Senza predatori, Milano milaneggia. Finché dura

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13 Marzo 2023

Durante le vacanze di Natale, nel condominio dove abito a Milano, zona Città Studi, hanno cominciato a tirare su un ponteggio, che fino a maggio toglierà molta luce, e soprattutto abbasserà le temperature solitamente miti in un casa esposta a Sud, cosa non ottimale in un momento in cui la bolletta del gas è alle stelle. La proprietà, unica per tutto il palazzo e per quello a fianco, se ne frega: siamo ospiti paganti e andandocene faremmo loro un favore, ogni appartamento vuoto in questi è stato riempito subito e a prezzi sempre più alti. È il Mercato, bellezza.

A me va (abbastanza) bene perché lo faccio per mio figlio, che è milanese fino al midollo, la città se la mangia, la gira in lungo e in largo in bicicletta (patema), la usa. Come ho già scritto, io che non la uso più la città, e non la riconosco più mia, quando Tommaso sarà più grande probabilmente saluterò per passarci ogni tanto a vedere qualche nuova attrazione.

Così faranno i miei amici artigiani, che dai Navigli se ne sono andati in periferia, perché gli affitti costavano troppo e in attesa di andare ancora lontano, mentre a settembre arriveranno in città torme di ragazzi e ragazze di belle speranze per studiarci o lavorarci, consumando aperitivi, pasti pronti dell’Esselunga e risparmi dei genitori e magari facendo fortuna (in bocca al lupo).

Si va, si viene, le città sono così.

Solo nel nostro mondo così provinciale da fare di ogni discorso sui luoghi un piccolo Palio di Siena non si riconosce che le città, soprattutto quelle grandi, hanno una funzione e una data di scadenza. Sono un po’ Manhattan Transfer, il luogo dove succedono le cose, un grande stomaco che tutto ingurgita e quasi tutto digerisce. Per questo, se si considera la dimensione fondamentale del rapporto domanda-offerta, il Mercato, Milano sta facendo il suo, milaneggia.

Come gli animali selvatici che, senza antagonisti e predatori naturali, si moltiplicano a dismisura, Milano fa la prima della classe come le è un po’ naturale, ma si vede ancor di più perché attorno non c’è niente. Il campionato delle città lo sta giocando da sola e vincendo per manifesta, noiosa superiorità. Ha fatto il vuoto degli altri vertici del fu Triangolo (Genova è diventata una canzone di De André, Torino un capolinea del Frecciarossa), mentre il resto non è mai veramente entrato in competizione. O ne è uscito come Roma, che si è assestata sul un modello di Venezia con le auto e i ministeri, dove non si produce più nulla, si regola e ci si mette in mostra.

Troppo cattivo? Non pensate al campanile, ma a dove mettereste o avreste messo i risparmi (i mitici risparmi delle famiglie italiane) in un bilocale, comprato quando vostra figlia è andata fuori a studiare. A Firenze? A Napoli? A Verona? Ma per favore, li stanno mettendo tutti a Milano, perché è l’unico posto dove l’investimento paga. Questa somma di comportamenti individuali fa il totale di una città con prezzi fuori controllo ormai da anni, aggravati dal fatto che il comune è piccolo e tutti vogliono starci dentro. Il mattone tira il resto, e se tutti ci vogliono venire a Milano alla fine ci vengono solo i più ricchi e dunque aumentano tutti gli altri prezzi.

È il Mercato, antecedente alla sua scoperta da parte di Selvaggia Lucarelli, che ha avuto il bene di fare in modo che se ne parlasse (anche con pagina del Corriere con immancabile parere dello chef stellato) più di quando ne hanno scritto voci molto più autorevoli. È sempre il Mercato, che oggi è più sorridente, sostenibile e bla bla bla, ma va sempre dove ci sono i soldi.

La si potrebbe chiudere qui, concludendo che il Comune fa il suo, magari ultimamente con qualche vistosa crepa, le buche non sistemate, i servizi pubblici romanizzati, il nonsenso di restringere lo spazio delle auto (applausi), mentre però si aumentano i costi del trasporto pubblico e ne si diminuisce la frequenza, la sicurezza, che non è compito del Comune, ma insomma.

Si potrebbe ma, a parte l’incontentabilità dei milanesi, ci sono alcune cosine che non tornano.

La solitudine non fa bene, e a Milano servirebbero se non predatori naturali, almeno seri antagonisti in loco, per evitare quell’effetto specchio di Narciso in cui si rischia troppe volte di indulgere. E poi se “è il Mercato, bellezza”, ci vuole anche la competizione, sennò è qualcos’altro.

Una classe dirigente, milanese e non, attenta si porrebbe seriamente questo tema, come ce lo si è posto governando macro processi di sviluppo nel passato. Oggi non funziona più così, troppi schei sono nel mattone, che di norma non produce classi dirigenti di particolare acume. Soprattutto, come faceva notare l’immenso Piero Bassetti in un’intervista di qualche tempo fa, la moda dei week end (cioè di scappare appena possibile a gambe levate dal luogo dove si lavora e si crescono i figli) ha tolto gusto e opportunità di pianificare e volare un po’ più alto. Per soprammercato, qualsiasi velleità di pensare Milano oltre il perimetro di AbbracciaMI è completamente sparita da qualsivoglia agenda, potenziando l’effetto ZTL.

ZTL che è ormai da più di un decennio governata da una maggioranza progressista, che ai temi dell’inclusione e del contrasto alle degenerazioni del Mercato dovrebbe dedicare un’attenzione non corriva. Qui la parabola è stata chiara e diacronicamente evidente: alla stagione riformista di Pisapia, nella quale si sono immaginate politiche assai ambiziose di cura dello sviluppo per non perdere i connotati, è succeduta una gestione sempre meno attenta al contenimento delle distorsioni del Mercato. Con Sala si è andato affermando quel modello, vincente nella ridotta milanese, di “Sinistra SDG” (cito un amico), fatta di principii indiscutibili (come sono gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU), ma che mordono pochino. Come diceva Chico Mendes, “giardinaggio”.

Governare in senso inclusivo una locomotiva che va molto bene, richiede le tre “c” spagnole, cabeza, corazon y coyones (coraggio), che oggi non sembrano abbondare in zona Palazzo Marino. Significa prendere di petto il tema degli affitti (da controllare) e delle licenze commerciali (da non dare più via come caramelle), per contrastare i fenomeni più sbracati di gentrificazione e disneyzzazione della città. Significa anche fare lo sforzo di porsi il problema di come le persone si muovono da vari “-ate”, nei quali li ha confinati il Mercato, per venire a Milano e di come si sposta chi lavora, senza inutili atteggiamenti da “padrun de la melunera”. A quel punto, quando la città a 15 minuti non sarà andata di traverso ai meno ricchi, per me si può pure pedonalizzare tutto.

Non è detto che sia facile, tutt’altro, ma almeno provarci sarebbe l’unico, flebile, tentativo possibile per evitare che rimanga milanese solo chi se lo può permettere.

 

 

TAG: beppe sala, milano
CAT: Milano

Un commento

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  1. dino-villatico 2 mesi fa

    “Non è detto che sia facile, tutt’altro, ma almeno provarci sarebbe l’unico, flebile, tentativo possibile per evitare che rimanga milanese solo chi se lo può permettere”. Conclusione lucida. Ma attenti! in modi diversi è quanto accade anche nel resto d’Italia, e forse in tutto il paese tra poco ci resterà chi può permetterselo o chi accetta una condizione permanente di schiavo. Milano, anche questa volta, non sarà che l’esperimento che anticipa la condizione generale del paese.

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