Nei momenti più bui per la Bosnia ed Erzegovina l’Italia ha saputo come aiutarla

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21 Marzo 2020

Riceviamo e volentieri pubblichiamo uno scritto dell’editorialista bosniaco Admir Lisica*. 

L’immagine del Municipio di Sarajevo e del Ponte Vecchio diMostar con i colori della bandiera della Repubblica Italiana ha destato l’entusiasmo del pubblico italiano, che a causa della diffusione del coronavirus sta vivendo i momenti più difficilidella sua storia recente. E’ un messaggio da parte dei cittadinidella Bosnia ed Erzegovina ai cari amici in Italia peresprimergli la loro vicinanza ed empatia con la loro sofferenzae per dirgli che sono al loro fianco in questi tempiestremamente difficili.

La solidarietà e la preoccupazione per l’attuale situazione in Italia non è infatti senza motivo perché i bosniaci e glierzegovesi non hanno dimenticato ciò che questo Paese e lasua gente hanno fatto per loro durante e dopo la guerra in Bosnia ed Erzegovina. Il fatto che i rifugiati della Bosnia-Erzegovina abbiano potuto organizzarsi attraversoassociazioni bosniache, insegnare la lingua bosniaca, istruirsie competere sul mercato del lavoro a pari condizioni, è provasufficiente dell’accoglienza dei padroni di casa. L’ultimaconferma dell’atteggiamento amichevole e tollerante degliitaliani nei confronti della comunità della Bosnia-Erzegovinaè il sostegno dato alla creazione della Comunità Islamica deiBosniaci in Italia alla fine dello scorso anno.

Qualche mese fa, ho avuto l’opportunità di parlare con unSarajevese di grande successo, Nermin Fazlagic, cheattualmente vive e lavora a Verona, una città gravementecolpita dalla diffusione del coronavirus. Dice infatti che la suaconoscenza di dieci lingue straniere, i diplomi ottenuti in Università di spicco che lui detiene come anche sua moglie, non sono altro che il frutto dell’atteggiamento delle autoritàitaliane nei confronti dei rifugiati bosniaci durante gli anni’90. Certamente, la storia di Nermin non è che un esempio frai molti dell’atteggiamento dei padroni di casa italiani neiconfronti dei rifugiati bosniaci.

Il sostegno dato all’affermazione del calcio bosniaco

Oltre al fatto che l’Italia abbia ospitato disinteressatamentemigliaia di rifugiati bosniaci che sono oggi membri rispettatidella società italiana, è forse ancora più significativo ilsostegno dato all’affermazione del calcio della Bosnia-Erzegovina. All’inizio della guerra, lo sport del calcio subìuno shock e, man mano che la guerra andava avanti, divennesempre più chiaro che, a meno che non fosse arrivato unsupporto dall’esterno, ci sarebbe stato un totale crollo dellosport in termini professionali. Gli italiani, più e più volte campioni a livello mondiale nel calcio sentirono il bisogno di aiutare gli amici in difficoltà, cosa che hanno continuato a fare negli anni a venire. Nessuno li obbligò, nessuno glielo chiese, ma sentirono il bisogno di stare dalla parte del Bene nei tempidel Male!

Il primo collettivo sportivo a sentire l’ospitalità ed il caloredegli italiani fu il Club Calcistico Sarajevo (Ndr. FK Sarajevo), che fu poi ospite a Parma, in Italia, nel 1994, durante la guerra. Il fatto che si trattasse solo di una delletante gentilezze degli amici italiani è comprovato dal gesto ormai quasi dimenticato della federcalcio italiana del 1996, quando lo stadio Renato Dall ‘Ara di Bologna fu concesso allanazionale della Bosnia ed Erzegovina per giocare una partitadi qualificazione per la Coppa del Mondo contro la Croazia. Vale a dire, a causa delle complicate relazioni politiche e percause dettate dalla sicurezza, alla Bosnia Erzegovina non fuconcesso di ospitare la suddetta partita a Sarajevo, e ci fu ilbisogno di trovare un’alternativa nel più breve tempo possibile.

“Questo Paese e la federcalcio di questo Paese dovrebberoerigere un monumento all’allora presidente della Federcalcioitaliana, Antonio Matarrese, ed al presidente della FIFA SeppBlatter in onore a tutto quello che hanno fatto per noi ” ha dichiarato in una nota di stampa il primo presidente della federcalcio della Bosnia ed Erzegovina, Jusuf Pušina, ricordando quanto gli italiani abbiano costantemente lavoratoper promuovere il calcio della Bosnia-Erzegovina al pubblicomondiale nella guerra e nel dopoguerra. Il momento clou delsostegno al “calcio della Bosnia ed Erzegovina” è statol’arrivo degli italiani a Sarajevo all’inizio di novembre 1996 per giocare una partita amichevole contro la Bosnia edErzegovina. Gli italiani, allora campioni del mondo, accettarono la trasferta allo stadio Koševo per aiutare a promuovere la squadra di calcio della Bosnia ed Erzegovinanel mondo. È importante ricordare che gli italiani hannogenerosamente sostenuto tutti i costi della summenzionatapartita, che ha avuto luogo di fronte a 40.000 persone, e che i profitti della stessa sono rimasti alla federcalcio della Bosniaed Erzegovina!

I nylon dell’UNICEF ed i regali degli italiani

Ricordo che le persone più anziane dicevano che uscì sulcampo di Koševo la formazione più forte, guidata da Maldini, Toldo, Baggio, Zola, Ravanelli, Chiesa ed altre stelle delcalcio, le cui fotografie noi, i “ragazzi di Dobrinja“custodivamo gelosamente anche anni dopo l’incontro, quando”li ottenevamo” in uno dei pacchetti delle famose figurinePanini. Sono proprio le summenzionate figurine, giocattoli, lettere ed altri indumenti provenienti dall’Italia che arrivavanoin Bosnia ed Erzegovina a sostegno dei bambini chetrascorsero quasi quattro anni in isolamento.

Chiunque si ricordi dei nylon dell’UNICEF che fungevano da vetri delle nostre finestre sa quanto tali doni siano stati uno stimolo significativo per le vittorie future che dovevamo ottenere nei tempi a venire. Gli italiani hanno anche aiutato con varie donazioni finanziarie, sostenendo missioni di Pace, sostenendo il turismo bosniaco ecc.

L’Italia era lì per la Bosnia ed Erzegovina nel momentodell’assedio, dell’isolamento, della paura, della morte e dell’incertezza. Il popolo italiano seguiva da vicino gliaggiornamenti sulla sofferenza della Bosnia ed Erzegovina e cercò di trovare un modo per alleviare i loro giorni difficili. Pertanto, la cifra di più di duemila italiani deceduti, a causadella diffusione del coronavirus, non possono e non devonolasciare indifferenti nessuno in Bosnia Erzegovina. Oggiseguiamo le informazioni provenienti da Milano, Bergamo, Verona allo stesso modo in cui loro seguivano le informazionidelle sofferenze da Sarajevo, Mostar, Srebrenica, Bihać … Fino alle prossime passeggiate italiane attraverso la Baščaršija e quelle bosniache attorno al Colosseo…

Cari amici italiani, siamo con voi!

Le opinioni espresse nel presente documento sono quelledell’autore e non riflettono necessariamente le politiche editoriali di Al Jazeera.

Fonte: Al Jazeera

http://balkans.aljazeera.net/blog/u-vremenu-zla-stajali-su-na-strani-dobra

Admir è nato a Sarajevo nel 1991. Dopo aver studiato Storia alla Facoltà di Filosofia di Sarajevo, ha lavorato con alcune organizzazioni non governative, collaborando anche con diversi giornali della regione balcanica. È fondatore della piattaforma educativa no-profit intelektualno.com. È anche autore di due libri che trattano la questione della diaspora bosgnacca e bosniaco-erzegovese: Priče iz dijaspore i domovinskih zemalja e Bošnjačka emigracija: izazovi i perspektive.

TAG: Admir Lisica
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