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Costume

Uno su quattro

di Maurizio Baruffaldi
28 Novembre 2019

Quindi: delle persone che incontro o incrocio durante la giornata una su quattro pensa questa cosa: che una donna messa giù un po’ da corsa è complice del suo eventuale stupratore. O meglio: lo ha invitato. Gonne sopra il ginocchio, calze velate, decollettè generoso, tacco alto sono tutti segnali. Il malato di mente non ha colpe: è come il toro al quale sventoli il drappo rosso. Un essere italiano su quattro pensa questo. In un partita di doppio ce n’è uno che non sa giocare ma crede di saperlo fare e pretende di farlo. Un soggetto che sprofonda nel peggio dei tempi che pensavamo ormai sommersi, risolti, al limite relegati a quelle percentuali da casi umani. Perchè quello sei, se non hai nessuna idea della donna.

Non la conosci. Non puoi e non sai amarla perché è complessa e viva, mentre per te la massima profondità di pensiero equivale alla bambola gonfiabile. Quel consigliere leghista, l’ennesimo, farneticante, che spara il suo siparietto social per dire che le denuncie per violenza da parte delle donne sono al 90% false non sa una madonna, e nemmeno una maria maddalena, non dico dei fatti e della loro lettura, che sono già una scalata, ma dell’altra metà del cielo, dalle quale è nato e che magari gli ha dato o darà un figlio. Il numero di donne che denuncia è una piccola parte rispetto a quello di chi subisce violenza e se la tiene, dentro, come una vergogna, e una colpa. Che scava. E non passa mai. La libertà di parola è un diritto di chi si è liberato, dai pregiudizi ottusi; di chi si è aperto alla conoscenza dell’altro, di chi si è messo in gioco. Altrimenti la sua non è libertà di opinione, ma buco nero, quando non falsità diffusa, reiterata. E quindi violenza.

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