L’Era della Reazione Globale

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1 Dicembre 2016

Brexit, Trump, referendum costituzionale in Italia, ballottaggio delle presidenziali in Austria. Il 2016 è stato un anno di forti cambiamenti. Se gli ultimi due appuntamenti seguiranno il corso delle rivoluzioni accadute in Gran Bretagna e U.S.A. si potrà ben dire che una nuova era nello scenario politico globale si sta dischiudendo. Quello della Reazione globale. I popoli delle nazioni occidentali – dopo oltre 25 anni di Globalizzazione economica e di trasformazione digitale della vita privata e pubblica – con il voto alle soluzioni politiche più estreme e di rifiuto degli attuali assetti sociali (oggi chiamiamo tutto ciò populismo) hanno deciso di manifestare il loro rigetto a questa cosiddetta “fine della Storia“: dover sottomettersi a dottrine ideologiche come se fossero teorie naturali, alle statistiche indipendenti che hanno descritto come 2 miliardi di persone siano uscite dalla povertà nel resto del pianeta mentre nelle nostre città chiudevano fabbriche, scomparivano posti di lavoro considerati certi e sicuri, si espandeva il concetto di flessibilità nel mondo dell’occupazione fino a raggiungere il parossismo della sharing economy. Alcuni dati sono più eloquenti di molti altri discorsi: nel 1990 le società più capitalizzate a Wall Street erano le industrie dell’auto e del petrolio, che occupavano nei soli U.S.A. milioni di lavoratori. Oggi nel 2016 al loro posto troviamo le compagnie digitali come Apple, Google, Facebook, Microsoft che si o no hanno qualche centinaio di migliaia di collaboratori in tutto il mondo. Liberismo finanziario e rivoluzione tecnologica hanno preso il sopravvento sulle decisioni politiche, producendo un’enorme diseguaglianza della redistribuzione della ricchezza nell’Occidente. La Sinistra globale ha subito tutto ciò, accodandosi al pensiero unico economico dominante. Neanche la Grande Crisi del 2008 ha prodotto un cambio di paradigma, anzi le dottrine dell’austerity si sono inasprite ed hanno aggravato ancora di più la crisi, rendendola almeno in Europa decennale.

Gli U.S.A. sotto l’amministrazione Obama statisticamente sono stati l’unico Paese – insieme alla Germania, campione del rigore – ad affrontare con successo il tonfo del Pil e dell’occupazione. Se oggi ci attenessimo solo ai dati statistici l’America starebbe vivendo uno delle fasi più espansive della propria storia, con una disoccupazione ridotta sotto il 5%, un aumento costante del minimo salariale, una copertura sanitaria estesa a decine di milioni di persone prima sprovviste, una crescita economica che perdura consecutivamente da anni sempre superando il 2% del Pil. Tutto ciò non è bastato. La Clinton sarà pure stata la peggiore candidatura possibile da esprimere da parte dei Democratici, ma Donald Trump ha vinto proprio in quegli Stati – la cosiddetta Rust Belt – che avrebbero dovuto rappresentare la colonna portante del successo economico dell’amministrazione Obama. Questo perché quei presunti successi si sono basati ancora sul paradigma ideologico precedentemente descritto, che il Presidente Obama non è riuscito a capovolgere. Né la legge sulla regolamentazione finanziaria né l’Obamacare – i provvedimenti più evocativi per l’economia USA sotto la presidenza obamiana – sono stati vissuti come rotture con lo status quo imperante, ma solo come pannicelli caldi, per di più maldestramente riusciti. Inoltre alla dittatura economica del liberismo finanziario e globalizzato si è aggiunta in più in questi anni la minaccia terroristica seriale dell’Islam radicaleggiante ed il flusso continuo di un’immigrazione incontrollata, che ha aggravato ancora di più la sensazione di precarietà sicuritaria ed economica delle fasce deboli della popolazione, mentre anche qui le statistiche ufficiali descrivevano come i crimini siano drasticamente ridotti e come l’immigrazione abbia portato solo benefici per il sostentamento del welfare state a cui l’Occidente è abituato.

Bisogna dunque arrendersi a questa nuova fase? Quali possono essere le alternative alla Reazione globale? La Sinistra può realisticamente interpretarle? La strada da perseguire sarebbe comunque dura, perché necessiterebbe di rompere alcuni tabù: uscire dalla gabbia del politicamente corretto, poter riacquistare un linguaggio autentico e comune con quella moltitudine di persone che incredibilmente durante la campagna elettorale Hilary Clinton ha definito deplorables; riconoscere una costituency, una “parte” verso cui rivolgersi, centrale, cioè l’Occidente; quindi basare le proprie azioni sul benessere e la sicurezza di questa parte; geo-politicamente significa costruire ed avere rapporti politico-economici rivolti al libero scambio solo con quei Paesi che accettino e rispettino le istanze e i valori dell’Occidente, ben definiti e riscontrabili negli ordinamenti costituzionali delle democrazie in cui viviamo; le politiche migratorie si baseranno dunque su questi standards (Nazioni e Stati che non riconoscono quei valori non potranno beneficiare di inter-scambi commerciali e politici con l’Occidente, ma anzi dovranno concludere rapporti bilaterali con cui riprendersi gli immigrati arrivati in Europa e nel Nord America provenienti dalle loro terre); al contrario Stati che si rifaranno al modello occidentale (un esempio attuale è quello della Tunisia post-primavere arabe) dovranno essere sostenuti economicamente e politicamente con strumenti veramente incisivi, sulla falsariga del post-bellico Piano Marshall; dunque solo chi si attrezzerà nella difesa dei diritti umani, alle sfide del climate change, alla fine dello sfruttamento delle masse lavorative, al controllo dei capitali e l’abolizione dei paradisi fiscali, potrà essere un partner che beneficerà la condivisione delle ricchezze e delle conoscenze possedute dall’Occidente.

Questo possibile modello alternativo presuppone in definitiva un ritorno del primato della politica, la strategia più percorribile oggi da parte delle forze della sinistra occidentale per tornare ad essere credibili ed autentiche agli occhi della maggioranza degli elettori. Ecco perché anche il Referendum costituzionale in Italia – ed ovviamente il suo successo – diventa un tassello importante di questo possibile nuovo puzzle. La prima mossa per provare ad evitare lo scacco matto e la definitiva ascesa della Reazione globale.

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CAT: Geopolitica, Partiti e politici

Un commento

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  1. evoque 7 anni fa

    Condivido molte delle cose scritte, vorrei però fare un’osservazione sui paradisi fiscali e la loro abolizione, fintamente e ipocritamente, voluta dagli United States of America. Dico fintamente e ipocritamente, perché, mentre pretendono di elimiare quelli della concorrenza, i loro se li tengono ben stretti. I nomi? Nevada, ma soprattutto Delaware, un fortino inespugnabile. Altro che Svizzera!

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