Lo Presti (Pangea): “non è violenza domestica, è un problema della società”

31 Gennaio 2023

Da quando ho iniziato a realizzare interviste e articoli riguardanti il Terzo Settore, ho sempre avuto in mente l’idea di scrivere un pezzo sulla violenza di genere. Così mi sono deciso a contattare Luca Lo Presti, Presidente di Pangea e farmi raccontare la loro esperienza.

Per chi non la conoscesse Pangea è una Fondazione Onlus che da 22 anni sta al fianco delle donne in Afghanistan, India e Italia, con l’obiettivo di generare una trasformazione personale, familiare e sociale, efficace e duratura nel tempo, che sia alla base di costruzione di pace nel mondo, partendo proprio dall’empowerment delle donne.

Le donne sono le persone che più di tutte sono colpite da discriminazioni, soprusi e violenze. Pangea parte proprio da loro e insieme a loro crea percorsi e dà vita ad attività che permettono alle donne in primis e di conseguenza alle loro famiglie di uscire da condizioni di disagio, violenza e povertà e ricostruirsi una vita.

Quando e come nasce Pangea?

Pangea nasce nel 2002, quando in seguito agli anni di volontariato con Amnesty International e alcune missioni fatte con loro, ho deciso di abbandonare la mia vita precedente da odontotecnico  e con una presa di coscienza su quello che avrei potuto fare ho scelto di fondare Pangea Onlus. Ero appena rientrato da una missione in Romania, durante la quale avevo assistito a situazioni molto pesanti di abusi su bambini e precedentemente ero stato in Afghanistan, post torri gemelle, una mattina, spinto da consapevolezza personale, ma anche da un moto istintivo, ho regalato tutto ai miei soci, sono andato dal notaio e ho fondato Pangea. Oggi, dopo 21 anni, siamo quasi 20 persone di staff, l’Associazione è cresciuta molto e soprattutto, dopo essere nata sulla base di un istinto personale, si è trasformata in una realtà fatta di persone molto preparate che continuano a lavorare con lo spirito di fare bene. Ci piace immaginare di non diventare mai una multinazionale dell’aiuto umanitario, ma restare vicini alle persone.

Quali sono le vostre aree di intervento?

A livello geografico siamo presenti in Italia, Afghanistan e India.

Concretamente come è organizzato il vostro lavoro in Afghanistan?

Da quando sono tornati i talebani  il nostro lavoro è difficile. Fino al 2021, per vent’anni, abbiamo lavorato sostanzialmente facendo del microcredito, accogliendo e ascoltando la persona.

Abbiamo due una scuola per bambine e bambini sordi, stiamo facendo un invaso di un fiume in Nurestan, stiamo distribuendo pacchi alimentari in 7 province, raggiungendo circa 8000 famiglie al mese. A oggi la situazione è drammatica, secondo l’ONU il 56% della popolazione muore di fame. Nonostante io abbia preso accordi con tutti i ministri di riferimento, poco o nulla è andato a buon fine, per esempio con la nuova norma di Natale alle donne è stato vietato anche di lavorare con le ONG. Per una realtà come Pangea, che aveva uno staff quasi completamente femminile, è un grande problema, ora stiamo continuando a lavorare con il personale maschile, ma diverse onlus hanno lasciato il Paese. Molte scelte sono davvero complicate dal punto di vista emotivo, perchè magari una mia scelta politica, implica una reazione, anche sanguinaria, da parte dei talebani. Noi continuiamo ad operare sul territorio, ma abbiamo dovuto fare delle scelte, come mettere in standby la scuola dei bambini e delle bambine sorde, perchè il personale femminile non ci può andare. La nostra intenzione è quella di non lasciare il Paese, ci siamo da vent’anni, però è davvero molto complicato lavorare con un regime che non ha una guida politica univoca. L’intervento del microcredito, fondamentale per creare delle piccole realtà commerciali e far ripartire un’economia dal basso, è stato interrotto, impedendo ai piccoli nuclei di emanciparsi. In vent’anni abbiamo seguito circa 65.000 microcrediti con un tasso di insolvenza del 2%, è quindi un processo che funziona molto bene e che applichiamo ovunque.

Puoi spiegarci meglio come funziona?

Ci sono varie tipologie di microcredito, quelle che applichiamo noi fanno capo alla scuola di Yunus, premio Nobel per la pace nel 2006, proprio perchè ha reso di fatto l’accesso al credito uno dei diritti umani fondamentali. Il microcredito concede prestiti a chi non li riceve dagli istituti bancari. Si basa sulla buona volontà di realizzare economia e si rivolge solo a figure femminili. Pangea fonda delle piccole banche, crea il fondo di risparmio, poi a seconda delle località, in India in un modo, in Afghanistan in un altro, si possono generare dei gruppi di risparmio. Le persone ricevono ognuna un prestito, dopo che hanno presentato un’idea di business. In Afghanistan, prima dei talebani, eravamo arrivati a cifre di 500/600 dollari, adesso che l’economia non esiste più e facciamo prestiti anche di 100/200 dollari. I singoli che ricevono il prestito vengono riuniti in gruppi di massimo 7 persone, ogni gruppo elegge una responsabile, per ogni area c’è una Program Officer che si incontra con tutte le responsabili dei gruppi di quell’area. Ci sono incontri settimanali, perchè ogni settimana vanno resi i soldi ricevuti, se qualcuno del gruppo non riesce, le altre partecipanti del gruppo devono restituirli al suo posto. Oltre ai soldi si raccolgono anche le problematiche delle famiglie e la PO riporta il tutto all’ufficio di Pangea, che interviene nelle situazioni più difficoltose. Ogni prestito è condizionato da un tasso di interesse, che per l’Afghanistan è del 10%, è un tasso alto, perchè il prestito è piccolo e non c’è nessuna parte profittevole da parte di Pangea. In realtà il tasso è del 5%, perchè con l’altro 5%  viene creato un fondo di risparmio per la donna che ha ricevuto il prestito. Si crea una forma di assicurazione, utile a prevenire eventuali successive richieste. Se il fondo non viene utilizzato, tutti i soldi le verranno restituiti alla fine del pagamento del proprio debito. Le somme derivate dal tasso d’interesse pari al 5% effettivo vengono rimesse a disposizione per altri prestiti. Eravamo riusciti ad erogare 800 nuovi prestiti solo con il ritorno dal tasso di interesse. L’obiettivo ovviamente è quello di permettere a queste donne di godere di risorse tramite la loro attività di sganciarsi da Pangea e riuscire a chiedere un prestito in banca. Di solito l’obbiettivo riusciamo a raggiungerlo con 3 prestiti. Le donne sono dei moltiplicatori di beneficio eccellenti, quando iniziano un’attività sviluppano beneficio per tutta la famiglia e questa è la chiave del microcredito di Pangea.

In India abbiamo un microcredito similare, ma lasciamo che il tasso di interesse lo concordino i gruppi. In questo caso il risparmio rimane direttamente al gruppo, che grazie a quei soldi può aumentare i prestiti circolari, incrementando eventualmente anche il tasso di interesse, se il ritorno dei fondi avviene velocemente. In India, in 3 anni, i gruppi avevano talmente tanti soldi che abbiamo creato dei cluster di raggruppamenti per il risparmio, da lì abbiamo creato le cooperative e alla fine abbiamo aperto tre banche agricole. In tutti i posti in cui abbiamo lavorato, il fatto di dare un prestito alle donne le emancipa anche da un punto di vista sociale, perchè acquisire indipendenza economica, significa acquisire il rispetto della società d’appartenenza. Non c’è beneficenza, non c’è assistenzialismo, ma un empowerment delle donne che determina il recupero di autostima e consapevolezza e che porta a non accettare la violenza.

Riusciamo a quantificare l’investimento di un anno?

Pre talebani, in Afghanistan, riuscivamo a prestare circa 100.000 euro

Torniamo in Italia, perchè la violenza sulle donne è un dramma che non riguarda solo Paesi lontani e in guerra. Da circa 4 anni Pangea ha attivo il progetto Reama, di cosa si tratta?

È un progetto molto grande, in continua crescita, di contrasto alla violenza contro donne e bambini, non solo violenza domestica, anche se “domestica” è un termine che non condividiamo, perchè si tratta in realtà di un problema sociale e le parole, in questo caso, contano molto. Abbiamo una rete di circa 34 centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale, 12 case rifugio, case di semi autonomia. Simona Lanzoni, Vice Presidente di Pangea, è anche Vice Presidente del GREVIO, Gruppo di esperti sulla violenza contro le donne e la violenza domestica e per il monitoraggio sull’applicazione della convenzione di Istanbul in Europa. I nostri centri hanno come principio base proprio l’applicazione e rispetto dei principi della Convenzione di Istanbul. Abbiamo uno sportello online e telefonico, che non è solo uno sportello di emergenza, accogliamo le donne e le accompagniamo al più vicino centro antiviolenza. A Roma possiamo ospitarle direttamente, perchè abbiamo una casa di semi-autonomia e due case rifugio. In Italia lavoriamo quindi sul recupero delle donne che hanno subito violenza e le supportiamo in tutto il percorso, facendole uscire dall’emergenza fino all’inserimento lavorativo e sociale con una nuova casa.

Quali sono ancora i muri da abbattere nella società contemporanea, per cercare di combattere la violenza contro le donne?

Partiamo dal fatto che non trovo una motivazione sul fatto che ci sia una violenza contro le donne, se però guardo all’Afghanistan e guardo all’Italia trovo la stessa problematica. In Afghanistan posso dire che è un problema culturale, radicato e profondo, nessuno gli ha mai insegnato a vivere diversamente e a considerare la donna una persona uguale all’uomo, semplicemente di genere diverso. Lo stesso problema purtroppo lo ritrovo a Milano e mi chiedo come è possibile che non siamo riusciti a superare questo scoglio culturale, in parte è dovuto al fatto che l’uomo alla fine sta bene così, comanda lui, perchè dovrebbe cambiare? A questo sono legati migliaia di altri motivi culturali, questo è il motivo del perché oggi esistono degli accorgimenti linguistici importanti, è fondamentale che le nuove generazioni siano sempre più abituate a non fare differenze di genere nella speranza che questo possa aiutare a sviluppare una cultura diversa. In Italia c’è ancora una difficoltà culturale radicata e profonda, che in alcuni termini è simile a quella dell’Afghanistan, solo che in Italia ci sono delle leggi che là non esistono. Nonostante questo, ancora oggi moltissime donne vengono uccise dal partner, o presunto tale, per gelosia e possesso, come se si stesse parlando di un oggetto e non di una persona. È anche per questo che in Pangea cerchiamo di non utilizzare il termine “domestica” vicino a violenza, perchè così facendo si relega il problema alle mura di casa e le persone difficilmente si interessano ai problemi dei propri vicini. Se eliminiamo la parola “domestica” diventa un problema generale e di carattere culturale, che appartiene a tutta la società, perchè è violenza, punto!

Foto di Ugo Panella

Progetti futuri?

Ci piacerebbe lavorare sulle spose bambine. Pangea non si è mai occupata di immigrazione, i nostri progetti di sviluppo sono in loco e in Italia, appunto, abbiamo Reama che si occupa di violenza sulle donne. Mi sono però trovato in prima persona a lavorare sull’espatrio rapido degli afghani, dopo la presa dei talebani e oggi sono persone che stiamo seguendo. Ci ritroviamo quindi a fare i conti anche in Italia con il problema dei matrimoni forzati. Questa è l’ultima idea a cui abbiamo pensato, anche se il mio obiettivo continua essere quello di riuscire a fare cose sul posto, nonostante la situazione difficile e complicata che l’Afghanistan sta vivendo in questo momento. In Italia vorremmo potenziare la rete delle case rifugio. L’unica cosa che mi sento di dire è che per noi continui ad esserci la possibilità di lavorare per davvero. Aiutare una persona a rinascere è una vittoria assoluta. Non mi interessano i numeri, mi interessa che Pangea cresca per aiutare veramente più persone possibili.

TAG: #violenzasulledonne, afghanistan, Centri anti violenza, pangea
CAT: diritti umani, terzo settore

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