Il mistero degli IRS di duration del MEF e dei costi dei derivati di stato

1 Maggio 2015

IRS di duration: chi era costui? Una nuova classificazione dei derivati su tassi di interesse è nata dentro il dibattito sui derivati di stato. E’ partita dalla relazione di Maria Cannata, la responsabile del debito pubblico del Ministero di Economia e Finanza (MEF), è rimbalzata sui giornali. Non la troverete nella letteratura scientifica. Non verrà chiesta a nessuno studente a un esame di università. Il mistero dei contratti swap “di duration” ci pone di fronte a tre domande, o a tre realtà, non necessariamente alternative. La prima: l’effettiva presenza di esperti in prodotti derivati presso il MEF. La seconda: forse questa definizione di “swap di duration” nasconde qualche uso improprio, o almeno non standard, dei derivati da parte del MEF? La terza: cosa è stato, e che ne sarà   dell’impatto dei derivati sui conti pubblici italiani passati e futuri?

Alla radice delle tre domande che affrontiamo qui, ce n’è una fondamentale. Sono cominciati a comparire sulla stampa i numeri dell’impatto dei contratti derivati sulla spesa pubblica. E’ uscito il numero del costo pagamenti per derivati sostenuti finora, per circa 13 miliardi. E’ uscito il numero sul valore di mercato (mark-to-market) dei contratti derivati aperti presso il MEF: circa 42 miliardi. Tutti ci tranquillizzano aggiungendo che questi ultimi sono solo un costo figurativo “che dovremmo affrontare se i contratti venissero chiusi oggi”. Non è proprio così: 42 miliardi sono anche i pagamenti attesi su derivati che graveranno sulle leggi di stabilità future di questa e della prossima generazione. In complesso, si tratta quindi di 55 miliardi di costo, di cui 13 già pagati in passato e 42 da pagare in futuro. L’unica consolazione per il contribuente sarebbe sapere che a fronte di queste spese ci fossero altrettanti risparmi nella spesa per interessi. Se così fosse, l’utilizzo dei derivati da parte del MEF sarebbe stato professionale, perché nello scenario opposto, di un aumento della spesa per interessi del debito, i derivati avrebbero fatto registrare un guadagno. E’ la tecnica della copertura. It’s hedging, honey.

Ora la domanda è: quanti dei 55 miliardi che abbiamo pagato e che ci aspettiamo di pagare sono stati di copertura? Nel dibattito ci si è giustamente soffermati sui 9 miliardi di passivo generati dalla vendita di swaption. Questi sono senz’altro estranei a una strategia di copertura: siamo sicuri che a fronte dfi questi 9 miliardi non c’è un risparmio in qualche altra voce della spesa per interessi. Questo è pacifico, ma c’è un altro mistero: il mistero degli “IRS di duration”. Sono di copertura? Se non lo sono, altri 33 miliardi di pagamenti attesi non troveranno compensazione in una riduzione della spesa per interessi.

Quindi, cosa significa: “IRS di duration”? Nei dati riportati in un’inchiesta sul Sole 24 Ore, Claudio Gatti ha distinto tra “IRS di duration” e “IRS di copertura”. Alla mia richiesta di chiarimento sul punto ha risposto che la distinzione proveniva dal MEF. Ora, poiché i derivati sono oggetto di pubblicazioni scientifiche come i protocolli e le scoperte della medicina, e poiché questa distinzione nella letteratura non c’è, ci chiediamo se gli esperti del MEF abbiano scoperto qualche cosa di nuovo, o se siamo di fronte a un’innovazione come quella rappresentata dal “metodo stamina” per la medicina. Forse né l’una, né l’altra cosa. Forse, il termine “IRS di duration” è un termine coniato dal MEF per suggerire un utilizzo diverso da quello standard di copertura.

E’ facile spiegare perché la definizione di “IRS di duration” come contrapposto a “IRS di copertura” sia una definizione infelice. Facciamo un esempio. Fate un IRS di copertura per coprire le fluttuazione della spesa per interessi di un CCT, che è un titolo a tasso variabile. In altri termini, stipulate un contratto in cui la banca si sostituisce a voi nel pagamento variabile e voi in cambio le date pagamenti fissi. E’ un “IRS di copertura” da manuale, ma qualunque studente sa che ha anche l’effetto di allungare la duration. Quindi, ogni IRS di copertura è anche IRS di duration, e la distinzione non sta in piedi.

Ma, al di là dell’inconsistenza della definizione, quello che interessa è sapere se essa denoti una particolare attività in derivati del MEF, che il MEF stesso ammette non essere “di copertura”. Ed ecco la nostra congettura su cosa intende il MEF per “IRS di duration”. Invece di convertire i pagamenti a tasso variabile di un CCT a sette anni in pagamenti a tasso fisso con un contratto swap a sette anni, considerate di coprire le emissioni di BOT, a tre, sei e dodici mesi entrando con contratti swap a quindici o trent’anni.  Questo uso dei derivati è diverso, e più complesso e rischioso, di quello di copertura. E’ lo stesso uso che viene fatto dalle banche per stabilizzare il costo dei depositi e che tra chi conosce i contratti derivati è noto come modello di Jarrow-Van Deventer.

E’ chiaro a tutti che stabilizzare il costo di una raccolta a tre mesi con un contratto swap a trenta anni lascia aperte altre fonti di rischio. In particolare, le fonti di rischio che restano fuori sono due. Una è il rischio di quantità: se tra qualche anno nessuno sul mercato compra più i BOT, o non ne compra quanto hai previsto, resti esposto al derivato senza che esista più il rischio che dovevi coprire. La seconda fonte di rischio è il famigerato “spread”: per fare un esempio attuale, se, come ha previsto una banca di affari, in caso di uscita della Grecia dall’Euro gli spread sui BTP ritorneranno a 400 punti, l’aumento di spread si scaricherà sulle nuove emissioni senza che la copertura serva a niente.

A quanto sento e leggo, questa congettura non è solo mia. Corrisponde a quello che l’amico Francesco Corielli ha detto a Report quando ha descritto il “peggiore dei mondi possibili”, che si è materializzato nella crisi del 2011: i tassi che crollano, facendo esplodere il costo dei derivati, e lo spread che schizza su, facendo esplodere il costo della del debito. Corrisponde anche all’appunto che, stando a quanto riportato dalla stampa, l’amico Nicola Benini ha fatto nel corso dell’audizione di fronte alla commissione di indagine: la preoccupazione di cosa coprissero contratti swap a così lungo termine. Se non ci sono CCT a 15 e 30 anni, perché ci sono swap su quelle scadenze? Per coprire che?

Tutto questo solleva domande per il MEF. La nostra congettura è giusta? Se sì, come veniva definita la quantità di questi “IRS di duration”? Sulla base di una stima delle emissioni future di BOT? Era una stima conservativa, in modo da ridurre la possibilità che questi strumenti derivati rimanessero orfani del titolo da coprire, e si trasformassero una scommessa pura sull’andamento dei tassi? E’ stata fatta un’analisi ex-post dell’efficacia della strategia di copertura (una sorta di quello che nella contabilità privata si chiama “hedge accounting”)? E poi, perché sono stati fatti i contratti swap, scambi di flussi, invece di aver acquistato assicurazione dalle banche contro il rialzo dei tassi, con cap o swaption? Del resto, questa è oggi l’unica chance che la legge riserva agli enti locali, ed è una scelta saggia. Dietro un contratto swap in cui viene fissato il tasso, in realtà c’è uno scambio di assicurazioni: le banche assicurano il MEF contro un rialzo dei tassi dei tassi di mercato, mentre il MEF assicura le banche contro il ribasso. Ed è l’aumento enorme del valore dell’assicurazione venduta dal MEF alle banche che ha indotto preoccupazione nelle banche stesse, e ha portato alla richiesta di chiusure anticipate e garanzie. Se il MEF avesse solo comprato assicurazione contro il rialzo dei tassi, con cap o swaption, queste preoccupazioni non si sarebbero manifestate, e sarebbe anche stato agevole verificare se il prezzo pagato dal MEF per i contratti derivati fosse equo (l’unico rischio di fallimento rilevante sarebbe stato quello delle banche).

Per tutti questi motivi, il mio consiglio a Maria Cannata è di non spendere parole di indignazione contro qualche commentatore che ha accusato il ministero di non avere le competenze necessarie. La migliore risposta sarebbe esaudire domande come quelle sollevate qui sopra. Metta al lavoro il suo team su questo, tanto prima o poi qualcuno lo farà da fuori, con qualche esercizio di “reverse engineering”: lo facciamo con la gestione dei fondi, possiamo farlo con la gestione del debito pubblico. E infine, si astenga dall’inventare nuove definizioni e classificazioni di derivati, come gli “IRS di duration”. Per quello non basta neppure una cattedra universitaria, bisogna essere  pubblicare su riviste internazionali: non è la missione del MEF.

TAG: Commissione di inchiesta sui derivati, Costo del debito, Derivati di stato, Hedging, maria cannata, mef
CAT: Bilancio pubblico

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