Sulla nostra considerazione per il mondo omosessuale, è l’ora di un censimento

14 Giugno 2016

In queste ore, la comunità omosessuale è in grande agitazione. Non è solo la questione del tutto evidente di un attacco al cuore della propria identità, attraverso il sacrificio umano di 49 persone trucidate da un pazzo. No, c’è molto di più. La comunità si sente vittima e parte di una storia molto più complessa, portandola a pensare che vi sia in atto un complotto culturale ai suoi danni. Per non girarci intorno e usare le parole con  cui molti ragazzi e ragazze, uomini e donne, stanno riempiendo i social: il Pulse non vale il Bataclan, una carneficina di froci non vale un minuto di silenzio ai campionati europei di calcio, serpeggia, sinistro, un sentimento, se non addirittura di disinteresse,  quanto meno di scarsa partecipazione mentale. Insomma, una discriminazione a livello planetario, l’Italia per la sua parte.

Quando si muove collettivamente un sentimento di questa portata, è utile che gli “altri” comincino a interrogarsi. Se non lo hanno fatto prima. Gli altri siamo noi, che omosessuali non saremmo ma che neppure sappiamo da quale reale identità sessuale discendiamo, da quali perversioni siamo attraversati, che ci diciamo eterosessuali un po’ per convinzione un po’ per difesa personale. Per dialogare meglio, a una parte di noi gli omosessuali devono concedere il beneficio di una buona fede, che arriva molto prima dell’identità sessuale e che abbraccia semplicemente il sentimento della “pietas” e dell’orrore, per cui compenetrarsi in quella tragedia molto al di là o al di qua di ogni inclinazione sessuale. Per dirla chiaramente: se quella carneficina è la più grande della storia d’America, perchè opporre il valore omosessuale prima ancora del valore umano? Nel momento in cui ognuno di noi, sotto forme diverse, ha appreso che cinquanta persone erano state ammazzate in quel modo, a nessuno è venuto di opporre la domanda: ma erano omosessuali?

Si avverte, forte, la necessità di un censimento profondo che vada a definire compiutamente i nostri sentimenti, la nostra considerazione reale per il mondo omosessuale. Insomma se si potesse certificare, con un’approfondita ricerca Istat, ciò che gli italiani pensano davvero del mondo LGBT, avremmo finalmente una mappatura credibile del nostro cervello e dell’elaborazione ch’esso produce quando i temi sono sulla pelle come in questo caso. Ma è un censimento impossibile, avendo a che fare con le nostre ipocrisie, le nostre falsità, il nostro non dire neppure a noi stessi la verità su certa parte della nostra identità (che forse è anche più estesa di quel che immaginiamo). Ed è paradossale che là dove i diritti crescono, come negli States, i rischi aumentino, come se gli odiatori accomulassero rancore in proporzione alle conquiste del Paese. Lo sostiene l’avvocato James Esselk, che alla corte Suprema ha vinto la battaglie per le nozze Lgbt: «Affianco alla tolleranza, è cresciuta una nicchia di odio, una minoranza incapace di evolversi con la società che non accetta il cambiamento. Oggi più del 20% dei crimini scaturiti da odio sono determinati dalle differenze di gusti sessuali. Sono statistiche dell’Fbi e sono secondo solo a quelli di odio razziale». Per capire la distanza incolmabile tra gli States e l’Italia, basta dire che una delle recenti conquiste americane sono i bagni transgender. Cyberspazio per l’Italia.

In queste ore in cui il mondo omosessuale si sente particolarmente discriminato, è abbastanza semplice rispondere che no, che il nostro orrore e la nostra sensibilità non  si applicano a differenze sessuali ma solo a ciò che ci scorre sotto gli occhi. Ma se cominciamo a lavorare sulle piccole cose, prima ancora che sui grandi, “facili”, sentimenti, forse potremo trovare qualcosa in più da fare. Prendiamo i campionati europei di calcio. È vero, come mai nessuno ha deciso che si poteva, o si doveva, imporre su tutti i campi un minuto di silenzio. Si sta trattando a livello planetario il TTIP, la libera circolazione delle merci e degli investimenti tra l’America e l’Europa, e non siamo in grado di decidere su un minuto di silenzio prima di una partita di calcio?

No, non è più eludibile un censimento sulla considerazione di ognuno di noi per i mondi che gli sarebbero estranei, o meno conosciuti, se non addirittura ostili. Dobbiamo farlo e se appare quasi impossibile codificarlo come semplice e nuda ricerca di mercato, non è impossibile a livello personale. L’importante è non averne paura. Prima condizione: sapersi dire la verità.

TAG: Orlando
CAT: diritti umani

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