Il suicidio intellettuale musulmano alla base dell’attuale crisi islamica

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20 Gennaio 2015

In un vecchio libro di Paul Bairoch – Lo sviluppo bloccato –  si poteva leggere che intorno all’anno Mille le tre grandi civilizzazioni culturali del mondo di allora, l’arabo-islamica, l’europeo-cristiana e la cino-confuciana erano grosso modo allo stesso livello. Chiunque sia stato a Cordova, a Granada  e nell’Andalusia spagnola non ha difficoltà a riconoscere lo splendore e la raffinatezza a cui erano giunti i musulmani di Spagna. Poi, sempre in quel torno di tempo tra il IX e l’XI secolo successe qualcosa, e da allora le tre civilizzazioni culturali hanno cominciato a marciare secondo propri indirizzi e velocità.

È proprio in quell’epoca che Robert R. Reilly in un suo recente volume The closing of muslim mind – How the intellectual suicide created the modern islamist crisis  (ISI Book, 2010) individua le cause mentali-culturali che hanno condotto una splendida civilizzazione culturale verso uno dei più grandi drammi intellettuali nella storia umana.

Non occorre aver letto un  solo rigo di Carl Schmitt per arguire che il pensiero politico ha origini teologiche e neanche uno di Max Weber per intuire che dalle grandi opzioni religiose e dai voltaggi mentali-culturali che esse determinano derivano esiti economici inaspettati (qui assumo come feconda  la tesi  di Weber, ovviamente, anche se c’è chi non la ritiene probante a spiegare i take off o i ristagni dell’economia).

Suicidio intellettuale. Lo storico delle idee sa che è proprio da come sistemi le cose in cielo che organizzi quelle in terra, e che un dibattito teologico può risultare ferale per un’intera civiltà. È proprio a una serrata disputa teologica  avvenuta tra il IX e i X secolo dell’era cristiana all’interno dell’Islam che Reilly fa risalire il   declino intellettuale del mondo musulmano; è a partire dal rifiuto del pensiero greco (de-ellenizzazione) di una delle fazioni teologiche in lotta risultata alla fine vincente  e all’abbandono progressivo  della ragione – il dono dei greci-  nella maggior parte del mondo sunnita, che si innescherà il processo di involuzione a cui oggi assistiamo. Da allora in poi sarà la teologia non la filosofia a decidere tutto: le cose del cielo e quelle della terra. Reilly cita la frase del più grande studioso musulmano del XX secolo, Fazlur Rahman: “Un popolo che priva se stesso della filosofia necessariamente si espone a un depauperamento di idee fresche – nei fatti commette suicidio intellettuale”.

La chiusura della mente musulmana. Questo dibattito ebbe luogo nei grandi centri della civiltà musulmana – Damasco, Bagdad e Cordova -, e oppose due scuole religiose : i Mu’taziliti  e  gli Asciariti (Ash’arite Islam).  La corrente  Mu’tazilita che nel nostro linguaggio potremmo definire “liberale” e “razionalista”,  influenzata dal pensiero greco di cui vuole conservare l’eredità filosofica,  intende coniugare fede e ragione. Gli esponenti più noti (per noi) sono  Al Farhabi, Avicenna e Averroè, mentre dal lato Ash’arita “tradizionalista” e mistico si situeranno Ibn Hanbal (che ancora oggi è una delle figure di riferimento in Arabia Saudita) e soprattutto Al Ghazali (“pivotal figure” e “la seconda persona più importante nell’Islam subito dopo Maometto”,  lo definisce Reilly) che sarà il grande trionfatore, colui che starà rispetto al Profeta come Paolo di Tarso a Gesù Cristo.

Il centro del dibattito, galvanizzato  dal primo incontro con la filosofia greca, sarà  quello  tipico di ogni religione monoteista:  lo status della ragione in relazione alla rivelazione di Dio e alla sua onnipotenza. In che rapporto sta la ragione nell’incontro dell’uomo con Dio?  C’è rapporto tra la ragione e la rivelazione divina? E la cosa più importante: può la ragione conoscere la verità? Deve risultare chiaro, e ciò vale anche per molte questioni che riguardano il cristianesimo, che il Corano, come il Vangelo, non danno delle teologie belle e pronte (né Maometto né Gesù erano teologi) ma è il lavorio incessante proprio della  teologia a sviluppare nozioni di Dio allo stesso tempo implicite ed esplicite nei Testi Sacri.

La chiusura avvenne in due modi: uno di negare alla ragione di conoscere alcunché, l’altro di licenziare la realtà come non conoscibile. Tipicamente: la ragione non può conoscere, o, non c’è nulla da conoscere. Entrambi gli approcci saranno sufficienti a ritenere irrilevante la realtà, ed entrambi filtreranno attraverso la corrente vincitrice, quella Asharita, nel mondo Sunnita. Radicale volontarismo (Dio è pura volontà) e occasionalismo (non c’è rapporto di causa ed effetto  nell’ordine naturale ) saranno perciò i binari entro cui viene fatta la ricognizione della realtà da questo Islam trionfante. Ciò determinerà la negazione del principio di causalità. Nel mondo sunnita musulmano “la realtà diventa inaccessibile” perché le vedute di certi teologi tra nono e dodicesimo secolo sono prevalse, è in estrema sintesi il tema di questo lavoro.

La chiusura della mente musulmana ha creato quella crisi di cui il moderno terrorismo è solo una manifestazione. Essa è molto più vasta e profonda e fa sì che il mondo Arabo stia in fondo a tutte le classifiche dello sviluppo umano; che lo spirito scientifico vi sia ormai moribondo; che nella sola Spagna siano stati tradotti in un solo anno ciò che nell’intero mondo arabo è stato tradotto in un secolo; che  alcune persone in Arabia saudita ritengano che nessun uomo è sbarcato sulla luna (a dire il vero anche qualche grillino da noi); che l’uragano Katrina sia ritenuto un chiaro castigo divino.

A fianco di questa lettura ho rispolverato il vecchio libro di Ernest Renan Averroès et l’Averroïsme  (4 ed. 1882) dove si possono leggere alcuni brani in cui la visione di Reilly trova singolare conferma retrospettiva. Leggo in Renan: “lo sviluppo intellettuale rappresentato dai dotti arabi fu fino alla fine del XII secolo superiore a quello del mondo cristiano. Ma non riuscì a passare nelle istituzioni; la teologia oppose a questo riguardo una barriera insuperabile. Il filosofo musulmano restò sempre un dilettante o un funzionario di corte. Il giorno in cui il fanatismo fece paura ai sovrani, la filosofia scomparve, i manoscritti furono distrutti per ordine regio, e solo i cristiani si ricordarono che l’islamismo aveva avuto dei dotti e dei pensatori.   La filosofia araba offre l’esempio a un di presso unico di una altissima cultura soppressa quasi istantaneamente senza lasciare traccia, e quasi dimenticata dal popolo che l’ha creata. L’islamismo svelò in questa circostanza ciò che è estremamente consentaneo al suo genio. Anche il cristianesimo è stato poco favorevole allo sviluppo della scienza positiva; è riuscito ad arrestarlo in Spagna e a ostacolarlo in Italia; ma non l’ha soffocato, e anche gli elementi più elevati della famiglia cristiana hanno finito per riconciliarsi con detta scienza. Incapace di trasformarsi e di ammettere alcun elemento di vita civile e profana, l’islamismo strappò dal suo seno ogni germe di cultura razionale. (…) Il mondo musulmano entrò da allora in poi in questo periodo di ignorante brutalità se non per ricadere in una triste agonia dove si dibatte sotto i nostri occhi”.

Aggiungo infine  che la  tesi forte e ardita di Reilly– far risalire un dramma mondiale ad alcuni eventi teologici accaduti otto nove secoli fa – diventa più difendibile se la si pone in un’ottica di “lunga durata” come ci ha insegnato Fernand Braudel. Riferito alla nostra realtà questo approccio ci ricorda la tesi di David Abulafia che fa risalire la frattura tra Nord e Sud d’Italia non  al Risorgimento ma alla fondazione del Regno Normanno al Sud e dell’Italia dei Comuni al Nord, allo stesso modo in cui  Robert Putnam fa risalire il maggior rendimento delle istituzioni al Nord  alla maggiore “tradizione civica” risalente al Medioevo e ai Comuni. Voglio dire che se ti poni in una logica di studio delle radici profonde, a furia di scavare scopri che esse sono lunghe in maniera insospettabile, e che c’è un momento in cui si biforcano, prendono una direzione piuttosto che un’altra: compito di chi studia è individuare questo “momento originario” in cui la realtà storica prende una piega piuttosto che un’altra.

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Vedi anche su “Stati Generali” dello stesso autore : L’islam di Pietrangelo Buttafuoco

TAG: Al Farhabi, Al Ghazali, Ash’arite Islam, Averroè, crisi islamica, Ernest Renan, islam, Mu’taziliti, Robert R.Reilly, terrorismo islamico
CAT: Filosofia, Medio Oriente

9 Commenti

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    1. alfio.squillaci 9 anni fa

      Ero ovviamente a conoscenza del background di Railly e ovviamente NON condivido un rigo della sua posizione verso l’omosessualità, ci mancherebbe. Avevo anche consultato alcune recensioni del suo lavoro, sia favorevoli che critiche, come questa dell’Association of Muslim Social Scientists of North America https://www.academia.edu/1792939/Review_The_Closing_of_the_Muslim_Mind._By_Robert_R._Reilly, che pure non si scandalizza della sua partecipazione ai think thank governativi, essendo NORMALE per la comunità intellettuale collaborare con il proprio governo. Ma in una recensione divulgativa non si può dare conto di un dibattito in extenso, come mi rendo conto che sarebbe stato meglio rendere con più minuziosità tutto il dibattito teologico. Ciò detto, occorre dire che se trascuriamo l’orante e ci concentriamo sull’orazione sarebbe meglio. Anche perché nel recente passato abbiamo avuto qualche esempio di questo approccio intellettuale, proprio in Italia, Paese del “cui prodest” e “da che pulpito viene la predica”, forse proprio per questo non molto avanti negli studi sociologici, antropologici o demopsicologici pur avendo avuto nel passato delle belle teste (De Martino, Tullio-Altan). Mi riferisco alla nozione di “familismo amorale” introdotta nel dibattito mondiale da E. C.Banfield (un conservatore di Harvard) proprio a seguito di uno studio condotto sul campo in Italia meridionale, il quale era anch’egli un consulente del governo americano. In una prefazione al suo libro (ed. 1976) il sociologo Domenico De Masi lo rimproverò di essere un agente della CIA o un “barba finta”… trascurando di sottolineare, con la dovuta (secondo me) enfasi, l’apporto teorico di Banfield che da allora divenne canonico, e che io peraltro ho appreso, nei perduti anni ’80 da una citazione e un libro di un intellettuale di sinistra, collaboratore dell’Espresso, Antonio Gambino che la difesa e la divulgò contro il parere allora dominante e schiacciante della sinistra marxista che non sopportava spiegazioni “sovrastrutturali” dell’arretratezza economica. Resta comunque lo sfacelo del mondo arabo che è sotto gli occhi di tutti, basta buttare lo sguardo oltre la sponda del Mediterraneo. Ciò che sconvolge è proprio la perduta tradizione di grandezza e magnificenza della civiltà islamica che fa ritenere che la grande aggressività che essa sprigiona adesso sia più l’espressione di una grande frustrazione intellettuale – di chi è conscio di un grande e orgoglioso passato – che risentimento verso l’Occidente. Ogni spiegazione che ci possa aiutare a comprendere questo fenomeno in atto, è per me ben accetta, al netto delle premesse e delle personalità degli interlocutori. Che fare adesso è un altro problema. Certamente l’aiuto andrebbe dato a quelle popolazioni in termini di istruzione e cultura più che di bombe e devastazioni. Occorre però subito aggiungere che le élite arabe, non certo povere, piene di petrodollari come sono, hanno in non cale il tema dell’istruzione e dell’educazione della propria gente. La ragione è presto intuibile: un popolo istruito è una minaccia agli assetti di potere attuale. Uno dei motti dei talebani è “ gettate la ragione ai cani”. Temo che a volte sia il motto di ogni potere non solo estremista. Grazie dell’attenzione.

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      1. vincenzo-fiore 9 anni fa

        Articolo molto interessante se non altro perché stimola la riflessione.
        Non sono un esperto in materia, per cui vorrei leggere -immagino ce ne siano- critiche da parte di storici a questa tesi. Nel mio piccolo mi limito a notare che alcuni conti non tornano.
        Se il punto di svolta è stato proprio quello individuato (dal IX all’XI secolo), è difficile spiegare il successo culturale, economico e sociale dell’impero ottomano diversi secoli dopo: anche senza citare la figura di Solimano il Magnifico, l’impero rivaleggiò sotto tutti gli aspetti con le potenze europee in piena epoca moderna, per poi iniziare la sua lentissima decadenza fino alla prima guerra mondiale.
        Altrove avevo letto che da un punto di vista economico la fine delle potenze mediterranee si è consumata con l’espansione coloniale, che ha geograficamente avvantaggiato i paesi nord europei. Culturalmente mi spingerei a dire che sia stato ben più devastante per la cultura islamica la mancanza di una influenza illuminista, quindi in periodo molto successivo a quello qui indicato e in un modo che spiegherebbe in via più lineare la mancata separazione tra chiesa/moschea e stato, l’esistenza di poteri assoluti ecc.
        In epoca contemporanea poi, la questione non si pone, i processi di secolarizzazione ci cono stati e sono stati ampiamente ostacolati in favore di assetti di potere più manovrabili dall’esterno (Inghilterra e Francia prima, USA e URSS, poi… oggi USA, Cina e Russia?).
        Idee un po’ sparse che volevo condividere, grazie dell’articolo!

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      2. saulagana 8 anni fa

        Ignorante in materia, non mi permetto di ribattere su un argomento di tale complessità. Condivido tuttavia l’osservazione che sta alla base del Suo articolo: “Ogni spiegazione che ci possa aiutare a comprendere questo fenomeno in atto, è per me ben accetta…”.
        Il tentativo di cercare risposte che vadano oltre gli schemi prefissati è già di per sé lodevole. E tanto per ricitarla: “…se trascuriamo l’orante e ci concentriamo sull’orazione sarebbe meglio…”. Si eviterebbe così il rischio di cadere nel benaltrismo, tanto caro ai polemisti nostrani di ogni religione.
        Infine, la avverto, non accetterò alcun tentativo di offrirmi un caffè per la doppia citazione :-)

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  1. luca-servidati 9 anni fa

    Articolo veramente interessante, sopratutto per aver abbozzato (giustamente, per la natura di articolo) e impostato un’analisi filosofica-storica alla ricerca delle origini di un problema. A questo proposito, come mio commento ti segnalo il mio articolo che penso vada nella stessa direzione:
    http://www.glistatigenerali.com/teologia/sottomissione/

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  2. emilio-casalini 9 anni fa

    Davvero molto interessante. Allunga di qualche secolo la mia superficiale conoscenza del pensiero islamico.
    Sull’arretratezza attuale della società a maggioranza islamica però, per onestà intellettuale, bisognerebbe inserire anche le variabili geopolitiche. La colonizzazione ha portato il depauperamento delle ricchezze naturali e delle strutture economiche/produttive, la distruzione di qualsiasi evoluzione di un sistema politico indigeno e naturale, impedendo la nascita di leader moderati e di una società civile che li potesse sostenere.
    Quando i militari francesi strappavano il velo alle donne algerine, non aiutavano certo la secolarizzazione dell’islam.
    Quando la lotta per l’indipendenza non trovò linfa nel panarabismo, la religione divenne il collante suppletivo. E non poteva certo trattarsi di un pensiero religioso ispirato ai sufi.
    Se vogliamo arrivare ai nostri giorni, la crescita di potere dei talebani ha origine statunitense in funzione antisovietica, Al-queda è figlia di questa matrice e, ancora più vicino a noi, l’ISIS in funzione anti-Assad è di matrice ovviamente geopolitica prima ancora che religiosa.
    Per cui ringrazio davvero per il prezioso contributo storico ma, ad esempio, non essendo uno storico, mi paicerebbe che su quella traccia di analisi riferita al IX-XI secolo, si potesse sovrapporre anche l’analisi economica dell’epoca, del cambiamento dei mercati, dei flussi commerciali anche valutari, e quindi della ricchezza, che così tanta influenza hanno avuto nello progresso raziocinante europeo.

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  3. nicola.mente 9 anni fa

    In verità non sono sicuro se l’origine sia questa ma l’articolo è interessante, mi chiedo solo quando inizieremo a studiare altre culture attraverso quello che dicono direttamente, e non attraverso quel che ci viene detto da uomini -studiosi, acuti e intelligenti- che però a quella cultura non appartengono.

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  4. davide-acri 9 anni fa

    Se ho capito bene, il motivo per cui i networks ci sommergono con presunte news di efferatezze islamiche sono da attribuire al fatto che circa 8 secoli fa la posizione di Al-Ghazali prevalse su Averroè ed Avicenna? Pur vivendo da millenni fianco a fianco in questo grande lago, come lo definì Braudel, ancora non ci diamo pace per non averci capito molto.

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    1. alfio.squillaci 8 anni fa

      Per dirla ancora con Braudel, nella “lunga durata” ci sta anche un fatto accaduto da noi 2015 anni fa, la nascita di Cristo, e ne sentiamo ancora le conseguenze, perché non anche gli islamici avvertire qualche “frisson de l’histoire” per fatti accaduti SOLO 800 anni fa?

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