Partiti e politici
“Poppizzare” Renzi è un’inutile cattiveria, stimola gli istinti peggiori
Era già tutto compreso in quella visita di sette anni fa al «villone» di Arcore , come i maligni definivano la magione del premier, quando il sindaco rottamatore di Firenze ne varcò i confini con l’obiettivo molto consapevole di raccontare poi al bar del paese “la giornata più bella della mia vita”. Arrampicandosi un po’, nei giorni che seguirono all’incontro, il bravo Matteo tentò di offrirne persino una ricoloritura politica – la ricerca di fondi per la sua città adorata – ma fu per tutti evidente che quel sogno irrealizzabile, il nobilissimo sbarco (o il suo anagramma sbraco) in quel mausoleo di Potere e di ricchezza che il Cav. aveva ricreato a sua immagine e somiglianza, era finalmente divenuto realtà. Del resto, chi di noi – nel ventennio in questione e ben prima del bunga-bunga – non aveva sognato una gitarella brianzola ad uso di Canaletto, chi non ne sognava a occhi aperti e con tutte le sue forze la convocazione, – fosse per via del Milan o per la politica poco importava – solo per vedere come caspita viveva l’uomo più eccezionale di quell’epoca? (Chi scrive, da autentico privilegiato, ne ebbe plurime occasioni sia per il calcio sia per la politica, tutte le volte divertendosi moltissimo).
Per dire che «poppizzare» Renzi, come adesso si tenterebbe per renderlo un po’ più accessibile al popolino, è operazione impossibile essendo già il nostro sincero paesano e dunque al massimo della sua espressione pop per definizione sociale e geografica. Egli non è, purtroppo, Chance il giardiniere, che per metafore naturalistiche scala il potere che ne rimane affascinato, quanto più concretamente il provinciale a New York che si aggira stordito tra i grattacieli. L’operazione pop, semmai, la si immagina generalmente su persone più bloccate, meno ciarliere, grigi un po’ dentro ma moltissimo fuori, insomma quel mix di buoni studi, severità e depressione complessiva che il nostro Mario Monti incarnò impeccabilmente sino a quando Daria Bignardi decise a freddo di piazzargli il maledetto cagnolino sulle ginocchia, poppizzandolo senza pietà.
Si dice che questa svolta pop, che alcuni manifesti contemporanei sarebbero lì a testimoniare, andrebbe ascritta a Michelone Anzaldi, deputato e antico comunicatore, riferimento professionale di Sensi ed altri che lo considererebbero l’antico maestro. Se c’è una parola un filo abusata dalle nostre parti è proprio maestro ma va bene così. Anzaldi è stato promosso, se vogliamo, da primo cannoneggiatore Rai a responsabile cui tocca rimodellare l’immagine di Renzi e certo il cimento non è invidiabile. Primo perché spesso il nostro si rovina con le sue stesse mani senza che nessuno riesca minimamente a toccare palla. Ma soprattutto perché Renzi è già perfetto in sé, si tratterebbe solo di capirne le potenzialità. Il richiamo al Berlusconi che fu non è affatto casuale e peregrino. Anche lui era perfetto in sé, così carico di personalità che nessuno, se non un folle, avrebbe potuto spingerlo in una qualche direzione che lui non avesse già deciso con ampio margine di anticipo. (Il rincoglionimento odierno tra biberon e cagnolini ovviamente non fa testo).
Cosa fare, per un comunicatore, quando ti accorgi che il tuo «cliente» sta sul cazzo a mezza (e forse più) Italia? Perché il punto è solo questo e identifica esattamente la differenza abissale tra due personaggi così straordinari e diversi come Renzi e Berlusconi. Il Cav., andrà detto con sincerità, poteva essere odiato ma non stava sul cazzo. Mentre Renzi, che onestamente non ha la caratura per essere odiato, sta immensamente sul cazzo. Su questa differenza dovrà lavorare il bravo comunicatore, fermo restando che il generoso Filippo Sensi con le sue play station e le sue #cosedilavoro è riuscito nell’impresa titanica di farcelo stare ancora di più.
Quando il buon Anzaldi ha preso in mano la patata bollente, si è accorto subito di un’impresa disperata. Soprattutto da un particolare: ha aperto il computer, ha impostato Google e poi ha visionato le migliaia di fotografie di Matteo Renzi. «Non ne ho trovata neppure una in cui non fosse con persone di potere, ora la Merkel, ora Obama, ora Marchionne, insomma non si trovava traccia di un Renzi normale». Il punto forse è proprio qui, una troppo esibita esigenza di Potere. Staccarsene un po’, con intelligenza e misura, forse cambierebbe il verso.
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