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Letteratura

Com’è nato il termine “radical chic”?

di Filippo Cusumano
21 Aprile 2022

Trovo in una bancarella di libri usati un libro di qualche decennio fa, Gente bene e tutti gli altri, di Tom Wolfe.
Non avevo mai letto niente di Tom Wolfe, se non il suo romanzo Il falò delle vanità.
Ma so che a lui si deve l’invenzione del termine radical chic.
Quel termine viene ispirato allo scrittore nel 1970 quando partecipa ad un ricevimento organizzato dal celebre compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein e da sua moglie Felicia Montealegre.
Il ricevimento, al quale sono state invitati molti vip ed artisti  ha l’obiettivo di raccogliere fondi a favore del gruppo rivoluzionario marxista-leninista Pantere Nere (alcuni membri delle Pantere Nere sono pure invitati al ricevimento).
Il party si tiene a casa di Bernstein, un attico di tredici camere su Park Avenue a Manhattan. Tom Wolfe scrive un ampio resoconto della serata, che appare sulla rivista New York Magazine qualche mese dopo il ricevimento.
L’articolo ha come immagine di copertina la fotografia di tre donne bianche, vestite in abiti da sera, che salutano col caratteristico braccio alzato e pugno chiuso con guanto nero, che costituisce il gesto di protesta delle Pantere Nere
Cos’è un radical chic secondo Wolfe?
Qualcuno che si sforza di dare di sé un’immagine sostanzialmente diversa dalla sua vera natura e collocazione sociale.
E perché lo fa?
Per distinguersi.
Egualitarista a parole, ma elitario nei comportamenti, desidera essere percepito come diverso da tutti gli altri, nei confronti dei quali, prova, al di là dei suoi dichiarati, insofferenza e irritazione, accompagnate spesso da giudizi sprezzanti.
Per la gente bene di cui parla il libro tutti gli altri sono quasi sempre barbari privi di gusto e di cultura.
C’è un capitolo, che si intitola “Liberate la liberazione”, che descrive una ragazza che va, insieme a molti altri, in un hotel, l’Ambassador di Los Angeles, per partecipare ad una riunione terapeutica di massa con una specie di guru.
L’istruttore raccomanda a tutti i presenti di pensare all’unica cosa che desiderano maggiormente eliminare dalla propria vita.
La protagonista del racconto, a quel punto, nell’euforia del momento, si lascia andare alla più terribile della confessioni e, quando giunge il suo momento urla nel microfono con tutto il fiato che ha in gola: “Emorroidi!”
Veniamo quindi a sapere che la ragazza ha un lavoro importante nel campo della distribuzione cinematografica, che è talmente bella e seducente che, ogni volta che entra in ufficio, tutti, uomini e donne, non possono fare a meno di squadrarla.
La ragazza è consapevole del suo carisma sessuale e ne è compiaciuta e gratificata.
Purtroppo c’è quell’angoscioso problema.
“I sintomi cominciavano sempre con la sensazione di avere un’arachide stretta nello sfintere anale.”
L’ospite indesiderato – l’arachide – si presenta continuamente, anche nei momenti meno opportuni.
Ad esempio quando la ragazza incontra un uomo che le piace e si rende conto di aver fatto a sua volta colpo su di lui.
“Proprio in quell’istante sublime, così, all’improvviso, quella maledetta arachide le usciva di colpo dalla coda!Mentre sorrideva, sublimata della propria conquista, era però costretta a sedere di sghimbescio, con una natica più alta dell’altra, perché le faceva male stare seduta normalmente sull’arachide. Se, per un motivo qualsiasi doveva alzarsi, doveva camminare come se avesse le giunture dell’anca arruginite, perché un’andatura normale premeva sull’arachide, e il dolore cominciava e molto probabilmente anche una piccola emorragia.
A quel punto cominciava a lavorare a doppio binario, come se il suo cervello fosse dotato di due canali, in grado di funzionare contemporaneamente : in uno era la principessa sessuale in grado di obnubilare la mente degli uomini, nell’altro una povera disgraziata che, più di ogni altra cosa al mondo, desiderava uscire nel corridoio per recarsi alla toletta e prendere dei Kleenex e della Vaselina e ricacciare con un dito l’arachide nell’intestino”
P.S. Mi rendo conto che la materia non è accattivante.
Diciamola tutta: è anche un po’ repulsiva.
Ma non è una metafora geniale questa delle emorroidi per mettere a fuoco il tema evergreen del conflitto tra essere e apparire, del quale per tutta la sua vita si è occupato Tom Wolfe?

 

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