L’ILVA e i vestiti nuovi dell’imperatore

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28 Maggio 2017

La storia della cessione dell’ILVA ricorda tanto la fiaba dei vestiti nuovi dell’imperatore di Andersen, in cui l’imperatore sfila nudo di fronte a una folla di cittadini i quali applaudono e lodano l’eleganza del sovrano. La convenzione viene spezzata da un bimbo che, innocente, grida “l’imperatore è nudo!”.
Nel caso della vendita dell’ILVA sembra di che l’offerta di AMInvestco venga considerata migliore, in quanto offre un prezzo più alto. Tutto sembra adattarsi a questa realtà: i politici vogliono stare sul carro del vincitore, i sindacati hanno paura di prendere una posizione dura, i giornalisti seguono l’onda. Del resto la materia siderurgica è di difficile comprensione e quindi forte è la tentazione di seguire quanto dicono gli esperti.
La partita dell’ILVA la deciderà Renzi, che ha sempre supportato la cordata Acciaitalia con Jindal e Cdp; Gentiloni sembra allineato con lui. Al contrario, il ministro Calenda, entusiasta del bagno di consenso in Confindustria e del sostegno di Letta e Confalonieri, mentre sogna di diventare il Macron italiano, pare invece che appoggi la cordata Arcelor Mittal più Marcegaglia (AM Investco).
Come in una partita a poker, se Renzi capirà che l’imperatore è nudo e andrà a vedere il bluff, vincerà Acciaitalia, e il potenziale rivale politico verrà stroncato sul nascere. Se Renzi seguirà la linea emersa dalle valutazioni dei commissari, vincerà AM Investco.
LA COMPARAZIONE DELLE OFFERTE
Sono tanti i punti che non convincono dell’offerta di AMInvestco.
Due esempi per tutti. Scrive Sara Bennewitz su Repubblica che i commissari forse non hanno considerato rilevante il problema dell’antitrust segnalato dalla Comunità Europea, nonostante il parere contrario di un advisor. E’ estremamente pericoloso ritenere soddisfacenti le rassicurazioni di un offerente, come abbiamo raccontato in precedenza forti dell’esperienza di Piombino, visto che è difficile garantirne l’adempimento. A questo si sommano quattro ulteriori elementi: (i) il rilevante track record delle promesse disattese da Arcelor (basta chiamare in Polonia) (ii) la possibilità che Arcelorsi ritiri a fronte dei rilievi antitrust e che quindi le promesse siano irrilevanti e l’Italia si trovi poi senza alcuna offerta (iii) la vaghezza del piano che consente modifiche sostanziali nel rispetto della forma e (iv) il disallineamento di interesse tra Arcelor e ILVA (se l’ILVA chiudesse non sarebbe necessariamente un male, visto che le prescrizioni dell’AIA, applicate ai suoi altri stabilimenti in Europa sarebbero devastanti).
Secondo esempio. Si comincia a parlare di un rilancio di Acciaitalia, che avrebbe scritto di essere disponibile ad incrementare il prezzo ad un livello che renda la sua offerta competitiva con quella di Arcelor. E’ vero o lo deve ancora fare? Formalmente rileva poco ma sostanzialmente rileva tanto, visto che dopo l’aggiudicazione la disponibilità può tradursi in un incremento reale.
Allora riassumiamo: abbiamo un’offerta certa per l’antitrust (Acciaitalia) e una incerta (AM Investco). I prezzi possono essere in linea. Allora, se l’offerta di AM Investco è migliore, la spiegazione deve stare nel piano industriale e ambientale. Ci sarebbe da aspettarselo, visto che i commissariamenti sono fatti per tutelare le imprese, più che i creditori.

Passiamo dunque a confrontare i piani, per quel poco che sappiamo, raccolto dalle presentazioni, dai giornali e dai commenti degli operatori.
Le considerazioni sono limitate dalla non disponibilità delle informazioni. Ma qualcosa è meglio di niente.

 

IL CONFRONTO DEI PIANI INDUSTRIALI ED AMBIENTALI

Il piano di Jindal/Acciaitalia è preciso in termini di impegni, tra gli impegni presi ed i piani operativi c’è coerenza. Si basa sull’utilizzo del gas in base a tecnologie validate (mostrate nell’utilizzo ai giornalisti nostrani) e sono stati valutati in dettaglio dai consulenti dei commissari i profili di economicità che ne confermano la convenienza.
Sul fronte ambientale ipotizza soluzioni migliori di quelle richieste dalle autorità ed ipotizza di realizzarle prima della scadenza dei termini.
Sul piano produttivo valorizza al massimo la capacità produttiva dell’ILVA e di conseguenza mantiene tutti i dipendenti, perché promette di portare la produzione a 12m di tonnellate (e per ogni 1.000 tonnellate di acciaio liquido prodotto si impiegano all’incirca 1.000 persone). Questo è possibile solo con l’uso del gas, perché altrimenti con il solo carbone ci si scontra con un tetto di volume imposto dal limite alle emissioni.
Per Jindal l’ILVA è l’unica presenza produttiva nel continente e quindi la difenderà da problemi ambientali, oscillazioni del ciclo economico e altri incidenti di percorso.
L’offerta di Mittal/AM Investco prevedeva all’inizio 6 milioni di tonnellate, poi incrementate man mano che Jindal esponeva i suoi programmi, per rendere la propria offerta competitiva.
Di conseguenza il piano di Mittal presenta alcune incongruenze interne (ad esempio gli investimenti per gli altiforni AFO2 e per AFO1, gli investimenti per i forni siviera necessari a realizzare la produzione dei tubi, la logistica necessaria a portare le bramme che si vogliono importare invece che produrre a Taranto).

Il dubbio che è venuto a qualcuno è che i volumi siano stati adattati ma ci si sia dimenticati di adattare le ipotesi produttive per sostenere quei volumi. Ad esempio, la chiusura di una delle acciaierie richiede periodiche manutenzioni del convertitore.
Nei periodi di manutenzione, la capacità si ridurrebbe da 6m a 4m di tonnellate, volume che manderebbe l’impianto in perdita e lascerebbe 2.000 dipendenti a casa. Ove si volesse limitare il problema, si dovrebbe utilizzare maggiormente la capacità produttiva, causando il fenomeno dello slopping, causa delle fumate rosse che sono state tra i problemi ambientali che hanno generato la crisi dell’ILVA. Quindi o occupazione o salute, il problema che il gas doveva risolvere.
Le opzioni nel piano di Mittal non sono chiare e ben delineate, forse in modo da potersi mantenere le mani libere. E quindi mi viene il primo dubbio sulla possibilità di mantenere il piano rispetto alla richiesta dell’antitrust se il piano stesso non è preciso. Le incongruenze esistenti, come quella sopra descritta, possono avere serie ripercussioni sull’occupazione.
Gli impegni ambientali di Mittal vengono mantenuti con la tecnologia del carbone e questo comporta l’utilizzo di tecnologie non consolidate o molto energivore (e quindi meno economichecome le tecniche elettrolitiche per la riduzione del ferro o il plasma).
L’attenzione del piano ambientale è per la riduzione della CO2 e non altrettanto gli altri fattori inquinanti pericolosi e rilevanti dal punto di vista sanitario derivanti dall’uso del carbone. Inoltre il rispetto del tetto di emissioni richiede di limitare i volumi prodotti all’ILVA. Per mostrare numeri più elevati si ipotizza di importare circa 2m di tonnellate di semilavorati. Questo comporta minore occupazione (circa 2.000 unità) e minore redditività dell’impianto. Questi minori 2.000 occupati si sommano ai 2.000 indicati in precedenza. Non mi è chiaro, però, se la produzione di acciaio liquido si dimezza (da 8m a 4m di tonnellate), come facciano i dipendenti a diminuire di sole 4.000 unità (circa il 30%).
Il piano per la redditività si basa anche sui certificati bianchi. Gli impegni ambientali di Mittal vengono completati nel limite temporale massimo proposto e in modo da rispettare la soglia massima delle emissioni. C’è qualche incongruenza rilevante. Ad esempio, la copertura dei parchi minerari: il piano di AM Investco prevede una copertura totale ma successiva di 2 anni dei parchi rispetto al piano di Acciaitalia. Tale copertura è inutile (la copertura serve solo dove ci sono i cumuli), non soddisfa le richieste della procura (che chiede una copertura più rapida e non totale), crea problemi al quartiere Tamburi (alterando il deflusso delle acque meteoriche e della circolazione dell’aria, viste le enormi dimensioni).

Usando il carbone in modo intensivo si rischia l’ennesimo incidente ambientale che comporterebbe uno stop agli impianti. Un’altra crisi ambientale con la magistratura equivarrebbe alla fine dell’ILVA.
Allora se questi sono elementi salienti dei due piani, come si fa a dire che sono equivalenti? Se ci sono elementi ulteriori, positivi dell’offerta di AM Investco, sarebbe utile conoscerli.
La domanda è se Renzi farà come l’imperatore di Andersen o come il principe di Machiavelli.

TAG: ilva
CAT: Grandi imprese

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