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Musica

La polemica su Junior Cally e la difficoltà di trovare un limite

di Luigi Daniele
21 Gennaio 2020

La partecipazione a Sanremo di Junior Cally, rapper provocatorio nelle sue esibizioni e sessista e violento nei suoi testi (o quantomeno in alcuni), ha subito acceso una serie di polemiche che in quale modo sanno già di festival. Tra chi difende la libertà artistica (pochi) e chi invece rivendica la possibilità di censurare i prodotti artistici quando questi possono farsi promotori di comportamenti lesivi della dignità altrui (molti), la discussione è stata subito polarizzata, e in generale è diventata una discussione generale sulla censura. Io, come credo molti altri, ero ignaro dell’esistenza di Junior Cally prima dello scatenarsi della polemica, e questo la dice lunga su quanto il caso abbia assunto subito prospettive più generali.

Dato che però parliamo di Sanremo, io credo sia utile rimettere la discussione sui binari della libertà artistica, e delle scelte che la riguardano, che sono in un certo modo sempre anche scelte politiche ma che non possono ridursi, appunto, al piano prettamente politico. Se in quest’ultimo è molto chiara (almeno per me) la necessità di combattere e limitare i comportamenti sessisti e violenti, sul fronte artistico la faccenda è più fumosa, e in generale rimanda alla difficoltà di capire quando più che un comportamento si sta punendo un’opinione (per quanto disgustosa possa essere) e se già sia legittimo.

Il punto è questo: dov’è il limite? Come lo si calcola? Non mi piace un Paese dove si usa “cagna” per offendere una donna, ma non mi piacerebbe nemmeno un Paese dove una qualche autorità sia preposta a dire oltre certi limiti cosa si può scrivere, cantare, e in ultima istanza comunicare. Ho quindi un dubbio: esattamente, qual è il punto oltre il quale si entra nella pura e semplice censura? Siamo sicuri che non si possa partire dalla legittima difesa dal sessismo e finire con l’inquisizione spagnola?

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