Elezioni politiche 2022 e la debacle del sistema Italia

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30 Settembre 2022

All’indomani del voto le analisi si sono sprecate e a breve tutti i contendenti hanno fatto a gara per trovare il modo di celebrare la loro vittoria, gli uni, ovvero trovare un modo per rendere meno  sconfitta la sconfitta, gli altri. Notoriamente da noi chi vince una consultazione elettorale ha giustamente vinto e da vincitore si atteggia, ma pure chi l’ha persa si adopera in ogni modo possibile per trovare un plausibile escamotage per dimostrare che di fatto non l’ha persa accampando mille scuse tra le quali, negli anni, abbiamo visto far bella mostra di sé la stigmatizzazione delle capacità intellettive e delle peculiarità etico-culturali dell’elettore dell’avversario politico, il presunto boicottaggio degli organi di informazione, la parzialità partigiana dei giornalisti televisivi allorché hanno rivestito il ruolo di moderatori nei programmi dedicati agli approfondimenti politici, le ingerenze straniere e via discorrendo.

È questo un copione noto da tempo e regolarmente messo in scena con un certo successo. Fino ad ora le cose sono andate più o meno così e tutto è stato risolto con qualche rimessa a nuovo dei carrozzoni dei partiti risultati non vincitori: per gli altri, i vincitori o presunti tali, è stato tutto un susseguirsi di bagni di luce e di folla. Fino ad oggi è sempre andata così ma credo che questa volta le cose debbano essere analizzate in un modo decisamente diverso per via di un qualcosa che fatto nuovo certamente non è ma che questa volta ha pesantemente e significativamente superato di misura il livello di guardia: il non voto di milioni di Italiani.

Come al solito stampa nazionale anche in questo frangente non solo ha evidenziato con estrema prudenza l’aumento dell’astensionismo ma, come c’era da aspettarsi, lo ha fatto – per miopia o connivenza? – evitando accuratamente di mettere il dito nella piaga preferendo, a quanto pare, passarlo prontamente sotto silenzio già a 24 ore dalla chiusura dei seggi.

Purtroppo, a mio avviso, in questo caso la disaffezione al voto non è stata, e quindi non può più essere implicitamente e superficialmente qualificata, e conseguentemente archiviata, come il deprecabile frutto di una censurabile accresciuta indolenza dell’Italiano medio, di una sua perniciosa accresciuta mancanza di senso civico o peggio,  in quanto un’astensione media del 36% degli aventi diritto al voto (che se analizzata per aree geografiche diventa ancora più significativa allorché ci si imbatte in regioni come la Campania, che ne ha registrata una pari al 46%, o come la Calabria e la Sardegna, che ne hanno fatta registrare una superiore, anche se di poco, al 50%) deve far riflettere – e non poco – non solo sulla credibilità di questo Parlamento e sulla reale rappresentatività del Governo che a breve esso esprimerà ma pure, e soprattutto, sulla tenuta delle istituzioni democratiche stesse.

Credo sia opportuno, in questo senso, prima che la già grave crisi sociale ed economica in atto faccia maturare forme di dissenso meno civili di questa, che la classe politica nel suo complesso affronti il problema per dimostrare, se non altro, di essersi resa conto che l’auspicato da anni ‘cambiamento’ non può ancora una volta tradursi nella farsesca recita di un copione che oggi come oggi può ancora attrarre un sempre più risicato pubblico in grado di pagare il biglietto: un qualcosa che a breve ampie fasce di ‘spettatori’ non potranno più fare.

Al fine di porre in evidenza il senso di quanto sin qui espresso credo sia opportuno aggiornare i dati percentuali riassuntivi dell’esito della consultazione elettorale, avendo cura di correggere le percentuali apparse sulle pagine dei quotidiani azionali e diffusi dai vari networks trattando, questa volta, quel 36% di astenuti alla stregua di un partito del dissenso e non solo della disaffezione, il che comporta fare base 100 non considerando i soli votanti ma tutti gli aventi diritto al voto: un qualcosa che può essere agevolmente fatto moltiplicando i dati percentuali pubblicati per 0,64[1].

Ecco che, così facendo, la tabella Tab.1, riassuntiva degli esiti della tornata elettorale di dominio pubblico il 26 settembre 2022, facilmente si muta in quella (Tab.2) di gran lunga meno accattivante di seguito riportata che di per sé, oltre a ridimensionare non poco i toni trionfalistici dei vincitori, implicitamente stigmatizza giustamente il repentino tentativo degli sconfitti di accusare il colpo limitandosi opportunisticamente a  puntare il dito contro i presunti errori strategici delle proprie leaderships (a tale proposito si vedano le diatribe tra gli oligarchi leghisti e Salvini per quanto riguarda la Lega e la messa in stato d’accusa di Letta per quanto di competenza del PD).

Fonte: il Messaggero del 26 settembre 2022

Comunque la si voglia mettere il vero problema allo stato attuale non è rappresentato, come la pressoché totalità degli osservatori e dei commentatori politici pare aver inteso, solo dal fatto che la strada verso un nuovo esecutivo non sarà certamente una passeggiata e difficilmente l’Italia potrà avere il Premier ed una nuova squadra di ministri prima della fine di ottobre a causa del fatto che, numeri a parte, il centrodestra dovrà fare i conti ad ogni piè sospinto con il quanto mai inaffidabile Renzi che da giorni ha iniziato il suo consueto tira e molla circa l’ipotesi della nomina a Premier della Meloni, con le bizze del solito Salvini ed i consueti arrivismi partitocratici, bensì quello della formazione di un esecutivo effettivamente rappresentativo, di un esecutivo che goda di un consenso reale del Paese viste le sfide che si profilano all’orizzonte.

Tralasciando infatti le questioni fisiologiche della partitocrazia nostrana, come pure quelle relative alle consuete diatribe in fieri legate alle imminenti nomine dei presidenti, o delle presidenti, di Montecitorio e Palazzo Madama, quello che peserà più di ogni altra considerazione sarà, tanto per cominciare, il dato previsionale del PIL per il 2023 rivisto dal Governo – e guarda caso (davvero solo un caso?) reso noto proprio in concomitanza alla pubblicazione dei dati riguardanti gli esiti della recente consultazione elettorale – ammontante ad un preoccupante ridottissimo 0,6% (a fronte di un precedentemente alquanto ottimisticamente stimato 2,2%) che, quantunque addolcito da una fantasiosamente parimenti ottimistica previsione al 4,5% per ciò che concerne l’inflazione 2023, ci porta a dover fare i conti con un dato di crescita in netta regressione rispetto al 2,4% stimato soltanto ad aprile di quest’anno e che già così come è si traduce da subito nella necessità di reperire qualcosa come 40 Mld di Euro.

Anche solo alla luce di quanto sin qui esposto appare evidente che le letture e le considerazioni espresse in questi giorni dalla stampa nazionale e dai principali esponenti politici appaiono pesantemente viziate da una carenza di lucidità e di obiettività alquanto preoccupanti anche solo considerando le divergenze tra i partiti della coalizione vincente sia sulla politica estera sia sulle politiche di bilancio: i due polmoni dell’azione di governo sui quali esercita la propria moral suasion il capo dello Stato.

A tale proposito non va dimenticato quanto accaduto nel 2018, quando Sergio Mattarella non ostacolò la nascita di un governo politico tra M5s e Lega, ma non rinunciò ad esercitare quelle prerogative costituzionali che vanno poi a prendere forma e corpo nella scelta di alcuni ministri-chiave quali, in primis, quello dell’Economia e quello degli Esteri.

Se anche al momento  i risultati elettorali hanno reso remota, se non altro sul breve periodo,  l’ipotesi di nuove larghe intese ruotanti nuovamente intorno a Mario Draghi, resta aperto il tema riguardante l’opportunità o meno del coinvolgimento, anche  in un governo politico di centrodestra, di figure tecniche che garantiscano, nel bene e nel male, quella  esperienza e quella  credibilità che non vedo reperibili in seno a partiti che paiono non aver ben capito che il mondo non si fermerà certamente ad attendere che l’Italia abbia un governo: guerra, bollette, pandemia, crisi sociale ed economica, la necessità di avere subito pronta una manovra economica per evitare l’esercizio provvisorio, i timori dei mercati finanziari, le attese di Ue e alleati atlantici…, in altri termini la realtà, continueranno a bussare con insistenza al portone della politica reclamando  risposte e non solo vuoti proclami e promesse basate sul nulla.

 

 

 

[1] Infatti: 6,4 voti a favore su 64 votanti rappresenta il 10% dei consensi ma 6,4 voti a favore su 100 aventi diritto rappresenta il 6,4% dei consensi: in altri termini essendo il 10% di 64 uguale al 6,4% di 100 si ha che 10%*64 = 6,4*100 e quindi che che una percentuale p su base 64 si muta in una percentuale x su base 100 tale che p*64 = x*100 da cui consegue che x=p*(64/100)=p*0,64

TAG: elezioni, governo, italia, politica
CAT: Partiti e politici

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