La scuola politica del Pd, un modo elegante di lavarsi la coscienza coi ragazzi

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2 Marzo 2016

Dunque, siamo alla scuola di politica. Se l’università berlusconiana morì prematuramente nella culla – disintegrata dagli scompensi olgettini del nostro – il Partito Democratico ha deciso di formalizzare un’idea che nel tempo pareva svanita: formare le nuove classi dirigenti politiche. Di norma, si crea un corso universitario quando la richiesta è palpabile, la spinta dal basso evidente, la necessità impellente. Prima però, facciamo un piccolo ma significativo passo indietro. Entrando nel sito di Unitelma-Sapienza, si nota come il corso di formazione politica organizzato dal Pd, dal titolo «FARE POLITICA: cultura, democrazia e partecipazione», venga definito un “Master di primo livello”, quando è di pochi giorni fa la notizia che Harvard ha messo pesantemente in discussione, abolendolo, proprio il titolo di “Master” con cui venivano chiamati i rettori dei collegi. Una rivoluzione lessicale su base anti-razzista – conoscete bene il politicamente corretto Usa -, dove il termine padrone ormai non è più sopportabile. Ma insomma, non si può pretendere che dalle parti del Pd, figuriamoci alla Sapienza poi, si abbia contezza di quel che si racconta fuori da Roma.

L’esigenza di una scuola, si diceva. È una spinta che arriva davvero dal basso o si tratta di un’autocertificazione estetica necessaria al segretario del Partito Democratico per definire ancora meglio il tratto democratico della sua formazione politica? Ognuno di noi ha un suo recinto di conoscenza e di conoscenze, da cui trarre il succo quotidiano delle proprie riflessioni, e qui non si pretende che quel cerchio sulla sabbia abbia la potenza espressiva di un Ennio Doris col suo bastone, ma insomma qualcosa in tutti questi anni abbiamo pur visto e imparato. Tra le cose imparate, c’è la serena, attenta, capillare, valutazione del tono della politica, del suo livello di decoro, dell’altezza a cui pone l’asticella della dignità, eccetera, eccetera. Allora basterà sfogliare un giornale per capire. Corriere della Sera, oggi: «È iniziata la battaglia dei centri – scrive Francesco Verderami – e a questa sfida Renzi non è estraneo, anzi pare esserne il regista. Perché la manovra gli garantirebbe di sganciarsi da Alfano senza pagar pegno e di avere al proprio fianco una formazione a lui (in)direttamente riconducibile «distinta ma solo un po’ distante da segretario del Pd, per dirla con Verdini». Subito dopo si parla dell’“ipotesi che Scelta Civica e Ala costruiscano un «contenitore politico» in evidente contrapposizione al ministro dell’Interno a cui non vogliono riconoscere la leadership dell’area”. In un momento di felice consapevolezza il Verderami medesimo considera che «per quanto l’alleanza Zanetti-Verdini non sembri suscitare oggi grande interesse nel Paese (ma va’, ndr), potrebbe avere invece forte impatto nel Palazzo…»

Ecco, per molte pagine i giornali sono fatti esattamente  di questo nulla che è purtroppo la politica italiana. E sarebbe straordinario se Matteo Renzi, in una memorabile battaglia per l’egemonia culturale del Paese, si ponesse di traverso a questa malinconica e irreversibile deriva che ha per protagonisti non proprio dei pesi massimi, per raccontare alle nuove generazioni che un’altra via c’è, e che lui stesso si farà portabandiera di quella rivoluzione che tutti i ragazzi aspettano con la passione che conosciamo. Peccato che, come racconta il cronista del Corriere della Sera, Matteo Renzi “pare essere il regista” di queste operazioni al ribasso.

Ecco dunque che s’avanza un sospetto nient’affatto tranquillizzante. Il sospetto che attraverso i ragazzi, che per definizione sono l’anima buona del Paese, il segretario-premier voglia lavarsi una coscienza non esattamente limpida, per cui creare un doppio registro pubblico-privato che servirà per ammantare di buono (con la scuola politica) ciò che la stessa politica ha reso assai poco commestibile, se non immangiabile. Anche perché, e qui soccorrono le conoscenze personali, tutta questa massa di ragazzi che spinge alle porte della politica per abbeverarsi a fonte purissima non si vede o, se c’è, sa debitamente mascherare questa passione insopprimibile.

Certo, sarebbe straordinario raccontare le cose come vanno, come stanno, in un corso universitario di formazione politica a guida Partito Democratico. Chiamare professori bravi, traduttori simultanei di una società in perenne evoluzione, che solo quando si chiude nei Palazzi diventa un ossario da esporre a turisti incuriositi.

TAG: Matteo Renzi, Pd, scuola di formazione politica
CAT: Partiti e politici

7 Commenti

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  1. lorenzo.grande 8 anni fa

    Per l’autore: ma che senso ha paragonare il titolo accademico di “Master” (abbreviazione di “Master’s degree”, “Master of Science”, “Master of Arts”…) con quello di “House Master” di Harvard, che invece indica la funzione del decano di facoltà?

    Non si è abolito infatti il nome di un titolo di studio tuttora in uso in tutto il mondo, di cui ha contezza chiunque abbia fatto un giro fuori dal circuito giornalistico italiano, ma si è rimpiazzato un termine arcaico peraltro ancora in uso a Cambridge come a Oxford (anche loro troppo provinciali?) con uno standard universalmente accettato nella comunità accademica.

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    1. michele.fusco 8 anni fa

      Harvard pone un problema lessicale che è sostanziale. E la radice etimologica è la medesima, che si tratti di un corso o si tratti di un decano di facoltà. Anche ad Harvard il termine è rimasto inalterato per quanto riguarda i corsi, vedremo se in futuro ci saranno evoluzioni. Quanto ai giri che ha fatto il sottoscritto la inviterei a essere più prudente. Buoni giorni, mf

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      1. lorenzo.grande 8 anni fa

        vorrà dire che d’ora in poi farò acquisti online politically correct con la mia FacultyDeanCard, la radice etimologica è la medesima.

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  2. dario-maggi 8 anni fa

    Per commentare “questo nulla che è la politica italiana” l’autore discute un termine del titolo del corso (in maniera discutibile, vedi l’altro commento) e poi un articolo di giornale basato su impressioni quanto mai vaghe (“pare”, appunto, pare). Non una parola sui contenuti, sui docenti, sugli utenti. “S’avanza un sospetto”, appunto. Diciamo pure che questo articolo ben rappresenta il nulla che pretende di criticare.

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    1. michele.fusco 8 anni fa

      Ma cosa vuole che parli di docenti, di utenti (?), sono vent’anni che racconto la politica sui giornali, che lavoro su questo tema, che ho dedicato la vita allo studio della politica. E lei vuole che io parli di docenti, ma si rende conto, ma quali docenti? E poi, vada pure a scorrere i nomi nella paginetta dell’università, non ci sono docenti, c’è del bel funzionariato di partito che dovrebbe spiegare la politica ai giovani. E se l’articolo del giornale contiene espressioni assai vaghe, come lei le definisce, questa è la dimostrazione plastica di ciò che volevo dire. Tutti i pezzi politici dei giornali sono così vaghi, caro signore. Ma non mi faccia perdere tempo, per favore…

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      1. dario-maggi 8 anni fa

        Che lei non avesse molto tempo da dedicare all’argomento lo si capiva già dal suo articolo.

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  3. c-carmelo48 8 anni fa

    Ciao Michele.
    Poche righe, per esprimere parere.
    Sono contento di questa iniziativa che mira a dare professionalità a chi desidera occuparsi attivamente di politica.
    Non dovrebbe occuparsene solo il Pd.
    È un’attività delicatissima e l’esame conclusivo del corso lo dedicherei al concetto di Interesse Collettivo.
    Francamente, manderei a scuola anche gli elettori e li ammetterei al voto a maturità sociale acquisita; un vecchio adagio comincia con vulgus volt decipere: mi piacerebbe sfatarlo.
    Carmelo Catalano.

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