musica in metamorfosi con Alvise vidolin 05/12

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17 Febbraio 2019

MUSICA IN METAMORFOSI 05
Qualche mese fa, grazie all’intuizione di Paola Damiani e su commissione di  Radio3 Suite, ho realizzato un ciclo di 12 puntate intitolato “Musica in metamorfosi“ . Un dialogo a più voci con compositori, interpreti, musicologi, ingegneri del suono ecc. su questo immenso proliferare di generi musicali… sintomo di una democrazia in ottima forma o effetto di una metamorfosi sotterranea di ciò che abbiamo chiamato, per diversi secoli presente compreso… musica?

Il programma è stato accolto con grande curiosità, ho ricevuto moltissime mail ed è stato candidato al Prix Europa. Mi è sembrato quindi potesse esser di un qualche interesse trascriverlo, seppur parzialmente, e metterlo a disposizione. In questo formato possono esser approfonditi elementi diversi, come le biografie degli autori o delle persone citate e in ogni caso, in fondo alla pagina troverete il link della puntata.

Insomma buona lettura (parziale) e/o… ascolto !

Andrea Liberovici – Alvise Vidolin

Alvise Vidolin

Puntata 5

Andrea Liberovici: 2402, ripeto 2402 generi musicali diversi. C’eravamo fermati la settimana scorsa, se non ricordo male, intorno ai 1000, e non mi immaginavo minimamente che saremmo arrivati ad altri 1000. Questo dimostra, innanzitutto, che abbiamo uno staff di persone sufficientemente ossessive e pazze che stanno continuando ad aggiornare i numeri benissimo, e che ringrazio, così come ringrazio i nostri Hänsel e Gretel, ovvero Sofia e Jan, che stanno arrivando per aggiornarci sul catalogo. Eccoli…

Hänsel e Gretel: J-Rock, Industrial Metal, Visual K, Nu Metal, Punk Metal, Rap Core, Garage Rock, Avant-garde Metal, Indie Rock, Black Metal, West-Coast…

A.L.: Buonasera, mi chiamo Andrea Liberovici e faccio il compositore e il regista di teatro. Chi ha ascoltato qualche puntata conosce già il mio ex amministratore di condominio, che è quello che in realtà ha dato la definizione migliore del mio lavoro. “Liberovici, lei è un registra”, e, in qualità di registra, ho registrato una serie di dialoghi intorno a una domanda. La domanda è: questa proliferazione di generi musicali infinita è il segno di una democrazia in ottima forma o, forse, è il sintomo di una metamorfosi che apparirà all’improvviso?

Musica

A.L.: Se apparirà o meno questa metamorfosi delle arti acustiche, e quando apparirà, non lo sappiamo ancora, ovviamente, ma mi piace pensare – ed è per questa ragione per cui utilizzo questo incipit musicale così potente, a proposito si intitola …en bordure d’espaces… del compositore Gualtiero Dazzi – mi piace pensare che questa mutazione profonda possa essere interpretata liberamente come un giallo e quindi con un lieto fine, o come un noir tutt’altro che consolatorio. In ogni caso, la parola chiave che ci accompagnerà in questo weekend è la parola: precotto. Secondo la Treccani, quando si parla di precotto, si parla di: cibo posto in vendita, già cotto o parzialmente cotto, per consentirne una lunga conservazione e una rapida preparazione da parte del consumatore. Dal meraviglioso avvento, perché è stato un avvento, nel 1962 delle Campbell’s Soup di Warhol, di che cosa si nutre il nostro immaginario? Qual è il nostro regime alimentare? E mi sa che mai parola – regime – fu più appropriata. Le arti acustiche, grazie alle nuove tecnologie come sappiamo, ovviamente non sono state esenti da questo processo di cottura preventiva. Stasera e domani sera proveremo a parlarne dall’interno, ovvero con due celebri ingegneri del suono su due rive diametralmente opposte, per lo meno così nel novecento. Alvise Vidolin, regista del suono, ingegnere del suono di compositori come Luigi Nono e Salvatore Sciarrino, e Alberto Parodi, ingegnere del suono di Eric Clapton, ingegnere di studio soprattutto, e di molti cantautori fra cui Ivano Fossati, Paolo Conte e via dicendo, con cui parleremo domani. Ad Alvise Vidolin propongo, per iniziare questa indagine, questa riflessione, una frase di Olivier Messiaen che abbiamo già citato nelle trasmissioni precedenti, e che credo possa essere un buono stimolo per iniziare questa riflessione sulle tecnologie acustiche.

Mentre la musica modale – ci dice il maestro – aveva tenuto per dieci secoli, la musica tonale ha retto per tre o quattro secoli, la musica seriale dodecafonica è durata a esser larghi sessant’anni, la musica ripetitiva un decennio, la musica aleatoria qualche anno, mese o giorno, ce n’è una di queste musiche del novecento che dobbiamo considerare, forse, come diversamente orientata nel tempo: è la musica elettronica. Forse la principale invenzione del secolo è quella che più ha tenuto stretti al passo del suo crescere i compositori. Ci sono stati gli specialisti, come – e qui fa una serie di nomi – ma tutti i compositori hanno subito l’influenza della musica elettronica. Tanti anche prima che nascesse, anche comunque se non ne hanno fatta mai, ma hanno fatto come se la facessero.

Alvise Vidolin: Condivido l’affermazione perché la musica elettronica non è uno strumento nuovo, cioè lo è ma in senso molto lato. Non si è aggiunto il sassofono all’orchestra o qualche strumento a percussione in più e così via. La musica elettronica è nata innanzitutto come modo nuovo di comporre, quindi è diventata quasi una sorta di strumento per il compositore. Pensiamo a Berio, Maderna, lo Studio di Fonologia, Milano, ma lo stesso si potrebbe dire di StockhausenSchaeffer nel resto d’Europa. Era il compositore che, attraverso il nuovo mezzo, che è un sistema non uno strumento, riesce a comporre diversamente la musica. Si utilizzava, e si utilizza ancora per me, il mezzo elettronico proprio per fare quelle cose che non era possibile fare se non con il mezzo elettronico. È questo diverso modo di affrontare la composizione che ha fatto il cambio di paradigma, quindi la musica elettronica nasce, in fondo, come strumento per il compositore, e il compositore si appropria di questo nuovo strumento. Dicevamo prima che però non è uno strumento. Perché non è uno strumento o per lo meno è uno strumento in senso lato? Perché il compositore deve prima costruirsi lo strumento, ovvero con le varie apparecchiature, con i vari dispositivi elettronici, unendoli assieme, collegandoli in una certa maniera, ti crea lo strumento. Dopodiché, una volta che si è creato questo strumento, si deve imparare a suonarlo, quindi capire cosa può fare, come si deve controllare, e successivamente come comporre. Il processo di apprendimento e di nascita della composizione è molto più lungo rispetto a dire “scrivo per pianoforte” di cui c’è una letteratura secolare e che aiuta anche per fare il passo successivo. C’è anche il problema riguardo le competenze tecniche, per cui nascono anche delle nuove figure professionali. Il pianista è una figura professionale, che conosce molto bene quello strumento. Proprio perché il mezzo elettronico non è uno strumento unico e storico, ma si reinventa costantemente, ci vuole una persona che sappia, in qualche maniera, programmare, utilizzare i sistemi prima analogici e poi successivamente informatici, per generare i suoni, per comporre i suoni, per poi comporre anche la musica. Ho usato la parola suono, proprio perché l’altro elemento di grande novità, rispetto alla musica, è proprio il suono, cioè con l’elettronica la musica riparte dal suono che, non voglio dire si fosse dimenticato, ma in qualche maniera era un po’ dato per scontato, in quanto il suono del violino, del pianoforte, si possono in qualche maniera deformare e scoprire, ma sono quelli già dati. Invece, con il mezzo elettronico uno può entrare dentro la materia sonora per due strade: attraverso la registrazione, quindi riportando in una dimensione artistica e musicale i suoni, anche di tutti i giorni, o attraverso la sintesi, quindi andando a generare elementi sonori che non esistono in natura e quindi, in qualche maniera, di totale fantasia, con fantasie o strutturaliste o di altro genere però, comunque, completamente diverse.

Musica

A.L.: Io per lo meno avverto l’insidia dei suoni preconfezionati.

Alvise Vidolin: Questo però è il paradigma che si diceva prima, l’elettronica non è uno strumento nel senso tradizionale, soprattutto con l’avvento del computer è, se vogliamo, anche uno strumento compositivo di autocomposizione. Volendo oggi ci sono algoritmi di composizione, a cui si può “dire“ il genere, la durata, programmi una serie di coordinate e l’algoritmo viene fuori. Come con i romanzi scritti con l’aiuto del computer; e un po’ anche come l’improvvisazione in generale che, spesso utilizza dei modelli che sono già stati in qualche maniera stilizzati.

A.L.: Infatti John Cage era diffidente per certi aspetti sull’improvvisazione, perché diceva che essenzialmente si riciclavano dei modelli.

Alvise Vidolin: La stessa cosa è con la tecnologia. Però si tratta della tecnologia che aiuta, in qualche maniera, a far prima, a semplificare il lavoro e semplificando il lavoro, rifai il già fatto.

Musica

Alvise Vidolin: Quando ho cominciato ad insegnare io, si parla appunto degli anni settanta, l’obiettivo era insegnare a comporre il suono, perché il suono era il primo mattone su cui basare poi tutta quanta la composizione. Oggi indubbiamente l’industria, nel senso lato, sforna generatori di suoni anche molto affascinanti. Sicuramente sono cose preconfezionate. L’esempio che faccio sempre anche ai miei allievi è il seguente: una cosa è andare al supermercato e comprare già i dolci preconfezionati, surgelati, un’altra è se uno cucina un risotto in casa con la materia prima, le componenti giuste e le tempistiche giuste. Il risultato è decisamente diverso, ma si deve conoscere la cousine in questo caso. Se il compositore indubbiamente vuole fare quel passo, che per me sta alla base della ricerca compositiva, di percorrere una sua strada, quindi partire da un suo bisogno, da una sua idea musicale, ha bisogno, o da solo se ha le capacità, di qualcuno che può essere anche un pianista o un violinista con cui studiare come ottenere un determinato suono, per arrivare a comporre quel suono o un elemento molto più ampio rispetto ad un singolo suono. Altrimenti stiamo in quello che una volta chiamavano i collage sonori della musica concreta che, anche se non sono più concreti, la logica è sempre quella di prendere ciò che interessa e, per similitudine o per contrasto, costruire un’articolazione.

Musica

A.L.: Una delle tue qualifiche è quella di regista del suono, ci spieghi che cosa vuol dire?

Alvise Vidolin: Non è così facile come definizione. La figura del regista del suono può cambiare molto a seconda dell’opera. Può essere regista del suono anche l’esecutore di un semplice pezzo acusmatico, di un pezzo memorizzato su nastro, e di fatti con Nono io ho sempre seguito molto le sue bellissime interpretazioni di Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, che è un pezzo monofonico che lui spazializzava a seconda delle situazioni su quattro, sei, otto e anche più altoparlanti, sempre con un’idea molto nitida per cui ogni volta sentivi che era diverso e copriva, riempiva, evolveva nello spazio in cui si trovava l’esecuzione. Questa è un’operazione di un certo tipo. Un’altra operazione di regia del suono è invece quando c’è un ensemble che deve essere in qualche maniera amplificato e spazializzato assieme alle trasformazioni del live electronics. Si tratta di trovare gli equilibri con il suono acustico reale che, almeno nel caso di Nono, doveva essere sempre sentito. Nono non considerava l’esecutore un generatore di suono che dava l’input ad una macchina per poi fare la musica che effettivamente si voleva generare, ma tutto partiva da lì e si doveva sentire la genesi, la fonte, dopodiché, da quella fonte ci potevano essere delle trasformazioni, delle rielaborazioni, che davano luogo ad un’altra voce musicale che aveva una sua autonomia, anche se ovviamente molto correlata. Sapere, in qualche maniera, equilibrare la voce acustica naturale e una o più trasformazioni elettroniche, molto spesso in locazioni diverse dello spazio, prevedeva appunto una sensibilità legata un po’ all’architettura e un po’ legata alla direzione d’orchestra perché si riuscisse a tenere in equilibrio i piani, le figure, gli sfondi dell’esecuzione. Questa, però, è un’operazione fatta a più mani, mentre in una situazione normale l’elettronica dipende sempre dal solista o da chi suona, perché se io non ho la sorgente non ho un mio suono, a meno che non ci siano delle parti registrate. Quindi l’interazione fra regista del suono e il solista o gruppo di esecutori è molto forte, perché ognuno dipende dall’altro, però con una logica moltiplicativa. In un’esecuzione musicale classica la logica è additiva, perché il suono globale è dato dalla somma di singoli suoni; con l’elettronica invece il suono dell’elettronica è un po’ il prodotto fra il suono dell’esecutore e il suono manipolato.

Musica

A.L.: Abbiamo ascoltato sin qui, seppur in modo frammentario Sofferte onde serene di Luigi Nono per pianoforte e nastro magnetico bicanale, dedicato dal Maestro a Maurizio e Marilisa Pollini e interpretato al pianoforte da Maurizio Pollini.

Alvise Vidolin: La catastrofe inizia con l’intrattenimento, cioè nel momento in cui l’industria sposa e ingloba la musica, e non solo la musica nel mondo dell’intrattenimento, tutto viene svilito perché l’intrattenimento dà quello che si presume il pubblico desideri in quel momento. Quindi può cambiare rapidamente a seconda di desideri e ciò è completamente diverso dall’atteggiamento invece del compositore. Per me il compositore è un po’ come un filosofo, un saggista, uno che scrive una cosa che è appunto il pensiero che guarda avanti e che tiene conto, però, del passato e che ti comunica. L’intrattenimento ti intrattiene…

… continua via radio a questo link: Musica in Metamorfosi 05/12

alla prossima puntata!

Ringrazio Armando Ianniello per l’aiuto nella trascrizione

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CAT: Letteratura, Musica, Teatro

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