Pietro Nenni disincantato. L’Italia e il mondo nei suoi diari degli ultimi anni

9 Settembre 2016

Con Socialista, libertario, giacobino. Diari 1973-1979 (Marsilio) si chiude la pubblicazione  dei diari di Pietro Nenni, leader storico del Psi. Quarta “puntata” di una serie che raccoglie le annotazioni di politica a partire dal 1943,  questo volume consente di seguire l’ultima fase della vita di Pietro Nenni, apparentemente la più amara. In realtà  le sue annotazioni sino ricche di sguardi su un mondo politico da cui ormai Pietro Nenni sente di aver ceduto il testimone, ma che non cessa di guardare e , soprattutto, di “pesare”.

Anche per questo queste sue note soni interessanti, perché non nascono dalla delusione, ma soprattutto dal sapere di essere “spettatori” e di non cessare, per questo, di vivere con  passione, talora con  dolore , le convulsioni di una stagione di cui avverte il peso e la crisi.

Una delle ultime immagini  pubbliche che ci restano di Pietro Nenni testimonia molto della sua personalità. del suo attaccamento istituzionale e soprattutto di pensarsi come uomo della Repubblica.  E’ la seduta di apertura della VIII legislatura al Senato, il 20 giugno 1979. Si legge nel suo Diario [pp 447-448] alla fine di quella giornata:

“Ho presieduto la seduta del Senato per l’elezione di Fanfani. Tutto bene, anzi benissimo., contro ogni previsione. Il giorno sette avevo scritto a Fanfani  che non ero in condizioni di presiedere. Peggio di me stava il decano Ferruccio Parri. Se io non mi rendevo disponibile la presidenza sarebbe toccata al senatore Crollalanza, missino, già ras di Bari all’epoca del fascismo, una vergogna per il senato repubblicano. Ho quindi tagliato corto  assumendo la presidenza . Tutti contenti, specialmente la sinistra che se il missino avesse assunto la presidenza aveva annunciato il ritiro dall’aula. Non avevano torto. Avremmo avuto infatti un inizio dell’ottava legislatura insidiata al suo punto di partenza da una baruffa. Tutto invece si è svolto in perfetto ordine …”.

Ci sono molte cose che convergono in questa foto: il suo attaccamento istituzionale, il suo di pensarsi come uomo della Repubblica. ma anche un’idea di politica come servizio.

 

Nel 1930, esiliato in Francia, Nenni riprende il motto del nazionalista Charles Maurras “Politique d’abord”, “la politica innanzitutto” per orientare il metodo del partito socialista in esilio:

Il partito  – scrive Nenni – procederà secondo il metodo (politique d’abord) che consiste nel non avere pregiudiziali tattiche e nel riconoscere che la tattica è questione di momento e di circostanze. Un partito che sa quel che vuole, e che quel che vuole lo vuole sul serio, non sarà mai imbarazzato sui mezzi da impiegare”. Così scrive Pietro Nenni , sotto pseudonimo (l’editoriale, dal titolo (Politique d’abord, esce su l’”Avanti!” il  28 giugno 1930, ed è firmato NOI, il vecchio pseudonimo con cui Nenni nel 1926 firmava i suoi editoriali su “Il Quarto Stato” con Carlo Rosselli).

Prima della frase che abbiamo appena riportato Nenni aveva scritto: “La tattica? Noi speriamo di non assistere più alle debilitanti accademie degli anni scorsi, in cui i problemi della tattica eran discussi secondo uno spirito dogmatico che tutti li deformava. Ciò non vuol dire che non ci saranno più tendenze e discussioni,….”.

E’ un principio con cui Nenni ha spiegato molto spesso il senso della sua riflessione politica e della sua azione politica.

E’ un tema su cui giustamente e opportunamente Paolo Franchi torna nella sua prefazione a Socialista, libertario, giacobino.

Gli anni  1973-1979 talora sono segnati dall’amarezza, comunque dalla mestizia (quelli in cui ogni 9 febbraio corre il suo compleanno, che ogni volta si trasforma in un bilancio sempre più gravoso, oppure quelli ricorrenti per la moglie , morta – toccante l’ultimo, quello del 15 agosto 1979, p. 455) e anni segnati dalla cerimonia degli addii nei confronti di figure, uomini e donne, che hanno segnato la sua storia . Per esempio Lina Merlin, il 19 agosto 1979, p. 455; Pietro Secchia, 8 luglio 1973, pp. 63-64; Golda Meir, l’8 dicembre 1978, p. 424; Ugo La Malfa, il 26 marzo 1979,  p. 442; Lelio Basso, 15 dicembre 1978, pp. 425-426]. Ma anche quelli inaspettati, comunque di chi considera appartenenti alla generazione successiva la cui scomparsa o morte improvvisa avverte come un’inversione dell’ordine naturale della vita (per tutti Giovanni Pirelli , 7 aprile 1973, pp. 49-50 e Alessandro Panagulis, 2 maggio 1976, p. 258].

La morte, nel passaggio d’anno tra 1979 e 1980, gli impedirà di scrivere dela morte di Jean-Paul Sartre (15 aprile 1980), ma la nota che scrive il 4 agosto 1975 citando le parole che Alberto Cavallari scrive quel giorno per “La Stampa” in occasione dei 70 anni del filosofo francese segna di fatto un  epitaffio. Probabilmente avrebbe sottoscritto quel che lo stesso Cavallari, cinque anni dopo avrebbe scritto in morte di Sartre: “L’ ultimo servizio che Sartre ha reso all’ umanità  – scriverà Cavallari in morte di Sartre – è di aver dimostrato che tutte le “chiese” si somigliano,e che anche l’ “umanesimo laico” diventa un’ immensa fabbrica di papi e papesse quando si esprime per “parrocchie” intellettuali”.

Al netto di queste emozioni che misurano la vecchiaia, le pagine del diario testimoniano di uno sguardo acuto sul presente. Uno sguardo in cui poco sfugge proprio perché il tema è quello del disincanto o della valutazione , anche appassionata, ma senza che si perda né la lucidità, né l’acutezza dell’osservazione.

Ne scelgo due per molti aspetti ancora brucianti. Il

Il primo riguarda la realtà politica israeliana, realtà a cui Nenni è particolarmente legato. In particolare il tema  è il passaggio del partito laburista dal governo all’opposizione e l’inizio dei governi del Likud, allora guidato da Menachem Begin. La nota è in data 18 maggio 1977. Scrive Nenni:

“Ieri sapevamo dove andava Israele, oggi non lo sappiamo più. Al punto che si può dire del partito [laburista, ndr] che esso riprenderà le posizioni perdute ma si deve dire dello Stato che non si sa più  verso quale destino vada incontro.” [p. 339].

Una riflessione che fotografa contemporaneamente la dimensione fortemente intrisa di emozioni, di “arretramento” della razionalità della politica, ma anche di “spaesamento” di una realtà di amici di Israele, soprattutto a sinistra e in particolare nel mondo socialista europeo che non riesce più a comprendere il quadro politico, culturale, emozionale, dell’immaginario collettivo di una matassa sempre più ingarbugliata e che per  semplificare chiamiamo “questione israelo-palestinese”.

 

Il secondo riguarda la crescita ella conflittualità sociale negli anni ’70. e l’innalzamento del fenomeno del terrorismo. Un aspetto che comincia con le prime azioni delle neonate Br e si chiude ancora  sensazione di aver mancato a un appuntamento. E’ dapprima la crisi irreversibile del centro-sinistra e, insieme, gli anni in cui la società italiana vive convulsamente la crisi del modello fragile che sembrava essersi affermato negli anni ’60.

Ma soprattutto ciò che occupa la riflessione di Nenni è la crescita del confronto Dc-Pci.  Nenni  riflettendo su Aldo Moro (siamo nell’autunno 1976, nel momento di consenso politico più basso da parte del Psi) dice a Giuseppe Tamburrano nell’Intervista sul socialismo italiano (Laterza 1977):

“Moro è stato tra i più seri interpreti della società in movimento. Perciò ha accettato e portato al successo nel congresso democristiano del 1962 la prospettiva dell’incontro con i socialisti: ci ha creduto e l’ha difesa, sovente a caro prezzo. “

E poi prosegue:

“Ma egli associa a una visione in profondità dell’uomo e della società, della nazione e del mondo, una lacuna della volontà nell’azione che lo fa arrivare sempre in ritardo  alle mete che si propone, quando nel gran libro della vita la pagina è stata voltata. Noi non abbiamo mai avuto motivo di dubitare della sua lealtà, ma abbiamo dovuto criticare la sua mancanza dela nozione ‘tempo’. Aggiungi che manca a Moro il senso del parlamento e quello della piazza e avrai l’uomo coi suoi limiti … . Ma è pur vero che ha finito per far accettare alla DC le aperture che nel 1962 portarono al dialogo con il Psi e che dopo il 20 giugno [1976, ndr] si sono allargate ai comunisti in termini di confronto”.

In  questo passaggio c’è molto delle pagine che leggiamo ora nei suo Diari, intorno alla crisi italiana della metà degli anni ’70: la crisi della Dc, il successo elettorale, e poi l’arretrarsi del Pci nel 1979, la crisi del Psi con la segreteria De Martino e poi e l’inizio della segreteria Craxi che a partire dal 1976 inizia lentamente la sfida per la ripresa politica del partito.

Di quella lotta interna Nenni in quegli anni è soprattutto un osservatore: vede la crisi del politico De Martino, capisce la sfida di Bettino Craxi, una figura politica che il tempo dirà essere figlio suo, ma che Nenni non avverte come una “sua creatura” anche se è disponibile ad aiutarlo, comunque non muovendosi contro.

La bussola è ancora è il principio della politique d’abord. La condizione di crisi del Psi infatti non lo elimina dal gioco, ma lo rimette in gioco anche perché la parità numerica d tra Dc e Pci gli assegna un ruolo . Quella partita dunque si tratta di giocare. Di questo Nenni è consapevole e anche per questo, appoggia Craxi. Anche se non sempre ne coglie tutte le mosse.

Per esempio. E’ significativo (e questo dice molto del profilo dell’uomo politico) come per Nenni sia molto importante la cultura, (è il merito che riconosce a Lelio Basso aver raccolto una biblioteca di grande valore), ma di sottovalutare o comunque di non  valutare la battaglia delle idee. Così per esempio la nota su Proudhon e Marx che Craxi pubblica su “L’Espresso” nell’estate 1978 e che segna l’inizio del crollo dell’egemonia culturale della del Pci nella cultura della sinistra italiana, è da lui taciuta. Insomma è una “non notizia”. In fondo, sembrerebbe di capire, un dato di scarso interesse.

In una delle sue ultime note poco prima della morte, in data 15 dicembre 1979, scrive:  “Tutto va alla deriva e purtroppo il Partito è tra i più colpiti. C’è una crociata contro Craxi e la sua segreteria.  (…) L’incarico che Pertini gli dette di fare il governo inorgoglì il partito ma sollevò contro di lui molte gelosie che non hanno tardato a tramutarsi in rancore. Ciò malgrado è il migliore del gruppo dirigente e io sto facendo il possibile per salvarlo”. [pp. 469-470].

Una crisi che è prima di tutto crisi di politica. Il principio della politique d’abord torna più spesso nelle sue note di questi anni, proprio in relazione alla mancanza di una fisionomia politica del partito che avverte arroccato, diviso, attraversato da molti conflitti, spesso privo di una strategia, povero culturalmente. Tuttavia un  partito che esprime il Presidente della Repubblica con Sandro Pertini .

“Con lui – scrive nel suo diario alla data dell’8 luglio 1978 – La Resistenza entra al Quirinale. Ed era tempo”. Anche se poi ha giudizi severi sula sua fisionomia di politico (per esempio a proposito della sua visita in Germania nel settembre 1979, quando scrive che Pertini, come altri paga il prezzo della “improvvisazione all’opera di governo” per concludere “Non si diviene uomini di governo per grazia di Dio” [p. 458].

Un dato che non sembra particolarmente cambiatio  molti anni dopo quando siamo in presenza  di una classe politica debole, incerta, spesso attratta dalla mossa furba. Una condizione che dice della natura della crisi.  In mezzo in quegli anni c’è una società che sopravvive alla inesistenza di un governo per otto mesi, dall’inizio del 1979   al 4 agosto 1979 con il varo del primo governo Cossiga. In mezzo, l’anno precedente, l’assassinio Moro 9 maggio 1978), la lacerazione dei 55 giorni della sua prigionia sul tema della trattativa, le dimissioni del Presidente Giovanni Leone (15 giugno 1978).

Uno scenario inquietante, in altri contesti si direbbe preludio di una crisi irreversibile.

E’ istruttivo, per chi allora non c’era e stenta a immaginare come un paese possa sopravvivere a se stesso, leggere ciò che Nenni scrive il 18 giugno 1978.

“Nottata di baldoria. Mentre vado a letto (verso l’una) dalle strade sale un enorme boato. Nessuno ha un pensiero per Aldo Moro. Le dimissioni di leone dal Quirinale non fanno più notizia. Causa di tanti frastuono sono i campionati internazionali del calcio che si giocano in Argentina. Stasera a Buenos Aires  gli azzurri hanno battuto l’Austria uno a zero. Otto giorni or sono all’inizio delle gare avevano battito l’Argentina con due a uno”. E’ l’esordio di Paolo Rossi. Cominciava un altro tempo, La crisi rimaneva stabile.

(DA SINISTRA PIETRO NENNI, FRANCESCO DE MARTINO, BETTINO CRAXI ALLA RIUNIONE DEL PSI NEL 1976 (Roma’s/Giacominofoto, ROMA – 1976-01-07)

TAG: Aldo Moro, Bettino Craxi, Maria Vittoria Tomassi, Marsilio Editore, paolo franchi, Pietro Nenni
CAT: Partiti e politici, Storia

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