Bonavera e “Arlecchin dell’onda”, l’amara fiaba della realtà
E Arlecchino finì in acqua. Quella salata del Mediterraneo, posto privilegiato di incontri tra culture e genti. Continente a sé, da esplorare e conoscere percorrendone in lungo e in largo la distesa come spazio di avventura, ma anche filosofico, per intendere la vita riflettendo su difficoltà e ingiustizie. A bordo di veloci velieri o smandruppati pescherecci incrociando i propri destini con quelli altrui, testimone di eventi grandi e minuscoli condivisi nel continuo fluire del tempo. Ed è un viaggio più simile a una baraonda, come la corsa frenetica e senza meta di un fuscello sospinto da un forte vento di maestrale questo “Arlecchin dell’onda” di e con Enrico Bonavera, teatrante erede di quella nobile tradizione che da Tristano Martinelli ad Antonio Sacco continua, secoli dopo, con Marcello Moretti e Ferruccio Soleri, quest’ultimo indimenticabile “Arlecchin servo di due padroni” con la regia di Giorgio Strehler e di cui Bonavera è l’“allievo di bottega” che ricevette nel maggio di due anni fa il testimone di Arlecchino ufficiale del Piccolo di Milano. Una responsabilità che poggia sulle spalle robuste di un artista capace di sostenere tale illustre fardello in giro per il mondo (l’”Arlecchino” strehleriano viaggia sull’incredibile record di tremila repliche). Lo fa con misurata classe e talento, frutto anche di un lungo lavoro in cui ha incrociato le radici antiche della Commedia dell’arte con la ricerca contemporanea.
Classe e talento, gli stessi appunto che si apprezzano in questo lieve spettacolo, eppur denso di emozioni, voluto all’interno della originale rassegna “Teatridimare” di Cajka teatro che veleggia da venti anni con un proprio vascello nel Mare Nostrum: sbarcando a terra ogni estate con un nuovo spettacolo. Arte nuda e senza effetti speciali, quinte e sipari come è capitato qualche sera fa, dopo lungo girovagar da Genova all’isola di Sardegna, nella incantevole rada di Nora, antica città dei sardi e poi romana, ospite nell’area archeologica del cartellone de “La Notte dei Poeti”, rassegna ultratrentennale del Cedac (ha in programma anche Massimiliano Civica e i Sacchi di Sabbia nel collaudato “Dialoghi degli dei”, Lella Costa con l’omaggio a Franca Valeri, Donatella Finocchiaro con un “giallo” di Camilleri, Maurizio Rippa in “Piccoli Funerali”, Isabella Ragonese in “Spiagge”, Francesco Montanari con un “Processo a Shylock”). Arte nuda ma di raffinata sapienza che, come ispirazione prende paradossalmente l’opera fiabesca di Carlo Gozzi, costruendo un universo dove lo spazio, il tempo e il luogo si annullano per diventare sì spazi di fantasia _ dove le varie maschere della Commedia prendono vita tragica e giocosa _ ma anche indicatori allusivi di nostra contemporaneità. Personaggi vivi tra il magico e il reale in grado di parlare ai cuori quando si tratta di un amore o alla coscienza se riguarda esplicitamente di traffici e (nuove) schiavitù.
Bonavera ha costruito un semplice ma perfetto gioco di incastri. Matrioske che scompaiono una dentro l’altra, personaggio dentro personaggio. Bastano pochi secondi e da un baule ai lati dalla scena saltano fuori maschere e strumenti di scena. Arlecchino si trasforma in Pantalone e Matamoros fino a tornare di nuovo Arlecchino. A bordo della barca sale anche Carolina (l’attrice Barbara Usai che interpreta in modo puntuale il suo ruolo accanto al maestro genovese) alla ricerca del suo perduto Pulcinella. Due amanti costretti a migrare e legati alla fine da un destino crudele. “Arlecchin dell’onda” è un campionario ben rappresentato di tecniche teatrali dentro un superbo contenitore di nuovi lazzi e giochi di Commedia, fatti giusto per incantare e sedurre. C’è naturalmente, come vuole la Commedia, un canovaccio. Un esile filo narrativo si dipana dalla montagna fino ad arrivare al mare. Lo Zanni Arlecchino abbandona come tanti per fame le valli della sua Bergamo, per giungere al porto di Genova in cerca di lavoro e soprattutto qualcosa da mangiare.
A bordo dell’”Alga guizzante” prende vita un turbillon di personaggi, lazzi e storie. E’ un continuo girar di maschere e personaggi: a tratti nascondono e rivelano la dura realtà che si nasconde dietro il riso e una battuta. Gente che dà la vita per un tozzo di pane aggrappato ai remi di infami galere. E quelli che invece ingrassano sulle spalle degli onesti con luridi commerci fatti di schiavitù e pirateria. Le maschere si perdono e si confondono con volti della realtà lasciando spazi a deliziose oasi di teatralità, momenti in cui Bonavera mostra come un virtuoso l’arte dell’essere e non essere. Come quella legata agli abitanti del mare, i pesci, che Carolina evoca volta per volta scrivendo in una tavoletta i nomi. Il teatrante acquista così lo sguardo stralunato e mezzo sorpreso di un tonno o le movenze sinuose di una sirena o quelle danzerine e avvolgenti di un polpo degli abissi. “Arlecchin sull’onda” veleggia così tra fiaba e realtà, antica commedia e scena contemporanea, consegnandoci uno sguardo sull’oggi che anche nell’epilogo triste dei due innamorati mantiene fino in fondo lucida visione del nostro tempo accanto all’arte di una Commedia antica. Le maschere usate da Enrico Bonavera in scena sono di Sarah Sartori, collaborazione alla regia di Cristian Zecca. La direzione artistica è di Francesco Origo.
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