo al primo paragrafo e poi non posso più: percepisco falsità» (13).
Chi non ti fa sbadigliare?
«Nietzsche, Schopenauer – questa roba è grande, ottima – e il primo libro di Céline e  Hamsun e Dylan Thomas» (14).
Secondo te cosa dovrebbe fare un poeta durante un periodo di rivoluzione?
«Bere e scopare, mangiare e cagare, dormire, vestirsi, vivere, stare alla larga dalle pistole e da ideali di massa e dalla storia della massa e trovare qualsiasi piccola verità possa essere trovata in ogni uomo, così quando le verità di massa e ideali e idee si frantumeranno di nuovo allura lui (il poeta) e loro (i gabbati) avranno qualcosa a cui aggrapparsi, invece che alle macerie e al marciume e alle lapidi funerarie e alla slealtà e allo spreco di isteria e di Tempo».
È vero che hai cominciato a scrivere Donne dopo diversi anni di celibato?
«Diversi anni? Erano passati dieci, dodici anni dall’ultima volta che avevo fatto sesso. Bisogna ricaricare il proprio sperma. O forse credo dipenda dal fatto che le donne portano più guai di qualsiasi cosa. Credi sia stato così terribile non far sesso per dodici anni? Mi stavo preparando per la tempesta di donne che sarebbe arrivata. Le cose nella vita succedono. Ho scopato per la prima volta a 23 anni e non me ne frega granché del sesso».
Davvero? Perché?
«È come un tramezzino al burro di arachidi. Cosa credi che succeda quando la gente raggiunga una certa età e non è più possibile fare sesso? Non ami più quella persona? Cosa è questa grande menata sul sesso? Tutto ruota attorno al sesso? Non posso farmi un giro in bicicletta senza pensare al sesso? Sono una persona impura perché non penso al sesso? Non ho nulla contro una sana scopata ma credo che abbia assunto eccessiva importanza. Il sesso è una cosa grandiosa solo quando non ce l’hai».

Poi, sogghignando, mi informa anche che un’amica se ne era andata poco prima che arrivassi. «Me la sono scopata sul divano proprio lì dove sei seduto, era piuttosto giovane, sui 23-24 anni, non era male solo che non sapeva baciare. Con questa comunque fanno tre donne diverse nelle ultime 36 ore. Amico, ti assicuro: le donne preferiscono scomparsi poeti piuttosto di qualsiasi altra cosa. Se l’avessi scoperto prima non avrei aspettato di avere 35 anni per scrivere poesie» (15).

Ti preoccupa di come si sentono le donne quando fanno l’amore con te?
«Fai riferimento alle stronzate femministe? Be’ d’accordo, a volte ho tentato di fare del mio meglio: un sacco di preliminari; so dov’è il clitoride, so fare tutte quelle cose, le so fare. Ma tutta quella stronzata di leccare la figa può farti diventare una specie di servo».
Come sei a letto?
«Non sono uno sporcaccione, sono molto puritano in realtà. Quando faccio l’amore non sono molto aperto, odio perfino fare l’amore durante il giorno. Ho un mio motto sulle donne: tornano sempre. Ed è vero: a volte tornano insieme, due o tre per volta e lì diventa davvero grigia» (16).
Come è il tuo cazzo?
«Ho proprio delle palle magnifiche. Se il mio cazzo fosse proporzionato alle palle sarei uno stallone di prima categoria» (17).
Parliamo dell’ozio…
«Questo è molto importante… oziare. Il ritmo è l’essenza. Se non ci si ferma completamente e non si fa nulla per lunghi periodi si perde tutto. Sia che tu faccia l’attore che qualsiasi cosa, la casalinga… devono esserci delle grandi pause tra un picco e un altro dove non si fa assolutamente niente. E quanti lo fanno nella società moderna di stare seduti a guardare il soffitto? Molto pochi. Ecco perché sono completamente a pezzi, frustrati, arrabbiati, e carichi di odio. All’epoca prima di sposarmi abbassavo le tapparelle e rimanevo a letto per tre quattro giorni. Poi mi vestivo e uscito e il sole era splendente e i suoni grandiosi. Mi sentivo potente come una batteria ricaricata.. ma sai quale era la prima cosa che mi buttava giù? La prima faccia umana che incontravo lungo il marciapiede, metà della mia carica se ne andava in un istante. Ma ne rimaneva comunque la pena, me ne restava ancora metà. Quindi… sì all’ozio!».
Parliamo dell’ippodromo. Perché ci vai?
«Ci sono un sacco di cose all’ippodromo: innanzitutto c’è la massa, campioni di varia umanità, ci sono proprio tutti, hanno la guardia abbassata e se sei stato all’ippodromo quando ci sono le corse e hai visto quelle facce arrivi a una verità che non è mai stata scritta sulle cose, se registri tutto specialmente: osservo le loro facce e provo una sensazione orribile e poi vado a pisciare e mi guardo nello specchio e ho anch’io la stessa faccia».
Credi che la piccola editoria serva?
«È una stampella per privi di talento, permette loro di costruire pregiudizi, odi, sogni e di continuare a scrivere le loro brutte cose. Con “piccola editoria” io intendo le riviste minori e gli editor di pqueste riviste minori che spingono per vedere pubblicate ogni giorno queste mezze tacche sotto forma di libro, ciclostile o cose simili. Il panorama della piccola editoria è particolarmente duro per madri e mogli che devono mantenere queste mezzetacche»

Noto dei manubri impilati in un angolo, gli chiedo se solleva pesi. «Sollevarli?» fa un mezzo ghigno. «Cazzo, a volte li lancio. Una volta ho fatto un buco enorme nella parete dell’appartamento… Mi sembrava migliorasse l’ambiente ma il proprietario pensava di no» (18).

Perché scrivi?
«A cosa serve l’arte se non ad aiutare gli uomini a vivere? A me ha aiutato a continuare a vivere (19). E a gettare l’occhio su per il culo della morte, forse» (20).
Le tue ultime parole?
«Siamo tutti solo in attesa, facciamo piccole cose nell’attesa di morire. Le luci non si spengono finché non si spengono. E basta non c’è altro da aggiungere» (21).

Note: 1. Glenn Esterly, Buk: The Pock-Marked Poetry of Charles Bukowski-Notes of a Dirty Old Mankind, RS, 1976 2. Don Strachnan, Ab Evening with CB: A Pulpy Receptacle of Bad Karma, Self Pity and Vengeance, Los Angeles Free Press, 1971 3. William Childress, CB, Poetry Now, 1974 4. Glenn Esterly, Buk: The Pock-Marked Poetry of Charles Bukowski-Notes of a Dirty Old Mankind, RS, 1976 5. F. A. Nettelbeck, Charles Bukowski Answers 10 Easy Questions, Throb Two, 1972 6. Michael Perkins, Charles Bukowski: The Angry Poet, New York, 1967 7. John Thomas, This Floundering Old Bastard is The Best Damn Poet in Town, Los Angeles Free Press, 1967 8. Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks Out, Literary Times (Chicago), marzo 1963 9. Ron Blunden, Faulkner, Hemingway, Mailer… And now Bukowski, The Paris Metro, 1978 10. William J. Robson and Josette Bryson, Looking for The Giants: An Interview with Charles Bukowski, Southern California Literary Scene, 1970 11. CB on CB as written to Gerald Locklin, Home Planet News, 1982 12. Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversation with CB, Los Angeles Free Press, 1975 13. Douglas Howard, Interview: CB, Grapevine, 1975 14. Marc Chétenier, CB, An Interview, Northwest Review, 1977 15. Glenn Esterly, Buk: The Pock-Marked Poetry of Charles Bukowski-Notes of a Dirty Old Mankind, RS, 1976 16. Douglas Howard, Interview: CB, Grapevine, 1975 17. Glenn Esterly, Buk: The Pock-Marked Poetry of Charles Bukowski-Notes of a Dirty Old Mankind, RS, 1976 18. William Childress, CB, Poetry Now, 1974 19. Michael Perkins, Charles Bukowski: The Angry Poet, New York, 1967 20. CB, Hollywood Hollywood, Feltrinelli 1990 21. Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks Out, Literary Times (Chicago), marzo 1963

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