Se la scuola non dimentica di dover essere “politica”
Tschingis Aitmatov, “Il primo maestro”, Marcos y Marcos pp. 122, Euro 15,00.
Una scrittura tersa, una storia semplice, un racconto venato di nostalgia ma che non scivola mai nella banalità e, nel profondo, reca il senso di una direzione politica o, se si vuole, il senso di una profezia che riguarda gli uomini e il mondo, non un solo popolo: parliamo de “Il primo maestro” (Marcos y Marcos, pp. 122, euro 15, traduzione di Guido Menestrina), romanzo breve dello scrittore kirghiso Tschingis Aitmatov, classe 1928, scrittore di razza e, da politico, attivo come ministro dell’Unione Sovietica nell’era di Gorbaciov. Un giovane militante comunista, Djušen, torna al suo antico villaggio kirghiso di Kurkureu e, su indicazione del Komsomol (l’organizzazione giovanile del partito comunista sovietico), realizza in una vecchia stalla una scuola per i bambini di quell’angolo di mondo. Incompreso e mal sopportato da molti che non capivano a cosa potesse mai servire loro una scuola, riesce tuttavia a attrarre diversi bambini e fra questi una piccola orfana, Altynaj che, pur essendo ostacolata dai suoi zii che la vendono per darla in sposa a un uomo vecchio, gretto e violento, si rivela un’alunna appassionata e brillante. Per quella bambina quella scuola (e con essa Djušen)è il grande amore, è la strada per capire sé stessa e il proprio valore: grazie a quel primo maestro, riesce a fuggire dalla morsa del marito violento e andare a Mosca per studiare. Diventerà un’importante accademica, una protagonista del mondo culturale sovietico e ritornerà dopo molti anni nel suo villaggio natìo. Che cosa rende interessante questo romanzo? Al di là delle qualità stilistiche e del fascino della storia, al di là dei personaggi e degli ambienti, occorre fissare l’attenzione su due aspetti: anzitutto la riflessione (non retorica, ma creativa) riguardante la qualità intrinsecamente politica della scuola, sin dal suo apparire e posizionarsi tra i gangli più profondi e vitali della vita pubblica di ogni stato moderno, e in secondo luogo la rivendicazione della dimensione quasi “fisica”, e comunque affettivamente connotata, del rapporto docente/discente. La scuola è politica perché ad essa la società assegna il ruolo di formare nelle coscienze dei giovani quelle categorie politiche che poi consentiranno loro, una volta diventati adulti, d’inserirsi positivamente e da protagonisti nel consesso civile. Senza la consapevolezza di questa dimensione politica, la scuola rischia di perdere la sua voce più autentica e lasciare che il suo ruolo venga interpretato da burocrati, da freddi amministratori (i famigerati manager) o da operatori che, magari capiscono di pedagogia e didattica (in tutta la crescente e vertiginosa complessità di queste discipline e nella stucchevole attitudine a stilare progetti e creare acronimi), ma restano sordi alla significatività politica e civile della scuola in quanto tale. Riguardo al secondo aspetto, ovvero alla dimensione “fisica” del rapporto tra alunni e insegnanti, la riflessione dev’essere, se possibile, più attenta e responsabile: stare bene insieme, aver voglia di andare a scuola, imparare insieme, imparare e insegnare con gioia e rigore, sfidare la fatica e i limiti di ciascuno. Si tratta di quella dimensione che gli antichi greci non esitavano a chiamare “erotica” (cioè amorosa) e leggevano non in termini di perfomances ma nell’efficacia relativa alla crescita umana e morale. Una crescita che la professionalità docente ha sempre saputo (e saprebbe ancora) coltivare, realizzare e valutare. Basti pensare a quanto sia presente e sentita questa necessità nelle attuali società (negli alunni, nei docenti, nelle famiglie) attraversate dalla pandemia da Covid e quanto però sia spinta, in modo vieppiù pressante, la dimensione a virtuale dell’insegnamento (ben oltre le necessità di protezione sanitaria), quasi fosse un destino. Il romanzo di Aitmatov non s’inoltra certo in queste problematiche, però disegna e concede di esse un’immagine aurorale, netta, feconda di approfondimenti e di riflessioni ormai necessarie.
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