Peirone: “Più che chiedere eroismo, il mondo guardi l’oasi di pace della lirica”

11 Marzo 2022

Ci sono pezzi di mondo nei quali questa guerra sembra perfino più incomprensibile che agli occhi di tutti. Sono quei “microcosmi” nei quali russi e ucraini lavorano insieme, spesso a livelli di assoluta eccellenza, incrociandosi, perdendosi e ritrovandosi in giro per il mondo. Capita, naturalmente, nel mondo dello sport, del teatro, del cinema. O della lirica. Su quei palchi e nei camerini quella che si consuma è una guerra più incivile che mai, perché mette dalle parti dei nemici obbligati tanti che erano naturalmente compagni di viaggio, di bisbocce, di prove, per settimane e mesi. Una vita, quella del cantante lirico, che ha raccontato bene Matteo Peirone, basso italiano che ha cantato su palchi importanti in tutto il mondo, sul suo profilo Facebook, partendo proprio dalla storia di un cantante lirico ucraino. Una vita lontana da quella delle super star come la soprana Anna Netrebko, russa con passaporto austriaco e il direttore Valerie Gergiev, al centro del “caso Scala” ma anche direttore del teatro d’opera di San Pietroburgo, tornato grande proprio grazie alla sua direzione e al sostegno personale di Putin.​

Proprio in riferimento a queste vicende, a conclusione del suo post, Matteo scriveva: “In queste ore si parla di tanti grandi nomi dello spettacolo che si schierano o non si schierano contro la guerra. Artisti che hanno fama e molti mezzi. Che hanno residenze garantite e doppie cittadinanze. In alcuni casi che volano con jet privati. E ci si chiede se l’arte si debba schierare o no. Poi esiste la normale vita del teatro, quella che ti fa incontrare Valentin Dytiuk per esempio. Un tenore con la voce d’oro e una valigia”.

Lo abbiamo cercato per farci raccontare un po’ meglio cosa stIa succedendo, proprio in questi giorni, in quel mondo che deve restare – dice lui – «un’oasi di pace e di testimonianza» in cui «l’equilibrio tra persone diverse – le cui nazioni sono in guerra l’una contro l’altra, in cui una è vittima e l’altra è carnefice – è la miglior prova dell’assurdità di questa situazione e invasione. So che è un po’ retorico, ma è anche molto vero». Peirone racconta di come proprio mentre stava per scoppiare la guerra si esibivano sullo stesso palco, quello del Teatro Regio di Torino, Ilya Kutyukhin e Valentin Dytiuk, russo e ucraino, e Piero Maranghi, regista di quella Bohème insieme a Paolo Gavazzeni,  alla fine li ha invitati a dare un saluto, insieme, al pubblico, e i due cantanti si sono abbracciati, condividendo con il pubblico l’incomprensibilità di questa invasione. «Quello della lirica» prosegue «è un vero mondo multietnico e multinazionale, in cui costantemente ci si trova a lavorare – spesso in italiano, peraltro – con persone che vengono da tutto il mondo. La lirica è  la concreta testimonianza della possibilità di trovare una lingua universale e condivisa, attraverso la musica e il canto».

Ma chiedere agli artisti russi di esporsi è  importante anche in termini di messaggio internazionale? «È vero, ma è anche vero che il loro schierarsi spesso per loro è costoso e molto pericoloso, perché non tutti hanno – appunto – la doppia cittadinanza e il jet privato. Spesso poi quello “schierarsi contro” fa rumore nel breve ma non cambia molto nel medio periodo, e rischia di rompere appunto quell’equilibrio e quella testimonianza, quel luogo di dialogo e bellezza  che è la musica. Gli artisti che si schierano sono spesso eroi, per quel che rischiano. Vanno ammirati ma bisogna ricordarsi che l’eroismo non può mai essere richiesto o, peggio, preteso, da tutti».​

TAG: Matteo Peirone
CAT: Teatro

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