Come avrei riaperto le scuole

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30 Agosto 2020

(diario immaginario di una mamma)

Bergamo, 15 ottobre 2020

E’ fatta: il primo mese di scuola è “andato”.

Organizzare la frequenza scolastica di quattro figli è impegnativo già in tempi normali; oggi, nell’era del Covid, sembrava una sfida insuperabile… ma, con qualche sacrificio, ce la siamo cavata.

Giovanni, il più piccolo, va alla scuola dell’infanzia. Il suo gruppo classe, di dieci bambini, fa lezione nella palestra della Circoscrizione, che le maestre hanno addobbato per renderla accogliente; ogni mattina lo accompagno per le nove e dieci (gli ingressi dei gruppi sono scaglionati) insieme al suo compagno Andrea, che abita vicino a noi. La mamma di Andrea, che ha potuto optare per il part time domestico (cioè lavora in ufficio per metà tempo e da casa per l’altra metà) porta suo figlio a casa mia alle otto, prima di andare al lavoro; all’una e mezza invece riaccompagna lei a casa tutti e due i bambini. In questo modo non ha bisogno di ricorrere ai suoi anziani genitori, che vanno tutelati dal rischio di ammalarsi. Sono pochi i bambini che si fermano fino al pomeriggio: le scuole hanno chiesto ai genitori che riescono a organizzarsi di scegliere la frequenza solo al mattino, perché la mensa è un momento ad alto rischio di contagio e noi abbiamo deciso che era giusto assecondare questa richiesta. Qualche volta, Andrea viene da noi a giocare con Giovanni: ormai le nostre famiglie sono, come si dice, un piccolo cluster di contatti più stretti, che in caso di allarme covid per un singolo membro andranno tutti controllati… ma è un rischio che accettiamo volentieri, per il benessere dei nostri figli.

Francesco, il fratello più grande, frequenta la primaria, un po’ più lontano da casa; per fortuna può andarci con il piedibus organizzato dal Comune… lo zaino è leggero, perchè quest’anno i libri rimangono a casa, mentre in classe si utilizzano le loro versioni digitali sui tablet assegnati dalla scuola. Anche lui torna a casa per l’ora di pranzo, mentre nel pomeriggio è impegnato con la DaD (didattica a distanza) tenuta dai docenti “fragili” (anziani o con problemi di salute), tranne una volta la settimana, quando torna a scuola per l’attività motoria all’aperto. La DaD è disponibile anche per gli alunni costretti a casa in quarantena, in modo da mantenerli il più possibile al passo col resto della classe (la quarantena dura due settimane a partire dall’esordio dei sintomi o dal primo tampone positivo; in seguito si può tornare in classe, ma con l’obbligo di indossare la mascherina per un’altra settimana). Mio figlio è molto dispiaciuto di non poter più giocare coi suoi compagni dopo la mensa (il tempo pieno è riservato ai bambini delle classi prime o delle famiglie più in difficoltà), ma apprezza molto il pomeriggio di sport, perchè è tenuto da un ragazzo molto bravo (credo sia un tirocinante di Scienze Motorie).

Giacomo va in seconda media (io la chiamo ancora così): ci va a piedi, insieme al suo amico Luca, con uno zaino leggero grazie ai libri in formato digitale… è stato deluso di ritrovarsi in una classe più piccola, di soli dodici studenti (i professori si sono sforzati di non recidere i legami di amicizia, ma purtroppo qualche amico è finito in un gruppo diverso); anche i nuovi  docenti e l’ambiente un po’ freddo delle aule della parrocchia al momento lo hanno disorientato, ma spero che, col tempo, si abituerà. Anche per lui ci saranno i corsi pomeridiani di attività sportiva all’aperto (meteo permettendo): meno male, perchè le piscine sono state nuovamente chiuse e così ha dovuto rinunciare al nuoto, almeno per un po’.  Una sua compagna è già finita in quarantena, perché contagiata: così, la classe è passata alla DaD per alcuni giorni, giusto il tempo di avere l’esito dei tamponi e verificare che il virus non si era diffuso – evidentemente i banchi distanziati, le finestre aperte spesso e il gel disinfettante per le mani funzionano!

Simone è al liceo e per lui le cose sono un po’ più complicate. La scuola ha optato per una modalità mista: la classe è stata divisa in due gruppi, di cui uno frequenta in aula e l’altro a distanza, alternandosi ogni settimana (solo le classi prime, formate da quindici ragazzi al massimo, frequentano esclusivamente “in presenza“). In questo modo si è ridotto il numero di studenti che prendono i mezzi pubblici e che entrano ogni giorno nell’istituto, ma i docenti hanno visto raddoppiare le proprie ore (ogni lezione va tenuta due volte, per il gruppo in aula e per quello a casa), per cui è stato necessario sostituirne alcuni. Mio figlio preferisce andare a scuola in bici, anche perchè il Comune ha realizzato dei percorsi sicuri istituendo la “ciclabilizzazione a tempo” delle principali vie di accesso alle scuole che sono prive di una vera pista ciclabile: in pratica, dalle 8:30 alle 9:30 (ora in cui terminano gli ingressi scaglionati) e dalle 13:30 alle 14:30 queste strade sono chiuse alle auto e riservate a bici, risciò e monopattini (e, a quanto pare, qualcuno inizia a proporre di estendere questa iniziativa all’orario di accesso agli uffici del centro…)

In tutto ciò sono fortunata perchè, come casalinga, posso far fronte al minor tempo passato a scuola dai miei figli; ma ho l’impressione che anche le altre famiglie non se la cavino malissimo, grazie al part time e/o al telelavoro garantiti, ai permessi per la quarantena e anche ai servizi di catering a domicilio organizzati dalle mense scolastiche, dai bar e dai ristoranti, con il sostegno del Comune. Dopo le prime settimane la situazione sanitaria sembra abbastanza buona e, se le cose continuano così, potremmo avere un anno scolastico relativamente “normale” – nella speranza che, a primavera, arrivi il benedetto vaccino a “liberarci dall’incubo”…

Sono orgogliosa della resilienza dimostrata dal nostro sistema scolastico… e anche da noi famiglie! Certo, questa scuola inusuale lascerà una traccia nella vita dei nostri figli: ma non è detto che sia solo qualcosa di negativo. In fondo, l’emergenza covid ha insegnato loro che, con spirito di adattamento e creatività, le difficoltà si possono superare: una lezione preziosa, che servirà loro nel corso di tutta la vita.

(Foto di Gerd Altmann da Pixabay)

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CAT: scuola

2 Commenti

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  1. andrea-lenzi 4 anni fa

    Leggo “aule della parrocchia” e rabbrividisco io…
    Non è giusto, né sano, per loro e per la società civile, sottoporre i bimbi/ragazzi alla propaganda cattolica, perché poi inevitabilmente diverranno cattodementi avallando (o comunque non impedendo) leggi pessime come quelle che ancor oggi impediscono a 2 cittadini di sposarsi se dellos tesso sesso, o che impediscono l’euatanasia di chi vuo morire con dignità.

    Chiarito questo, occorre sempre ricordare che se la scuola pubblica non ha soldi è perché lo stato usa il suo budget per finanziare la privata; questa stortura nacque per favorire le scuole cattoliche e continua ancora oggi, insieme all’incivile introduzione di “professori” d religione nelle scuole, ancora una chiara propaganda cattolica, addirittura a spese dello stato

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  2. silvia-bianchi 4 anni fa

    Le “aule della parrocchia” vanno intese semplicemente come luogo fisico in cui svolgere le lezioni (come la “palestra della Circoscrizione”), visto che le classi dovrebbero essere di 12-15 alunni al massimo, quindi più numerose

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