Diritti

Rischio Nazaret, se la violenza ha un volto familiare

31 Gennaio 2016

Come tutti, il cristiano si scontra con la violenza. Non appena agisce e, più ancora, non appena ha degli interessi da difendere e dei compiti da svolgere, egli incontra o provoca opposizioni che non può non volere se vuole qualcosa. Le sue responsabilità familiari, il suo lavoro professionale, la sua situazione sociale o i suoi doveri politici lo obbligano a delle scelte e fanno di lui l’autore, il complice o la vittima di conflitti. Non è forse la legge di tutta la sua vita? In rapporto a queste tensioni, che ne è della pace che la chiesa gli insegna?

Michel de Certau, Mai senza l’altro

La domanda che la vita pone al cristiano è proprio questa: accettare di morire o uccidere? Il nostro tempo non è né più né meno violento del passato, all’umiliazione di piazza abbiamo sostituito la gogna mediatica, alla colonna infame la macchina del fango.

Davanti a chi ci fronteggia, affermando di non essere d’accordo con noi, dobbiamo decidere se tentare di ucciderlo, di eliminarlo, di umiliarlo, o se correre il rischio di essere portati sul ciglio del monte per essere uccisi.

Siamo continuamente sollecitati a decidere della violenza che ci portiamo dentro e della violenza che ci sembra di subire. È sempre in agguato il desiderio di fare fuori chi ci dà fastidio. E a volte l’altro ci dà fastidio semplicemente perché non riconosce le nostre ragioni, perché non le condivide, perché la pensa diversamente. Le parole ci provocano quando incontrano le nostre situazioni e le mettono in questione. Queste parole non sono solo le parole degli altri, ma talvolta è anche la Parola di Dio.

 

Quando l’altro ci provoca mettiamo automaticamente in atto i nostri meccanismi di difesa: prima di giungere all’eliminazione finale, proviamo a svalutare l’altro. Nel Vangelo questo meccanismo è ricorrente nei confronti di Gesù: non è forse il figlio del falegname? Se fosse un profeta saprebbe che tipo di donna è…

La svalutazione è una forma di moderata aggressione che viene usata non solo a livello mediatico (senti chi parla!), ma anche nei contesti più familiari, cioè laddove sono più conosciuti i difetti e i limiti dell’altro (Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso”): nel rapporto di coppia, tra colleghi di lavoro, ma anche nella comunità religiosa, la svalutazione è la forma di violenza più ordinaria.

 

In questo brano del Vangelo, Gesù è il familiare che ci provoca e che cerchiamo di tenere a distanza, svalutando le sue parole. Ed è così che si crea un corto circuito, che è il corto circuito della vita: Gesù prenderà sul serio questa svalutazione e andrà ad annunciare il Vangelo agli estranei di Cafarnao. A Nazaret, nei suoi luoghi familiari, non potrà fare nessun miracolo, perché i suoi familiari non sono disposti a lasciarsi provocare dalle sue parole. Ma questa è la storia di sempre: Gesù ricorda che lo stesso avvenne per la vedova straniera a cui fu mandato Elia e per il lebbroso straniero che venne da lontano per essere guarito dal profeta Eliseo.

È l’esperienza stessa di Gesù che ci invita ad abitare dentro questo paradosso: tra una familiarità diffidente e un’estraneità accogliente, chi ci è più vicino ci rifiuta e chi è più lontano ci accoglie.

 

I familiari di Gesù, i suoi concittadini, quelli che svalutano la sua parola e tentano di portarlo sul ciglio del monte per eliminarlo, sono i suoi familiari di ogni tempo:questa è la dinamica che continua a ripetersi nella Chiesa, nella città di Dio. Nella famiglia di Gesù, tra coloro che gli sono più vicini, c’è sempre il rischio di respingere Cristo, c’è sempre la tentazione di voler allontanare la provocazione delle sue parole. Una Chiesa che vuole portare Cristo sul ciglio del monte, è una Chiesa che vuole eliminare Dio per appiattirsi sulle proprie malattie, una Chiesa che è interessata solo alla guarigione delle proprie piaghe, ma che non ascolta più la provocazione della Parola. È una Chiesa sociale, filantropa, ma senza Dio. Questo tentativo di omicidio, dice il Vangelo, non avviene nei luoghi estranei o ai confini della Palestina, ma avviene a Nazaret e poi avverrà a Gerusalemme, nei luoghi della famiglia e della religiosità.

I concittadini di Gesù, dice il testo, si riempirono d’ira, Gesù invece, all’inizio di questo stesso capitolo, era pieno di Spirito santo mentre si dirigeva nel deserto: ecco, accettare di morire o decidere di uccidere dipende da cosa ci lasciamo riempire. Le nostre scelte sono il frutto di quello che ci portiamo nel cuore. Le nostre frustrazioni, la nostra rabbia, le nostre delusioni si trasformano in accusa mortale nei confronti di chi spesso è semplicemente la nostra vittima designata, il nostro capro espiatorio.

*

In copertina, Henri Matisse, “La famiglia del pittore” (1911)

Testo 

Lc 4, 21-30

Leggersi dentro

  • Ci sono situazioni della vita in cui sperimenti la violenza (tua verso gli altri o di altri verso di te)?
  • Sei disposto a lasciarti provocare dalla parola di chi ti è vicino?
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