Musica

Musica leggerissima #14 – Incastro

2 Ottobre 2023

“Musica leggerissima”, ovvero come parlare ogni volta di un disco poco discusso o dimenticato. Come parlare ogni volta di un bel disco italiano.

 

Il nome dei Madrugada è – scommetto – sconosciuto ai più. Solo chi si è veramente addentrato nei meandri del progressive rock all’italiana può averlo in qualche modo scovato. I motivi per cui questo gruppo originario di Bergamo (Gianfranco Pinto, tastiere e voce; Alessandro Zanelli, basso e voce; Pietro Rapelli, batteria e voce) è raramente capitato sulle bocche degli appassionati del genere credo siano fondamentalmente due: il primo ha a che fare con la natura non così progressive della loro musica. O meglio, è un progressive che si allontana dai canoni di quello che la scena italiana proponeva in quel periodo. Il secondo motivo è probabilmente correlato al primo: arrivano un po’ in ritardo rispetto all’epoca d’oro. E si sa che nel progressive all’italiana, molto spesso, ciò che rimane fuori dal periodo 1970-73, rischia di rimanere nell’oblio. Ultimamente però, bisogna anche dire che la possibilità di recuperare molto materiale dell’epoca e rivalutarlo anche grazie ad alcuni remaster, ha consentito a diversi lavori di trovare un posticino nella storia del genere e, aggiungerei, per fortuna. Arriviamo quindi ai nostri: il loro primo, omonimo disco è del 1974 ed è un lavoro che sonda sonorità influenzate dal West Coast sound e da un soft rock melodico e a tratti innocuo. Ma se questa prima uscita, alla fine dei conti, non è niente di che, il loro secondo e ultimo album vale invece la pena di essere ascoltato.

Il titolo è Incastro, esce nel 1977 e nel primo brano ha la sua dichiarazione di intenti: “Romanzen” infatti è una lunga suite di più di 12 minuti, all’interno della quale troviamo sospiri accompagnati da battiti elettronici, atmosfere bucoliche con flauti e basso pulsante, Fender Rhodes che si intrecciano a un violino (di Lucio Fabbri) ficcante e tribalismi incendiari per concludere. Tutto questo mostra come la volontà dei Madrugada sia quella di impostare un discorso essenzialmente sperimentale. Quello che però colpisce è come l’idea di mantenere la forma canzone rimanga al centro delle esplorazioni del gruppo lombardo. Ciò che ne viene fuori, nonostante momenti anche particolarmente dissonanti e spigolosi, è un contesto in cui una dimensione essenzialmente “pop” la fa da padrona. In “È triste il vento”, ad esempio, si può notare come il violino di Fabbri dia lo slancio a un tipo di concezione melodica molto solida, mentre in un pezzo assurdo e ironico come “Katmandu” si trova invece lo scherzo che riconduce a una semplicità che vuole a tutti i costi attrarre facilmente l’ascoltatore. Un altro elemento ben identificabile poi è quello che si esprime attraverso un approccio che si avvicina molto alle forme tipiche del jazz rock: pezzi come “Aragon” e “Hobbit” ne sono infatti il cuore pulsante, dove il bisogno di donare pure un’anima più astratta (grazie anche al sax di Gialuigi Trovesi), ma mai difficilmente interpretabile e fruibile, si manifesta chiaramente.

Un disco dunque sicuramente particolare, dove la voglia di sperimentare non travalica mai il confine dopo il quale diventerebbe fine a se stessa e dove il nucleo “pop” rimane una componente fondamentale per costruire una struttura musicale che permetta a chiunque di entrare dentro i suoi spazi. Insomma, ogni casella al suo posto, ogni casella elemento inconfondibile che permette – proprio come nel titolo e nell’immagine della copertina dell’album – il complessivo e definitivo “incastro”.

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