
Italia
Chi ha paura della parola povero?
Siamo diventati un Paese che non chiama più le cose per nome. La povertà non è scomparsa: è stata rimossa
La povertà è diventata invisibile. Non perché non ci sia. Ma perché non serve. Non vota, non consuma, non fa rumore. È la parte del Paese che non compare nei talk, che non incide nei sondaggi, che non ha rappresentanza né protezione. Sta in fondo alle statistiche, nascosta sotto le medie. È quella zona grigia dove finisce chi perde il lavoro, chi si ammala, chi resta fuori un mese di troppo. E nessuno lo nota.
Oggi tutti parlano di ceto medio, di classe dirigente, di innovazione. Ma nessuno chiama più per nome la povertà. È scomparsa anche dal linguaggio. Al massimo si parla di fragilità. Di marginalità. Mai di povertà. Come se nominarla fosse una sconfitta. O peggio: un’accusa. Non si dice più “poveri”, si dice “esclusi”, come se la parola vera sporcasse il discorso. Ma è proprio così che la povertà cresce: nel silenzio.
Ci sono intere aree del Paese dove il lavoro è finito, dove i servizi non arrivano, dove la scuola non regge, dove i giovani partono e gli anziani restano soli. E nessuno ci mette piede. Ci si va solo per fare inchieste una tantum, servizi che durano due giorni. Poi spariscono tutti. Tornano le vetrine. Le notizie felici. Le cronache da salotto. Ma la povertà resta lì. Senza titoli. Senza voce.
C’è una povertà che non chiede elemosina. Chiede dignità. Chiede un futuro che non sia un’ipotesi vaga. Chiede un presente che non sia un’umiliazione continua. Chiede di essere vista, riconosciuta, ascoltata. Ma nessuno lo fa. Nemmeno la politica, che un tempo ne faceva bandiera. Oggi ne ha paura. Perché la povertà non porta consenso. Non garantisce ritorno. Non si esibisce.
Eppure, è lì che si misura un Paese. Non nei bonus, non nei titoli. Ma nella capacità di non lasciare indietro. Nella scelta concreta di stare accanto a chi non ha. Di investire su chi ha perso tutto. Non per buonismo. Ma per giustizia. Per visione. Per verità.
La povertà non ha più parole, né alleati. Non ha testimoni. Non ha programmi elettorali. È un’ombra collettiva che attraversa tutto, ma che nessuno vuole guardare. E allora si nasconde. Si traveste. A volte lavora. A volte studia. A volte vota. Ma sempre più spesso, semplicemente scompare.
Quando abbiamo smesso di chiamarli per nome?
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