Lavoro

I referendum che parlano di noi

Cinque referendum. Nessuno sa che esistono. Forse perché non esiste più il “noi”.

20 Maggio 2025

Esiste ancora un “noi”? O ci siamo persi nella solitudine della prestazione? C’è stato un tempo in cui la parola “popolo” aveva un suono diverso. Meno retorica, più terra. Meno etica, più calli sulle mani. Eravamo intrecciati. Non uguali. Ma intrecciati.

Oggi ci chiedono di votare. Su licenziamenti senza giusta causa, contratti a termine infiniti, appalti che non rispondono a nessuno, sicurezza che non garantisce. Ma la vera domanda non è scritta da nessuna parte. La vera domanda è: chi siamo diventati?

Sotto ogni quesito, sotto ogni norma da abrogare o da difendere, si nasconde qualcos’altro. Una frattura più antica. Il disfacimento di un “noi” che non sappiamo più nemmeno pronunciare.

Non siamo più comunità. Siamo persone che si sfiorano senza riconoscersi. Ognuno chino sulla propria prestazione. Il collega è un concorrente. Il vicino un potenziale ostacolo. La parola “solidarietà” suona come un residuo archeologico. C’è, ma non si usa più.

La cultura della performance ha vinto. Ci ha convinti che essere umani è un limite. Che si può sbagliare solo in privato. Che essere vulnerabili è un difetto da correggere.

E allora anche il referendum diventa un atto isolato. Una firma, non una voce. Un click mentale. Non un gesto che nasce da una memoria comune. Ci sarà pure un’urna, ma manca la collettività che le dà senso.

Forse proprio per questo votare ha ancora una possibilità. Non per cambiare una legge. Ma per affacciarsi, anche solo per un secondo, su una domanda più profonda: la mia vita è solo mia?

I quesiti parlano di lavoro, ma il lavoro non è solo un contratto. È un nome proprio. È il luogo in cui si tiene insieme dignità e fatica. Dove si misura il tempo. Dove si perde, a volte, la salute. Dove si rimane soli. O si resiste.

Licenziare non è mai solo un atto tecnico. È una parola che taglia. Una sottrazione. Un colpo che non riguarda mai solo chi lo riceve.

Eppure, nessuno ne parla. Nessuno sa dei referendum. Nei bar. Nei bus. Nelle fabbriche. Nessuno. Silenzio.

La politica ha disimparato il “noi”. Si è persa nei sondaggi, nei meme, nelle curve emotive. Ha smesso di generare pensiero, ha iniziato a inseguire attenzione.

I referendum non risolvono. Ma almeno interrogano. Dicono che non siamo solo utenti, clienti, numeri su una piattaforma.

Siamo storie. Siamo giorni. Siamo domande che non smettono di chiederci chi siamo.

Il “noi” non è un’eredità. È un vuoto. E forse un’urgenza.

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