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Partiti e politici

Democrazia progressiva? Ma anche no…

di Ugo Rosa
1 Ottobre 2022

Sembra proprio che il problema del PD consista nel cambiargli il nome. Il professor Cacciari, che come al solito capisce tutto e non ci mette niente a spiegarlo ai discenti, propone nientemeno che “Democrazia progressiva”. A posto. Neppure una parola sulla questione di cosa sia il PD, di chi o cosa rappresenti, di quali interessi si sia fatto garante nel corso della sua esistenza e di chi, a sua volta, gli abbia garantito di esistere fino ad oggi. Tuttavia a me pare che, prima di procedere ad un intervento chirurgico – non fosse che di chirurgia plastica – nessun medico che non sia un macellaio dovrebbe trascurare l’anamnesi. Ma noi ci abbiamo i politologi e i geopolitici – quelli della domenica e quelli del lunedì – che, gli occhi fissi al sol dell’avvenire, se ne fottono del passato e del presente e lasciano che tutt’e due si fottano il futuro. Mentre loro tengono lezione in aula, guardandosi allo specchio. Ma non preoccupatevi. Non desidero ammorbarvi con le percentuali e perciò non tirerò fuori dal cilindro nessuna statistica. Scriverò quel che segue da sgraziato tapino quale sono, senza offrirvi l’incoraggiamento di un istogramma né la consolazione di un diagramma a torta. Alla garibaldina. Ecco qui, lo enuncio in diciotto parole: se in Italia esiste ancora un partito dalla connotazione di classe perfettamente definita quel partito è il PD. Non solo i suoi funzionari e i suoi esponenti – di militanti non mi pare neppure il caso di parlare – ma anche i suoi elettori, che siano in pensione, in attività o in formazione (dai capodogli alle sardine insomma) fanno parte inequivocabilmente di una precisa categoria sociale. Tutti quanti detengono uno status socioeconomico privilegiato, che in questi anni di tregenda non solo non è stato neppure scalfito dalla crisi ma ne è uscito, in molti casi, rafforzato. Sono tutti benestanti. Guardatevi intorno. In maggiore o minor misura, ovviamente, ma sempre bene al di là di quel livello di guardia al di sotto del quale l’aumento delle bollette, il costo della vita e l’inflazione galoppante rappresentano davvero un problema drammatico e costituiscono talvolta una questione di sopravvivenza. L’apoftegma “se il ricco e il povero votano per lo stesso partito uno dei due sbaglia e non è il ricco” (credo appartenga ad Ernesto Che Guevara…) enuncia una verità inoppugnabile ma non serve a descrivere il PD. Non gli si applica perché, in questo caso, il povero è andato a sbagliare altrove. La prerogativa di classe del PD è infatti, da anni, così evidente da risultare lampante anche per l’individuo più disposto a lasciarsi turlupinare. Può anche darsi che chi legge (se mai qualcuno dovesse leggere…) nella variegata vastità delle sue frequentazioni, conosca il tipino che non rientra nella definizione che ho appena abbozzato, ma siccome voglio immaginarlo onesto, credo che onestamente riconoscerà che in tal caso non si tratta che di una stravagante eccezione.

Chi è d’accordo con quel che ho appena detto non avrà difficoltà a convenire con questo: ciò che nel PD sorprende non è che sia il partito dello status quo, bensì la sua ostinazione nel presentarsi ancora come “forza di cambiamento, riformista e progressista”. Cioè appunto come “Democrazia progressiva”. Vero è che nel corso degli anni quella pretesa riformatrice si è rattrappita al punto da riuscire a trovare comodamente posto dentro la boîte à joujoux di quei famosi “diritti civili” che senza uguaglianza economica sono come il viagra dato a uno che non ci ha il pisello. Però ne è rimasta una specie di filiforme immagine spettrale, una larva come quella che fa ancora sostenere al discendente, cretino e degenerato, di un avo formidabile, d’essere pur sempre il frutto di un illustrissimo albero genealogico. Si tiene da qualche parte la fotografia di Gramsci e ci s’indigna se un consimile non intona Bella Ciao ma poi si fa un tweet sulla meritocrazia, sul fatto che quello che abbiamo ce lo siamo guadagnato e sui fannulloni che sbafano col reddito di cittadinanza. Io non sono più giovane ma non sono ancora diventato giovanile per cui, non essendo del tutto rincoglionito, mi pongo ancora qualche domanda. Così mi chiedo, e lo chiedo a voi: siete in grado di spiegarmi per quale misteriosa ragione un benestante privilegiato al quale lo stato di cose garantisce il meglio (o quasi) dovrebbe sentire il desiderio di cambiarlo? Perché dovrebbe adoperarsi per un cambiamento “migliorativo” che non riguarderebbe lui ma gli altri e potrebbe perfino comportare la rinuncia, per lui, ai suoi attuali privilegi (che sono sempre relativi agli svantaggi di qualcun altro oppure non sono niente)? Per generosità? Per altruismo? Per filantropia? Ma credete – permettetemi un’ altra domanda – che possa darsi una politica dotata di senso che si fondi sull’anima bella? Il PD non è diventato ciò che è per disdetta o per la minchioneria – per altro innegabile…- di chi l’ha gestito. E’ quello che è perché non può essere altro. Tutto ciò che può fare consiste nel lisciare il pelo ai suoi elettori con la fiaba di Cenerentola, i diritti civili, gli aiuti militari all’aggredito, le donne iraniane che si tagliano i capelli e le sanzioni ai cattivi; perché sa che di queste sanzioni non saranno mai i suoi elettori a pagare il prezzo più salato; quel prezzo lo pagherà chi non ha voce e non ha – né avrà, stando così le cose – altro mezzo per esprimersi che quello di non andare a votare. Il PD dunque potrà anche cambiare, ma solo nell’ottica – che del resto è proprio quella in cui si muove il professor Cacciari – di funzionare meglio in quanto PD – che poi si chiami Democrazia Progressiva o Progresso Democratico mi pare irrilevante. Perché il problema non consiste nel “cambiamento” del PD ma nel riconoscimento che quel cambiamento è, nella sostanza, impossibile. Il PD, comunque lo si chiami, è precisamente quello che deve essere e rappresenta esattamente la categoria sociale che deve rappresentare: cioè in primis le persone come Massimo Cacciari. Se c’è speranza per chi non è un suo simile, quella speranza non ha dunque, e non può avere, niente a che vedere con il PD.

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