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Partiti e politici

Kyenge, la disinvoltura razzista del Pd racconta il potere meglio di un trattato

di Michele Fusco
17 Settembre 2015

Se un orango vale cinquecentomila emendamenti, un gorilla almeno il doppio e un semplice babbuino intorno ai trecentomila, dovremo alla tolleranza sin troppo  estesa della signora Kyenge se la faunistica quadra della nostra sacra Carta si arricchirà di un memorabile nuovo Senato per via razzista. La questione riguarda ovviamente il Pd  –   tutto riguarda sempre il Pd – e le sue debolezze, quelle che un partito ammattito mette a disposizione dell’opinione pubblica con il candore di chi non sa neppure organizzare le sue stesse nefandezze. E in questo caso l’ingenuità dello scambio – derubricare il vomito razzista di Calderoli a semplice diffamazione in cambio del ritiro di un centinaio di Tir pieni di cartaccia ingombrante – aumenta semmai quel concetto antico del “non poteva(no) non sapere” che i nostri prodi, con altrettanti giudici di riferimento,  applicarono sino alla sfinimento a tutte le mosse poco eleganti e penalmente rilevanti di quel tanghero di Berlusconi. Anche in questo caso, l’elegante senatore Zanda che governa il circo senatoriale del Partito Democratico, col suo perenne tre bottoni carta da zucchero, la sua argentea chioma alla Francesco Moser, è un perfetto paravento all’ignobiltà collettiva, che va da lui in giù, o se preferisce da giù, giù, giù, molto giù, a lui.

L’impressione, netta, è che la signora Kyenge si potesse allegramente sacrificare, essendo parto a-renziano, riconducibile a un’era ormai dimenticata, mai amata dal suo stesso partito, epoca Letta, figuriamoci adesso dove tutte le scartoffie del caro, vecchio, Enrico sono finite in una pregiatissima école francese. Si ragiona così dentro il Nazareno, si ragiona per peso specifico complessivo e personale, e dove il complessivo, quando è di un certa sostanza (sostanza uguale potere), renderebbe gli animi meno nobili almeno un po’ guardinghi, ruffianamente guardinghi, quello personale, se ridotto a poca cosa politica (poca cosa uguale considerazione) apre le danze dei maramaldi che, nel nostro caso, lisciano il pelo dell’orango Calderoli e si accaniscono sulla signora invisa. Certo che è abbastanza malinconico, ma non del tutto sorprendente, dover registrare una totale mancanza di stile, umana, personale, di partito, e di quella sensibilità che in tempi remoti ascrivemmo tutti alla sinistra, intesa come luogo della decenza e dell’attenzione per i principi ispiratori di una società condivisa.

E allora, a quale parte sentimentale del Partito Democratico dovremmo affezionarci, questo ce lo dovrebbe dire il suo conducator, per essere in pace con noi stessi e sentirci protetti nella casa comune? Come è possibile che il Partito Democratico si lasci trascinare in una vergognosa interpretazione dei fatti – per cui tutti i giornali illustrano impudicamente uno scambio: razzismo-emendamenti – senza che una sola voce, una sola perdio, si levi per negare lo schifoso accostamento e riporti l’onore in carico a una donna sfregiata dai suoi stessi amici oltre che dall’orrido capopopolo leghista? Sono domande chiaramente inessenziali, adesso che il dibattito è ben altro e verte sulla necessità di portare a casa una buona riforma del Senato che cambierà la vita dei cittadini. Si formalizza così, e i sospetti aleggiavano forti, una divaricazione assoluta tra gli obiettivi del Potere, in questo caso Renzi perchè c’è Renzi ma temiano che ormai la politica «sia» questo, e le sensibilità su cui si costruirono le grandi storie politiche del passato a cui tutti ci appassionammo. Cadono i principi, si abbandona lo stile, subentra la disinvoltura. È un cambio d’epoca. E non abbiamo niente da metterci.

Pd
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