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Vocabolarietto portatile – Professori

di Ugo Rosa
28 Dicembre 2021

Era bello quando, per evitare i professori, bastava tenersi alla larga da certi giri – quelli strettamente accademici, ad ogni livello ma soprattutto universitari, certi caffè, certi ristoranti, i salotti e i soggiorni di certe case, magari certe librerie – non lasciarsi impelagare in conferenze, dibattiti, seminari e sottrarsi alle loro appendici conviviali, in cui il professore marcava il territorio. Le cose non sono più così semplici. La professoralità ha esondato e dilaga dappertutto. Internet, per esempio, è diventata il regno dei professori. E’ impossibile esprimervi una qualsiasi opinione su un qualunque argomento che non susciti immediatamente non certo opinioni differenti, come sarebbe lecito attendersi e perfino naturale che avvenga, bensì lezioni ex-cathedra che spiegano (a te per incidente ma in realtà urbi et orbi) come VERAMENTE stanno le cose e come funziona, in realtà, la vita. Sottrarvisi è impensabile. Si può sperare, al massimo, che insieme alla lezione non arrivi una nota sul registro ma generalmente è speranza vana. Ai tempi antichi i professori tenevano lezione solo a pagamento. Qualcuno era pagato bene, qualcun altro meno, ma qualcosa la intascavano un po’ tutti, oppure dovevano cambiare mestiere per guadagnarsi il pane in altro modo. A pagarli erano, direttamente o indirettamente, proprio i destinatari delle lezioni. Questa, a parte gli anni infelici della scuola dell’obbligo durante i quali il pagamento era automatico, costituiva una discreta valvola di sicurezza: niente pagamento, niente lezioni. Se si azzardava a tener lezione al bar a chi non gliel’aveva richiesta il professore veniva preso, giustamente, a pernacchie. Una situazione edenica, considerato che oggi quelle lezioni non riesci ad evitarle neppure a pagamento e il professore ti catechizza aggratis. La sua mongolfiera culturale ha perso perfino quel poco di zavorra salariale che lo teneva in quota e ormai vola altissima. Si tratta ormai, per lui, di contribuire disinteressatamente alla crescita culturale dei discenti. In pratica è un massacro indiscriminato: a chi tocca, tocca. E siccome noi discenti siamo ormai in estrema minoranza, tocca a tutti. All’epoca il professore piaceva più alle mamme che a se stesso. Ora le cose sono radicalmente cambiate e lui piace più a se stesso che agli altri. Anzi esercita in modo gratuito proprio per piacersi più di quanto già non si piaccia. Correggendo gli altri lusinga se medesimo. E siccome ne ha bisogno – perché in realtà sa benissimo il niente che vale – professoralità e autopromozione si nutrono a vicenda e diventano obese. Internet, dicevo, è il luogo ideale per questa attività autopromozionale. Qui la lectio magistralis è diventata la forma letteraria del secolo anche perché, nella sua configurazione attuale, non ha bisogno che dello spazio di un’asserzione, non importa se e quanto motivata. La professoralità vi scorrazza liberamente coprendo tutto il campo dello scibile: dall’ortografia alla biologia, dalla medicina alla economia politica, dalla teologia alla cinematografia. E, a parte la gratuità dell’esercizio, vi è qualcos’altro che la differenzia dal passato. Il professore di una volta era, per così dire, judex super partes; dirimeva salomonicamente, almeno in via di principio, le dispute scolastiche. Se in cinque sostenevano che la capitale della Svizzera è Parigi e uno solo che Parigi è la capitale della Francia il professore, in punta di diritto, dava ragione a quest’ultimo e chiudeva la questione. Erano bei tempi. Le cose sono cambiate. Allora il professore, nel caso in questione, sarebbe stato uno e i coglioni cinque. Adesso il rapporto di forza è mutato, i professori sono quanti i disputanti e tutti sono coglioni. Nessuno mai accetterebbe il verdetto di un giudice super partes, essendo persuaso d’essere lui quel giudice. E’ così che la professoralità si sovrappone alla tifoseria e vi viene a coincidere in ogni punto: il professore da tastiera è l’unicorno nato da questo accoppiamento. Non sostiene l’incontrovertibile ma solo ciò che lui ritiene tale. E lo fa a ragion veduta, con tanto di dati alla mano. Ciò che una volta era istruzione – non necessariamente di alto livello, diciamo l’istruzione bastevole a non dire minchiate – diventa saccenteria stellare, supporto gratuito ad ogni forma di tifoseria. La sua arbitrarietà è esponenziale. Un arbitrio al quadrato. Chi per esempio sostiene, con certezza adamantina, che la carbonara si fa solo come dice lui o che si dice arancino e non arancina – solo per citare alcune delle dispute che più hanno appassionato i professori internauti prima che arrivasse il covid a dirottarli verso virologia e teologia politica, tra stato d’emergenza e stato d’eccezione – non ha assolutamente nessun argomento in più di chi sostiene, con identico empito professorale e uguale sicurezza, esattamente il contrario. In questo modo, ogni disputa diventa professorale e, nello stesse tempo e nella stessa misura, un gioco al massacro per ogni forma di intelligenza, nel quale la stupidità trionfa con precisione matematica giacché lo fa come custode di un CANONE del tutto immaginario e perciò indistruttibile. Dalla storia della letteratura, alla genetica, dalla fisica alla medicina. Neppure la poesia ne è esente. E tutti gli argomenti si equivalgono perché la professoralità di questi professori non conosce altri confini che quelli offerti da una illimitata capacità di sparare minchiate e dalla supponenza con cui lo fanno.

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