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Governo

Di separazioni consensuali, di politica e altre facezie

di Marco Bennici
17 Settembre 2019

Ho deciso che non scriverò più di politica. Per carità la cosa non è d’interesse per nessuno, ma credo sia questo l’unico modo per andare a affermare un modo tutto mio di intendere la politica, e per provare a descriverlo, in primis per me stesso. Per natura sono stato sempre attento alle questioni della res publica, informandomi e partecipando, e poi partecipando e informandomi. Adesso però sono arrivato a un punto che più cerco di andare a fondo nelle questioni pubbliche, o meglio politiche, più non riesco a passare la sottile membrana che divide me dalla comprensione di esse. E se c’è un momento che detesto più di tutti, è quello in cui credo di avere capito tutto, perché tutto sembra essersi allineato al mio modo di pensare, ed è il momento in cui mi dico bravo, vedi che avevi già visto tutto, vedi che hai imparato anche qualcosa di politica, vedi che certi mondi a un certo punto si incastrano, e che esiste una qualche provvidenza di carattere manzoniano anche oggi, nell’anno 2019, che arriva puntuale a sistemare le cose e che magari domani staremo tutti meglio, ecco generalmente è lì, proprio in quel momento, che poi sembra rompersi tutto, compresa la mia capacità di comprensione che non è più come immaginavo qualcosa di fine, ma semmai qualcosa di farlocco, che ha preso in inganno prima di tutto me stesso, e poi tutti coloro che si sono limitati a chiedermi un’opinione.

Ecco, uno di questi momenti qui l’ho sperimentato nuovamente ieri sera, quando tutti i tg della sera davano la notizia che Matteo Renzi ha deciso di lasciare il Partito Democratico. E passo a descrivere alcune delle reazioni che hanno riguardato la mia persona appena udita la notizia. 1. Ho cominciato a strisciare inutilmente i piedi, portandomi alternativamente tra la televisione e la zona della cucina che sta tra il frigo e i fornelli, appoggiandomi con il gomito lì e guardando mia moglie in attesa da parte sua di un cenno di comprensione, e di qualche parola che potesse rassicurarmi: premetto che io e mia moglie politicamente la pensiamo alla stessa maniera, anzi lei è un tantino più a sinistra di me. 2. Mi sono varie volte impalato davanti alla tv in atteggiamento austero, un’aria del tipo: che cavolo stai facendo Willis? 3. Ho perso progressivamente la fame, e anche parte del mio senso dell’orientamento nel tempo e nello spazio. 4. Ho pensato che di un partito del 3% non se ne fa niente nessuno, ma davvero nessuno. 5. Ho capito che non esistono luci in fondo al tunnel in politica, ma che la politica esiste, almeno a livello nazionale, solo perché è fine a se stessa.

E’ stato dopo aver passato tutta questa serie di pensieri e sensazioni che ho deciso che non scriverò più niente di politica, e che non c’è niente di letterario in politica. Poi ho anche capito che per finire come siamo finiti qualcosa ce lo siamo meritato. Deve essere stato questo accettare a testa bassa tutto quello che veniva e tutto quello che verrà. Sicuramente Renzi della sua scissione ci fornirà stamani e nei prossimi giorni una visione illuminata, edulcorata, magari fiabesca. Io dico semplicemente quello che ho pensato, la domanda a cui non ho trovato ancora risposta: il nuovo governo Conte, quello che ha appoggiato e appoggia anche il nuovo Renzi [ndr], è arrivato appena al giuramento dei sotto-segretari, è quindi praticamente un governo ancora in fasce, allora che bisogno c’era di questa accelerata, di questa corsa a contarsi per formare alla Camera un nuovo gruppo parlamentare (venti deputati) e per aderire al misto al Senato (dieci senatori)? E’ questa la domanda che mi accompagna anche oggi e a cui non so come rispondere, questo il velo che sta nuovamente tra me e la comprensione delle cose, questo il motivo per cui ho deciso che non scriverò più niente di politica.

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