Obiezione senza coscienza

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23 Febbraio 2017

Acque agitate intorno all’ospedale San Camillo di Roma e alla decisione, presa dalla regione Lazio, di portare avanti un concorso per l’assunzione di ginecologi non obiettori per ampliare il personale della struttura. Don Carmine Arice, direttore dell’ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, ha espresso la contrarietà della santa sede rispetto ad un’operazione bollata come lesiva del diritto dei medici all’obiezione di coscienza. Dubbi anche dal ministro Lorenzin, che avanza perplessità sulla legittimità della selezione. Tutto questo in un paese in cui l’applicazione di una legge dello stato, la 194, è limitato (non solo nel diritto all’aborto, ma anche alla contraccezione d’emergenza e, in molti casi, alla salute riproduttiva) a causa di pressioni e vincoli che con gli atti di coscienza ben poco hanno a che vedere. I dati riguardanti le percentuali regionali dei medici obiettori nelle strutture pubbliche sono sconfortanti: si passa dalla “virtuosa” Emilia Romagna, dove solo il 51% dei ginecologi ha fatto obiezione di coscienza, al 93% del Molise, passando per un 87% della Sicilia e un 67% del Piemonte. La legge prevede che i medici siano tutelati nella libera espressione della loro coscienza, sostiene la Cei, ma la tutela, per legge dovrebbe riguardare tutti i medici e soprattutto i pazienti.

Tralasciando per un momento (consci però del fatto che da questo dipendono molti dei problemi che portano poi al ricorso all’interruzione volontaria di una gravidanza) la difficile situazione in cui versano molte regioni per quanto riguarda l’accesso alla prevenzione in ambito di salute riproduttiva, con consultori chiusi, parzialmente operativi o con personale insufficiente, ci dovremmo domandare chi tuteli quei ginecologi che decidono di non fare obiezione e che si vedono quotidianamente costretti, per far fronte alle esigenze dei pazienti, a trasformarsi da professionisti “a tutto campo” in operatori di aborti. Perché la legge esiste, lo Stato deve garantirne l’applicazione, le strutture pubbliche dovrebbero essere il tramite di questa garanzia e il peso però ricade esclusivamente su chi ha deciso di svolgere “per intero” il proprio compito. Decidere di diventare medico non significa infatti decidere per una determinata specializzazione, ma intrapreso un percorso coscienza – uso volontariamente il termine – imporrebbe di assumersi gli oneri che la scelta comporta. Ma i casi di coscienza sono pochi: la maggior parte dei medici obiettori decide di non praticare aborti perché sa che finirebbe per limitare la sua carriera, sia sotto il profilo delle potenzialità remunerative, sia per quanto riguarda le possibili soddisfazioni professionali derivanti dall’esercizio della professione in tutte le sue branche.

Troppo di frequente ci dimentichiamo che il lavoro che qualcuno si rifiuta di svolgere viene compensato da qualcun altro, con tutto il peso che questo comporta.

Garantire il diritto all’obiezione non dovrebbe negare a chi non obietta il diritto di crescita professionale e di equilibrio personale. Perché, a prescindere da come la si pensi, avere quotidianamente a che fare soltanto con un momento difficile, critico e emotivamente pesante della vita di una persona è logorante. Per questo esistono casi di medici obiettori per “esaurimento” delle forze, perché – dopo anni – non reggono più il carico del lavoro da cui altri hanno deciso di astenersi. Vengo qui allo “stupore” in merito al discrimine concorsuale: qualcuno si stupirebbe se in un concorso pubblico per l’esercito o per qualsiasi altro corpo di difesa della sicurezza pubblica si vincolasse l’accesso a chi non rifiuta l’uso delle armi? Fa parte del “mestiere” e se si ritiene di voler essere un militare di professione si accetta ciò che questo comporta.

Non dovrebbe forse essere il criterio basilare nelle scelte di pubblici incarichi l’effettiva utilità del ruolo? Se occorrono medici in grado di garantire l’applicazione della legge 194, perché la sanità pubblica dovrebbe farsi carico di garantire un posto a chi questo servizio non lo vuole dare?

Veniamo ai pazienti. Nella triste vicenda del diritto all’aborto non garantito a pagare il prezzo più alto sono, come sempre, le persone a reddito basso. La coscienza infatti ha un preciso limite, che spesso si sfuma nel passaggio fra pubblico e privato: chi può permettersi il ricorso a una clinica privata non incontra particolari ostacoli, chi deve passare attraverso la sanità pubblica deve sperare di vivere in una delle – poche – regioni in cui la lista d’attesa non rischia di far scadere il termine del terzo mese. Tutto perché lo stato non è in grado di portare avanti un piano di assunzioni adeguato alle esigenze sanitarie del paese. La legge 194 infatti parla di consultori, di educazione sessuale, di prevenzione, ma molto poco di tutto questo è garantito a causa delle scarse risorse investite. In molte realtà c’è poi chi ritiene possibile l’obiezione di coscienza sulla contraccezione d’emergenza, altro triste capitolo della malafede di un certo sottobosco “sanitario”: a fronte di tutto ciò non risulta difficile capire le motivazioni che hanno portato la regione Lazio a compiere la scelta di un concorso con precisi vincoli. Una buona amministrazione infatti deve tutelare i cittadini e investire al meglio le risorse pubbliche. Se mancano gl’insegnanti delle scuole materne non si cercano professori del liceo in fondo. Molto spesso – giustamente – l’opinione pubblica s’indigna alla notizia di posti “ritagliati” a misura di dipendente, per sistemare questo o quel personaggio. Cattiva amministrazione, spreco di risorse pubbliche. Ecco che allora dovremmo solo ringraziare chi ha scelto d’indirizzare correttamente le risorse verso un servizio utile alla comunità e a garanzia dell’applicazione di una legge dello Stato. Lasciando l’indignazione per le coscienze discriminate a chi, da tempo, non si fa alcun problema a discriminare medici e pazienti, schiacciati da scelte personali che, come tutte le scelte personali, dovrebbero implicare un’assunzione di rischio e responsabilità da parte di chi le compie e non di chi le subisce.

TAG: 194, aborto, amministrazione, cei, consultori, ginecologi, lazio, medici, obiettori, obiezione
CAT: Questioni di genere, Sanità

2 Commenti

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  1. andrea-lenzi 7 anni fa

    Articolo chiaro e condivisibile.
    Purtroppo la CEI da una parte condanna l’aborto (imponendosi sulle donne, che sono le uniche a poter decidere, fino a prova contraria) ed impedisce la diffusione di una cultura sessuale a scuola e sui media, dall’altra si lamenta degli aborti, in parte dovuti a questa stupida sessuofobia che è inscindibile dalla religione (in particolare quella cattolica, che condiziona i bambini fin dall’infanzia parlando loro di “atti impuri”)
    Il problema sono i soldi che gli diamo, che poi usano per condizionare la società ed imporsi a tutti noi (impediscono una legge sull’eutanasia, quindi tutti dobbiamo morire come vogliono i cristiani, che con una legge sarebbero comunque liberi di scegliere di morire come le loro credenze gli impongono)

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  2. beniamino-tiburzio 7 anni fa

    Siamo alle solite : lo Stato etico, o meglio, portatore di una delle TANTE etiche, segna la morte delle libertà individuali. Queste libertà, per alcune etiche, attraversa campi minati non percorribili.

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