Il Grande Reset e il futuro della moneta. Verso un reddito universale di base?

9 Novembre 2020

di Luciano Canova e Andrea Fontana

Fino a poco tempo fa il solo parlarne avrebbe suscitato il riso di non pochi economisti; altri invece avrebbero potuto accusarvi di essere un “complottista”. Poi il Word Economic Forum nel giugno 2020 se ne esce con il tema annuale per l’anno successivo: il “Great Reset” del 2021 e con la “Great Reset Iniziative”. E improvvisamente il “grande ripristino” diventa possibile, auspicabile, addirittura lecito. Per forza, verrebbe da dire dopo una geopandemia.

C’è da dire che – alle riflessioni sul grande reset – si sono affiancate negli ultimi anni tutta una sequela di documenti e report redatti da diverse Istituzioni. Recentissima è l’enciclica di Papa Francesco: Fratelli Tutti o meno recenti ma altrettanto rilevante l’ “Agenda 2030”, pubblicata dalle Nazioni Unite, che comprende una serie di obiettivi di sviluppo sostenibile, sintetizzabili nella prosperità per il Pianeta e per le Persone ma soprattutto focalizzato sula crescita economica sostenibile con un accento molto marcato sui temi dell’uguaglianza di diritti, di possibilità, di reddito.

Sì, avete capito bene: uguaglianza di reddito per tutti i cittadini americani, europei, cinesi, mondiali… Sogno, fantasia, distopia? Non è un dibattito nuovo ma è una discussione che, negli ultimi mesi, ha decisamente cambiato registro.

Così mentre siamo in un secondo lockdown e le rivolta nelle strade di Napoli, Torino, Milano, Catania, Roma chiedono interventi decisi, ci chiediamo se non sia il caso di iniziare davvero a ragionare costruttivamente, empiricamente e praticamente sulla sperimentazione e introduzione di una qualche forma di reddito universale di base, in letteratura, Universal Basic Income (UBI).
Un termine che fino a pochi mesi fa (topic UBI), lungi dall’essere trending, veniva derubricato al meglio come fantasticheria di qualche illuso privo di fondamenti teorici o complottista radicale.
Ma, cerchiamo innanzitutto di capire di cosa stiamo parlando.
COSA È UN REDDITO UNIVERSALE DI BASE

Un esaustivo report dello Stanford Basic Income Lab mette le cose in chiaro.
Innanzitutto un UBI è un trasferimento di denaro dato a tutti i membri di una comunità su base ricorrente indipendentemente dal livello di reddito. Molti sostenitori dell’Universal Basic Income sostengono un trasferimento che sia sufficiente a coprire i costi essenziali della vita, ma alcuni propongono livelli incrementali che funzionerebbero come base per altre fonti di reddito.

Un reddito universale di base dovrebbe poi avere queste caratteristiche:

–    Universale: deve andare a tutti i cittadini di una data regione o stato che lo introduce
–    Senza condizioni: vi devono avere accesso tutte le persone senza alcun criterio specifico
–    Deve avere la forma di un sussidio in denaro: i trasferimenti in denaro si mostrano come quelli più efficaci e flessibili per chi se ne serve
–    Deve essere dato su basi individuali: non sono trasferimenti dati alla famiglia ma alla singola persona
–    Deve essere periodico: non è un ristoro o trasferimento una tantum ma un flusso costante di redditi

Ora, capite bene da questo stesso elenco che si tratta di uno strumento mai visto ad oggi e, infatti, su larga scala non è mai stata fatta una sperimentazione di una misura che includa tutte queste caratteristiche. Oltre al fatto che un UBI avrebbe anche ripercussioni su:

·       Salute e attività sociale
·       Istruzione e mercato del lavoro
·       Carriere e futuro del lavoro (individuale e collettivo)
·       Sviluppo delle imprese (piccole, medie e grandi)
·       Accesso alle cure e all’assistenza sanitaria
·       Svaghi e divertimenti

Insomma un impatto totale sulla nostra vita. Visto così l’UBI sembra meraviglioso.
Ma ci sono dei ma.

 

I DUBBI DA RISOLVERE

Prima di tutto: chi lo decide. Quale organo prenderà l’eventuale decisione di imporre a tutti un reddito universale? Dopo una pandemia ripetuta che forse durerà anni qualche sospetto lo abbiamo ma il tema dell’autorità garante si impone.

Secondariamente, quali criteri di controllo pubblico / privato ci saranno? Perché per avere un UBI, come diritto universale, bisognerà accettare di sottostare a doveri. Quali saranno?

Infine, quale costo potrebbe avere una misura simile?
Per esempio, negli Stati Uniti, ci ricorda il report già citato, la proposta più in voga negli studi di settore sembra essere di 1000 dollari al mese per ogni individuo di una famiglia con reddito inferiore a 100 mila dollari annui, e 500 dollari extra per ogni figlio. Già qui si comprende l’introduzione di una condizione (i 100 mila dollari annui di reddito e i figli a carico) ma per il resto le caratteristiche sono ancora da focalizzare.

Un elemento di partenza imprescindibile, se vogliamo parlare di UBI e se i nostri politici desiderano avviarsi in quella direzione, è la necessità di dati, trasparenza e rigore nella misurazione empirica: serve a tutti i costi una cultura dell’evidence based policy e in questo il riferimento non può che essere la sperimentazione avviata e conclusa dal governo finlandese.

UN ESPERIMENTO CONCRETO: LA FINLANDIA

Il governo finlandese dell’allora primo ministro Juha Sipilä ha condotto infatti il primo esperimento controllato randomizzato (randomized controlled trial) su scala nazionale e relativo a una misura di reddito di base.  L’esperimento non era su base volontaria (importante perché i risultati sono interpretabili in modo più robusto) e prevedeva dal 1 gennaio 2017 al 31 dicembre 2018 il versamento di un reddito mensile di 560 euro a disoccupati che al novembre 2016 ricevevano il classico sussidio di disoccupazione. Duemila tra essi sono stati estratti casualmente e sono diventati il gruppo di test, mentre tutti gli altri disoccupati hanno continuato a ricevere il vecchio sussidio per l’intera durata dell’esperimento, facendo da gruppo di controllo.
Il report finale dell’esperimento è stato pubblicato pochi mesi fa e costituisce da un punto di vista accademico un enorme passo in avanti e uno strumento formidabile di analisi e supporto alle decisioni: i risultati mostrano che gli effetti in termini occupazionali sono stati minimi, il che significa che i percettori del reddito di base non hanno trovato lavoro con maggiore probabilità degli altri disoccupati del gruppo di controllo.
La ricerca mostra però in modo chiaro e significativo che i soggetti dell’esperimento dichiarano un maggiore livello di soddisfazione nella vita e una percezione di maggiore sicurezza economica e di inclusione nella società. Esperimenti quali quello finlandese sono molto rilevanti anche se non è lecito partire da essi per generalizzare delle conclusioni.

QUALI PASSI PER IL FUTURO IN ITALIA E NON SOLO.

Pensiamo sia necessario aprire il fronte delle proposte: come le economie degli altri paesi coinvolti nella pandemia hanno mostrato, le misure tradizionali sembrano inefficaci, o comunque insufficienti, per rispondere alla grave crisi.

Crediti di imposta o garanzie sui prestiti ai piccoli imprenditori non sono misure strutturali e prestano comunque il fianco al manifestarsi di una nuova emergenza (per esempio, una seconda ondata del virus o la prossima possibile pandemia). Bonus una tantum o blocco dei licenziamenti sono un calcio alla lattina che viene spostata un po’ più in là ma resta sempre sul percorso e prima o poi andrà pure aperta o gettata via.
In Italia c’è chi ha proposto delle interessanti riflessioni sull’opportunità di trasformare misure già esistenti come il reddito di cittadinanza in uno strumento più simile al reddito di base. Ci sono anche stime sui costi annuali, ovviamente da prendere con prudenza ma che sarebbe bene mettere sul tavolo del policy maker: 15 miliardi di euro all’anno per un trasferimento vero di denaro.

INIZIAMO A PARLARNE…
Ovviamente, un tema come quello dell’Universal Basic Income porta con sé la necessità di ripensare interamente gli strumenti dello Stato sociale: se si introducesse un reddito di base universale, cosa avverrebbe delle altre misure di sostegno al reddito?
L’UBI sostituirebbe o integrerebbe le altre misure?
E il decisore pubblico è in grado di disegnare un sistema che razionalizzi le risorse per l’erogazione di servizi e sussidi più efficienti per il singolo e per la comunità? Qualche brivido nella schiena ci sovviene.
Era forse l’elefante nella stanza, ma la vera domanda cui dobbiamo trovare risposta è quella relativa a un’affermazione da cui siamo partiti: siamo pronti a mettere in discussione il trade off tra efficienza e giustizia e riconoscere che un sistema paese intrinsecamente giusto è anche in grado di garantire un sentiero di sviluppo sostenibile?
Dobbiamo iniziare a parlarne – aprendo una discussione pubblica e anche istituzionale – prima che le nostre vite siano completamente investite da questo nuovo regime economico, per migliorarlo e renderlo il più possibile umano.

 

 

TAG: #sostenibilità #economia #responsabilitàdiimpresa #corporatesocialresponsibility #csr
CAT: macroeconomia, Scienze sociali

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