musica in metamorfosi con fabio vacchi 07/12

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3 Marzo 2019

MUSICA IN METAMORFOSI 07/12

Qualche mese fa, grazie all’intuizione di Paola Damiani e su commissione di  Radio3 Suite, ho realizzato un ciclo di 12 puntate intitolato “Musica in metamorfosi“ . Un dialogo a più voci con compositori, interpreti, musicologi, ingegneri del suono ecc. su questo immenso proliferare di generi musicali… sintomo di una democrazia in ottima forma o effetto di una metamorfosi sotterranea di ciò che abbiamo chiamato, per diversi secoli presente compreso… musica?

Il programma è stato accolto con grande curiosità, ho ricevuto moltissime mail ed è stato candidato al Prix Europa. Mi è sembrato quindi potesse esser di un qualche interesse trascriverlo, seppur parzialmente, e metterlo a disposizione. In questo formato possono esser approfonditi elementi diversi, come le biografie degli autori o delle persone citate e in ogni caso, in fondo alla pagina troverete il link della puntata.

Insomma buona lettura (parziale) e/o… ascolto !

Fabio Vacchi

Andrea LiberoviciFabio Vacchi

Puntata 7

Andrea Liberovici: Dunque, dunque, la settimana scorsa eravamo rimasti fermi, per almeno due puntate, al numero 2402, 2402 generi diversi. La conta era arrivata lì, 2402 generi musicali, ovviamente, diversi. Speravo che all’interno di questa settimana ci fossero delle scoperte, diciamo così, epocali, tipo non so, altri quattromila generi arrivati chissà da quale sito e da quale fonte ma, in realtà, poca roba abbiamo trovato. Una minuscola nicchia di sottogeneri, molto identitari e molto precisi, che i nostri due magnifici Hänsel e Gretel, ovvero Sofia e Jan, vi daranno conto a breve, perché ho idea che stiano arrivando…

Hänsel e Gretel: Folk Metal, Rockabilly, Celtic metal, Christian metal, Rock Progressivo, Unblack Metal, Oriental Metal, Vedick Metal, Vicking metal, Hard Rock, Gothic Metal, Avantgarde Rock, Rock Sinfonico, Heart Metal, Rock Progressivo Italiano…

A.L.: Buonasera, mi chiamo Andrea Liberovici e faccio il compositore e il regista di teatro. Così quando qualcuno mi chiede – fai teatro? – rispondo – no, faccio il compositore – e quando qualcuno mi chiede – fai il compositore? – rispondo – si, faccio teatro – Questo giochino di parole, un po’ criptico, lo utilizzo generalmente per tentare di sottrarmi, almeno così in modo ideale, da questo arcipelago di gabbie e di generi musicali. Non per fare lo strano a tutti i costi, ma semplicemente perché sono convinto che, se non ho nulla da dire musicalmente, nessun genere mi salverà.

Musica

A.L.:Se avete avuto la bontà di ascoltare qualche puntata di questa trasmissione, sapete che si struttura sostanzialmente intorno a una domanda, ovvero questa proliferazione di generi musicali ci racconta la buona salute delle arti acustiche, o è il sintomo di una metamorfosi, ancora più o meno sotterranea, che prima o poi emergerà all’improvviso? Sulle note di …en bourdeur d’espaces di Gualtiero Dazzi, la musica che stiamo ascoltando, iniziamo il dialogo con uno dei grandi maestri italiani che ringrazio in anticipo, ovvero Fabio Vacchi.

Musica

A.L.: (Rivolto a Fabio Vacchi) Ti giuro non conoscevo questa definizione prima che Giovanni Allevi dicesse, l’ho letto su un giornale, sono un musicista classico contemporaneo. Ho trovato questa definizione imbarazzante e poi, invece, ho capito che è un genere in cui anche io, in realtà come compositore, dovrei riconoscermi. Un nome così sbagliato, oggettivamente, non è forse il segno di una fragilità?

Fabio Vacchi: La musica è sempre stata contemporanea, nel passato, fino a che un bel giorno o un brutto giorno che sia, è nato il genere della musica contemporanea e ha generato la frattura. La musica contemporanea non era più la musica tout court, ma era un genere nell’ambito della produzione musicale. Aveva già cominciato a diramarsi perché anticamente esisteva la musica, che era quella delle corti, e delle chiese, e poi c’era la musica popolare con zampogne, zufoli, ghironda, e quant’altro, che aveva un suo ambito ben preciso. Si è sviluppata tantissimo ma dalla fine del XIX secolo, la musica commerciale, la cosiddetta cattiva musica, secondo la definizione di Proust in quel suo deliziosissimo scritto che dice non disprezzate la cattiva musica, perché, dice, magari non avrà posto nel pensiero umano, ma tanto ne ha nella storia dei sentimenti. La situazione si è poi aggravata con la radicalizzazione della cosiddetta musica contemporanea, dopo essere diventata genere e non più musica tout court. La radicalizzazione ha comportato, intanto, una frattura totale con il pubblico, che è diventato un pubblico di intenditori, di amatori, di condivisori dell’ideologia a priori, qualunque fosse il risultato dal punto di vista estetico. L’altra faccia della medaglia è la grande esplosione poi di tanti altri generi e anche rispettabilissimi come il pop, il rock, il jazz, meraviglioso genere, e lì va benissimo. Quello che invece va meno bene sono quelle zone in cui c’è della musica che si autodefinisce classica senza nemmeno esserlo. Già appunto definirsi un classico vivente…

A.L.: Solo Carmelo Bene poteva farlo

F.V.: Certo, Carmelo Bene che aveva dichiarato di apparire alla Madonna, quindi poteva definirsi un classico. Nella selva di generi che abbiamo per la SIAE la nostra musica appartiene al filone serio, che è ancora più deprimente di classico contemporaneo. Poi c’è un altro modo di chiamare la musica che è musica colta, terribilmente snob perché vorrebbe dire che l’altra è musica ignorante, quando così non è. La cosa fastidiosa e anche pericolosa è secondo me l’altra faccia della medaglia del radicalismo estremo, cioè il cosiddetto passatismo. Il compositore di buoni studi, di buon mestiere, che compone cantate o sinfonie, e che ad un certo momento si mette a scrivere come si scriveva 120 anni fa, produce un occhieggiare, un semplificare, uno svilire, un andare incontro ad un certo tipo di pubblico, ma offendendone, in qualche modo, la sensibilità, l’intelligenza, la cultura, in nome di un godimento estetico che diventa poi un piccolo godimento. Io sono convinto che il godimento estetico è proporzionale allo sforzo che uno fa per conseguirlo. Non credo che a prima vista una pagina di Dante Alighieri provochi un immediato grande godimento. Più approfondisci e più provi il tuo godimento estetico che rasenta il sublime, ma non al primo impatto.

Musica

F.V.: Ci sono momenti nella storia dove, tale è la stratificazione di contenuti e momenti musicali che c’è un impatto già formidabile, poi più approfondisci e più scopri meraviglie. Penso a Mozart, oppure altri momenti dove il primo impatto è pessimo, poi non c’è più niente da approfondire, come capita molto spesso oggi. Voglio dire che le estreme semplificazioni, i cosiddetti neotonalismi, neo qui, neo là, sono l’altra faccia della stessa medaglia di un’avanguardia dura e pura, spiritualista, cioè che nega il corpo, la comunicazione, che nega la percezione, che nega il piacere estetico. Piacere è sinonimo di consolazione. Le definizioni come fascista borghese, sono definizioni semplicistiche, ottuse, assurde e un po’ stupide che circolavano nei decenni scorsi e che ancora oggi trovano delle sacche di sopravvivenza, purtroppo.

Musica

F.V.: C’è senz’altro un grande problema di mercato, un mercato immenso, onnivoro, un mercato veramente in crisi, perché da un po’ di tempo il cd, che sembrava la grande scoperta del secolo scorso, in ambito del commercio musicale, è gravemente in crisi perché gli editori, le società di ricezione dei diritti, hanno ancora da far fronte al proliferare della rete e della trasmissione delle musiche in rete. Questo è un grandissimo problema, poi c’è la proliferazione dei generi, mode, perché spesso sono mode che a volte nascono anche a tavolino, da una ricerca di marketing. Dall’altra parte poi c’è appunto il solipsismo, l’autoreferenzialità di tanti autori. Io mi ricordo che in certi anni si proclamava che ogni brano doveva fondare un linguaggio, fondarlo, quindi estinguerlo, perché il brano successivo sarebbe dovuto essere in un altro linguaggio. Ciò dicendo si negava il significato del termine linguaggio che presuppone una trasmissione di informazioni, perché se un linguaggio non appartiene ad una collettività non può dirsi tale, secondo il mio modesto parere. Oltretutto un linguaggio non si può fondare astrattamente a tavolino, un linguaggio è un qualcosa che si stratifica nei secoli, nei millenni, ed è modificabile ma mai azzerabile per inventarne un altro. Il fallimento, dell’esperimento dell’esperanto è una dimostrazione. Nella musica vale lo stesso discorso. È chiaro che il termine linguaggio, applicato alla musica, ha un altro significato che non è lo stesso per quanto riguarda il sistema verbale. Nego la necessità, l’opportunità, l’efficacia, di predicare la tabula rasa, come si è fatto in epoca scorsa, nei decenni passati, in nome della fondazione di nuovi linguaggi. Il linguaggio è sempre stato qualche cosa in perenne crescita. Il linguaggio musicale si confronta con i nostri limiti percettivi, che sono i nostri limiti corporei. È chiaro che poi i limiti vanno perennemente forzati, ma non vanno negati, perché negandoli tu neghi la possibilità stessa di comunicare. Questo è quello che ho sempre creduto, ho sempre praticato, la qual cosa mi ha creato in passato non poche difficoltà.

A.L.: Mi hai fatto venire in mente una cosa geniale che avevo trovato su una bacheca di un’università a Montreal dove c’era scritto appunto: nessun do è vergine. Se ci pensi anche nessun suono è vergine, perché nel momento in cui l’hai ascoltato è già di dominio, ha già perso la verginità.

F.V.: È bene che sia così, perché un suono vergine è semanticamente neutro, non ha significato, mentre uno squillo di tromba, un suono di tamburo o di violino, sono carichi di semantica. Già il timbro comunica molte cose, da organizzare e con le quali giocare in senso narrativo e drammaturgico, ma in una certa epoca, per alcuni brani negli anni settanta e anche metà degli ottanta i termini drammaturgia o narrativo venivano usati come ingiuria. Le ricerche delle neuroscienze hanno dimostrato che la narrazione, non è una convenzione, ma appartiene alle nostre necessità primarie come nutrirsi e riprodursi. La nostra identità è un processo narrativo, se ti chiedo – chi sei? – tu per rispondermi devi fare un processo narrativo, devi fare un processo di memoria e di narrazione. Se non sai chi sei, non sai dove vai, quindi non hai niente.

 

… continua via radio a questo link: Musica in metamorfosi 07/12

alla prossima puntata!

Ringrazio Armando Ianniello per l’aiuto nella trascrizione

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CAT: Musica, Teatro

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