Voci da una Genova sfregiata ma che non molla

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25 Agosto 2018

Ma Genova non si arrende. Come il Friuli del 1976, che dopo la tragedia del terremoto riuscì a risorgere (e a diventare la regione altamente innovativa che è oggi), così la Genova sfregiata dal crollo del ponte Morandi, colpita dall’immane sciagura dei 43 morti, è una città resiliente, forte, tenace. Che non ha alcuna voglia di mollare. Sa di potercela fare.

Meno di un anno fa proprio Gli Stati Generali raccontavano la Genova dell’innovazione, cosmopolita e dinamica: la Genova dell’Università; dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) con i suoi 552 brevetti e 211 invenzioni in portfolio; la Genova delle tante startup, del porto rilanciato, del turismo.

E del resto, la storia di Genova è una storia di grande resilienza. Se un marziano atterrasse qui, in questa città vastissima compressa tra i monti e il mar Ligure, potrebbe mai pensare che è stata Genova a creare uno dei primi imperi d’oltremare della storia europea, a inventare il capitalismo finanziario internazionale, a sostenere con le sue risorse l’unificazione italiana, e a contribuire in modo importante al boom industriale del ‘900, alla Resistenza (Genova è medaglia d’oro al valor militare: 1863 caduti e 2250 deportati)?

Una città che tante volte è stata messa a dura prova, ricorda il professor Giovanni Assereto, fino a due anni fa ordinario di storia moderna all’Università di Genova. «Si pensi a quando, nel 1684, il Re Sole Luigi XIV bombardò la città. Ma Genova riuscì a tirarsi su in pochissimo tempo. Se poi facciamo un salto in avanti pensiamo a cosa accadde, in maniera più grave, con la Seconda Guerra Mondiale, quando Genova fu in buona misura distrutta, incluse infrastrutture come il porto. Anche allora la città seppe rialzarsi molto bene. Più di recente, qui si sono verificate le alluvioni, a cui la città ha saputo rispondere con forza».

Genova, nota da parte sua Nicoletta Buratti, professore associato di marketing e management dell’innovazione all’Università di Genova, «è una città ricca di risorse intangibili, e dispone di un capitale culturale, intellettuale e morale che le permette di affrontare eventi così tragici, come dimostra anche la sua storia recente (alluvioni, crollo della torre dei piloti nel 2013 e via discorrendo). Genova è una città resiliente, nella quale le persone, magari con il mugugno ma con estremo impegno e generosità, sanno fronteggiare situazioni di elevata difficoltà».

Bisogna credere in Genova. «Dopo la grande crisi industriale, che sembrava destinarla a un declino molto rapido, questa città ha saputo reinventarsi davvero bene – dice Assereto –. Pensi a cos’è oggi Genova dal punto di vista turistico, una città straordinariamente viva e attrattiva: cinquant’anni fa nel settore turistico quasi non esisteva». Certo, Genova è anche una città “grigia”: nel senso che è la città europea con il maggior numero di residenti over65 (il 28% della popolazione).

«La città è vecchia, e come sappiamo l’energia è qualcosa che hanno i più giovani, mentre gli anziani ce l’hanno più che altro a parole. Ed essendo Genova vecchia è anche una città che, a mio avviso, ormai forse preferisce più protestare; o meglio, mugugnare, come si dice qui – sottolinea lo storico –. Genova è una città in cui da anni una parte della popolazione ha fatto della politica del NO la sua scelta primaria. NO alla famosa Gronda, cioè al passante autostradale, NO al terzo valico ferroviario, NO a questo e a quello. E io penso che questo predominio del NO sia collegato all’invecchiamento della città».

G. ha passato i settant’anni, è ligure, ingegnere civile in pensione. Non vuole parlare con i giornali, ma alla fine cede. Ricorda il dinamismo della Genova del dopoguerra, «quando era una capitale economica, una città all’avanguardia pure nelle costruzioni. Ma la città invecchia, le infrastrutture pure. Chi cerca di fare dell’ingegner Morandi un capro espiatorio sbaglia. Lui era un genio. Quando hanno costruito il ponte si trattava di una soluzione molto innovativa per l’epoca. E si sapeva che era una struttura delicata, bisognosa di un costante monitoraggio. I colpevoli sono altri… Io sono furibondo, indignato, non si può morire in questo modo nel 2018. Ma so anche che si deve restare lucidi. Non soltanto Genova, ma tutta la Liguria, tutta l’Italia vanno messe in sicurezza».

E nella vecchia Genova ci sono giovani forze già al lavoro per far rinascere la speranza dopo la tragedia. Come quelle che qui hanno dato vita a uno dei più interessanti ecosistemi dell’innovazione d’Italia. «Di fronte a simili eventi emergono bisogni che richiedono risposte articolate e innovative – dice Buratti –. Gli attori dell’ecosistema genovese dell’innovazione possono fornire un contributo importante, sia mettendo a disposizione le loro conoscenze e competenze specialistiche (come ad esempio ha fatto l’Università di Genova, costituendo un gruppo di lavoro interdisciplinare nel quale convergono competenze di tipo logistico, infrastrutturale ed ambientale), sia fornendo contributi diretti ed operativi alla soluzione dei problemi».

L’incubatore di startup sportive Wylab, ad esempio, situato a Chiavari, nell’area metropolitana di Genova, ha lanciato una sottoscrizione a favore di tutte le persone danneggiate dal crollo del Ponte Morandi. «Si tratta di una raccolta fondi per gli sfollati e per le famiglie delle vittime, che naturalmente stanno attraversando un momento di enorme sofferenza – spiega l’amministratrice delegata di Wylab, Vittoria Gozzi –. Devo dire che siamo molto contenti della risposta. Abbiamo avviato la raccolta fondi venerdì 17 agosto, sinora abbiamo raccolto circa 3800 euro, e la terremo aperta fino alla fine della settimana».

Continua Gozzi: «È una tragedia che colpisce in primis Genova, ma anche tutto il territorio ligure. L’interruzione del collegamento rappresentato da ponte Morandi è un problema per i genovesi, e per tutti coloro che vivono in Liguria. Perché questa regione è una terra molto difficile, stretta fra il mare e le montagne, e c’è poco spazio, le infrastrutture sono sempre state un po’ sacrificate e si inerpicano sulle montagne. Il ponte Morandi era una congiunzione iper-strategica che collegava non solo la zona est e la zona ovest della città, ma il Levante e il Ponente dell’intera Liguria. Ad esempio per noi, che siamo a Levante, raggiungere il porto, l’aeroporto e tutta la Liguria di Ponente è diventato molto difficoltoso, e lo stesso vale per gli abitanti di Ponente».

Ponte Morandi era «il collegamento che teneva la Liguria unita, oggi è tutto più difficile – continua –. E poi, ovviamente, la tragedia accaduta ci tocca molto dal punto di vista emotivo, perché tutti noi passavamo sul ponte molte volte alla settimana… ci si sente colpiti nel profondo».

Gozzi si sforza di essere ottimista. «Penso che non possa essere altrimenti. In questi momenti di difficoltà vedo una comunità che si stringe, e che rinasce dai problemi e dal dolore. Senz’altro Genova sa reagire. È una città che purtroppo è soggetta a molte disgrazie, però le disgrazie ti temprano. Reagiremo a questa sciagura come abbiamo sempre reagito ai problemi in passato, non ho dubbi».

 

 

Immagine in copertina: Pixabay

TAG: crollo, futuro, genova, innovazione, italia, Ponte morandi, Speranza
CAT: Genova, infrastrutture e grandi opere

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