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Quel che resta della festa. Cronache dallo Sponz Fest, giorno zero

28 Agosto 2017

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L’ultimo giorno o forse il primo. Io potrei inventare di essere stato alla Mefite e poi fino al Goleto. La Mefite, che è dove Virgilio colloca le porte dell’ade, la cercavo da lunedì. Nel mio programma, quello che avevo preso domenica appena arrivato, non c’era scritta, non appariva, non aveva una collocazione temporale all’interno dei sette giorni dell’evento. Ed io cercavo di capire dove fosse questo posto di esalazioni che arrivano dal centro della terra. Quando avrai potuto prendere parte all’euforia contagiosa di capire che c’è qualcosa di più forte dell’infero e della morte. Un luogo che esiste davvero, e dista almeno un’ora da qui. Da lì poi tutti al Goleto, in un abbazia che è tutta cielo ed in cui si sovverte continuamente l’ordine delle cose.

Invece non sono andato, ieri sono rimasto a bighellonare tra uno Sponz Office chiuso e quelli che subito dopo pranzo arrivavano per sapere quando potevano cambiare gli sponzini. Ho ritrovato un ragazzo che prima dell’evento avevo intervistato sulla sua tesi di laurea dedicata allo Sponz Fest, me ne ha consegnata una copia, che appena ho toccato ho capito essere come la Mefite, uno scrigno prezioso che cercherò di leggere nei prossimi giorni. Speravo di incontrare anche un fotografo, Chico De Luigi, che ha lasciato su alcune saracinesche dalla parte del Municipio tutte le facce di questo Sponz, mettendoci anche la mia. Volevo conversare, provare a chiedergli qualcosa sul ruolo delle immagini in un evento del genere e sulla loro capacità di aprire prospettive verso le prossime edizioni di questo evento e di costruire memoria collettiva. Non escludo di farlo a breve, nei prossimi giorni, per ora so che lui è ancora occupato a fare altre foto qui in paese.

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Poi sono andato a vedere tutte quelle facce sul muro, tutte, compresa la mia. Molte di esse sono state attaccate sopra alcuni vecchi annunci mortuari, altre sopra vecchie pubblicità di eventi passati. A guardarle sembra di vedere una piccola tribù che è venuta a Calitri per lasciare un segno. Le facce di tanta gente simpatica che per sette giorni ha deciso di partecipare ad un’utopia. Molti di loro in questi giorni so che non hanno nemmeno dormito, o hanno dormito poco, per fare sì che tutto procedesse al meglio. Ma anche le loro facce, anche quelle che Morfeo lo hanno lasciato a casa, ti guardano e sorridono lo stesso, e sorridono lo stesso per il solo fatto di essere stati qui e di avere capito che esiste davvero qualcosa di più forte dell’infero. Identità e appartenenza sono le due parole che Chico De Luigi ha utilizzato per spiegare questo suo progetto fotografico. Cosa mi accomuna allora a tutte quelle facce che mi sono state attaccate accanto sul muro?

Il giorno che mi arrivò il messaggio del direttore di questo sito ho emesso un grido, mi batteva il cuore. Era quasi ora di cena, l’ho fatto leggere a mia moglie che mi ha confermato che quel messaggio esisteva davvero ed era per me. Si chiedeva di fare dei reportage dallo Sponz Fest, erano piaciuti alcuni articoli fatti l’anno scorso e gli organizzatori dell’evento ci invitavano a partecipare in maniera più strutturata. Ok, andiamo, io in questo periodo sarei comunque stato qui, mia moglie è di qui, d’estate veniamo sempre. Queste le cose che ho detto al direttore. Allora cosa mi accomuna a quelle facce? E’ la domanda che mi sono portato dentro un po’ sempre in questi giorni. Di risposte ne ho trovate varie, tutte buone, tutte valide. La più vera credo sia quella legata al fatto che tutta questa gente, come me, non si vuole rassegnare al fatto che la festa possa finire e che ci portiamo sempre dietro quel che resta della festa.

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Ieri mattina la scritta che mancava sul programma è tornata. È apparsa. Solo ieri mattina, al settimo giorno, che è stato anche il primo. Ieri mattina è tornata la Mefite. E del fatto che quelle righe siano tornate sul mio programma solo all’ultimo giorno ne ho capito il senso solo ieri. Alla Mefite deve essere stato bello, deve essere stato come essere al cinema, al teatro. Al Goleto pure, anche meglio. La fine ed il principio di tutto. Deve essere stata una perfetta circolarità, come quella di chi non si vuole rassegnare al fatto che una festa così grande possa davvero finire. Nelle parole che ha usato Vinicio del suo Racconto al Rovescio c’è qualcosa di tremendamente vero. Dopo una settimana così succede esattamente quello che lui dice in maniera perfetta. Si avvera il desiderio di rovesciare il mondo, si arriva a “fare dello studio una cosa che non annoia ma diverte. Fare della necessità un balocco. Fare della morte vita”. E’ stata una settimana di ri-creazione, una sorta di epifania collettiva, un momento fuori dal tempo. Una di quelle cose dopo le quali può esserci solo un nuovo inizio. Ecco cosa mi accomuna a tutte queste belle facce attaccate, come la mia, lungo un muro di Calitri.

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