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Tempi difficili – Il Monologo del Tempo
Spesso lo rappresentano come un neonato, immaginano che si possa ricominciare una vita nuova, lo dice anca un proverbio, da loro inventato. Invece un anno nuovo si porta dietro il fardello di tuti quei passati, ha poca importanza aver cambiato il numero della cifra che lo rappresenta.
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Non ha niente da imparare, l’anno nuovo. Sa già tuto, sa già che le guerre s’intensificheranno e si complicheranno perché non c’è alcuna volontà delle parti di farle terminare. Sa già che i provvedimenti dei governi presi in un tempo che portava una cifra più bassa di una o più unità porteranno dolori alle persone, perché non pensati per il benessere generale, un benessere riflettuto, ma solo per tornaconti personali e di vassallaggio verso altre nazioni potenti, oltre, naturalmente, a una mancanza di visione nel Tempo. Sa già che le speranze sull’anno puteo saran deluse alla fine delle feste natalizie, dove peraltro si festeggia un compleanno di una divinità così lontana dalla realtà che la gente, almeno quella che ci circonda, ormai smaliziata, non la sente più nemmeno come una compagna di giochi.
E sa anche che il vecio che è stato bruciato sulle piazze la notte precedente, nella palingenesi di San Silvestro, non si è portato via proprio niente, anzi, gli ha lasciato la solita orrenda eredità.
Ma come fanno a essere così ingenui? Basta che i due mori battano il campanon e son felici e contenti. Che sempi.
Mi avevano descritto così ben Agostino Manni ed Emilio de’ Cavalieri, quando, nel febbraio del 1600, debuttarono con la Rappresentatione di anima, et di corpo: Il Tempo fugge, la vita si distrugge. Beh, sì, xe vero che nel Monologo del Tempo ghe xe anca la tirata sulle ossa e le ceneri che escon dalla fossa, un po’ macabra, a dir il vero, resuscitate e ricomposte coi corpi per raccontare la verità, ma che cosa possono aggiungere?
Sti poveri mortali non capiscono un fico secco. Sono come dei putei, loro, non l’anno nuovo, che credono che basti un po’ di pantomima, qualche botto apotropaico, un veglione in mascara, cene esagerate che finiscono alle 4 del mattino, e poi tutto cambia. Che sempi.
Son proprio imperfetti. E cercano, invano, di creare un’intelligenza artificiale per supplire alla loro mancanza di una vera. Alla fine che può fare quell’artificio? Copiare tutto quello che hanno fatto gli omini, andandosi a leggere tutte le parole, parole, parole, che gli omini hanno lasciato. E copia, mica crea. Copia perfino le parole sbagliate. E chi se ne importa di quest’esibizione di abilità riproduttiva, cui prodest?
Sempiezzi per ingannare sé stessi soprattutto.
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La mia clessidra, invece, bea solida, tra le mie mani, si capovolge ormai da sola, ha imparato a scandire la mia continuità. Perché io esisto da sempre, anche se è impossibile calcolarmi con esattezza. È una delle mie bellezze, d’altro canto, sempre giovane e sempre maturo.
Sti sempi invece preferiscono rappresentarmi con un corpo vecchio, cadente, con barba e cavei bianchi, come se avessi già un piede nella fossa. Invece eccomi qui, sempre vigoroso e sempre più forte. Sono loro che incanutiscono e muoiono, non io.
Chissà che se ne faranno di una presunta immortalità, acquisita tramite le magiche pozioni che i cosiddetti scienziati stanno confezionando per dar loro l’illusione di vivere più a lungo. Solo quanche anno. Solo io sono sempre esistito ed esisterò sempre, anche se non ci sarà nessuno a calcolarmi. Che dire, io sono autosufficiente. Neanche i dinosauri erano riusciti a calcolarmi eppure io ero lì e loro ormai sono solo fossili. Xe una bea soddisfazione, eh.
Ben, son stufo di essere considerato in questi limiti da una massa di decerebrati. E siccome non mi portano rispetto non mi farò veder per un po’ e mi porterò dietro tutti gli strumenti, non resterà un solo orologio funzionante per questi usurpatori del tempo. Voglio proprio veder come faranno.
Anno nuovo vita nuova quest’anno lo dico io. Xe bon sto vino, però.
Tanti auguri. Prosit!
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